La Vittoria Più Grande


(Foto Nizegorodcew)
di Mario Zanetti
C‘era caldissimo, si sapeva che sarebbe stata una giornata molto calda, a Malta ad Agosto era normale. L’autobus ci aveva lasciato nei pressi del circolo del tennis, dove si svolgeva il torneo under 14 ETA, ubicato in un posto sperduto alla periferia di Paola, piccola frazione a pochi chilometri dalla capitale maltese La Valletta; avevamo preso il mezzo pubblico, sia per risparmiare (i taxi a Malta costano tanto), sia perché volevo proprio salirci , essendo famosi per essere caratteristici, sono quasi tutti vecchi e malandati, fanno un gran fracasso, sono gialli e sporchi, ma pieni di una umanità variopinta e rumorosa. Gli autisti vestiti in modo bizzarro guidano veloci, parlando al telefonino in spregio alle più elementari norme di sicurezza.
Giunti al circolo, dopo un faticoso percorso a piedi abbiamo espletato le formalità burocratiche di iscrizione e firma e ci siamo dissetati al bar, dove il gestore, un simpatico e corpulento signore turco, ci ha fornito le indicazioni sul pranzo e sui costi. Il sole era a picco, e sui campi di tennis, osservandoli da lontano, si formava l’effetto miraggio che Edi non aveva ben capito cosa fosse e che cercavo di spiegargli più semplicemente possibile.
Gli incontri sugli altri campi si stavano svolgendo regolarmente, grandi secchi d’acqua erano stati messi a disposizione affinché i giocatori potessero bagnarsi frequentemente la testa ad ogni cambio di campo; genitori, maestri, ragazzi, guardavano gli incontri da posizioni di fortuna per ripararsi dalla calura.
Ero preoccupato, non per la partita che avrebbe impegnato Edi a breve, né per la bravura del suo avversario che ancora non conoscevamo, ma per il caldo infernale, per l’umidità al 90 per cento, perché era l’una del pomeriggio, e non sapevo la reazione del fisico di Edi a questo stress. Edi, allenandosi in Sicilia, era in qualche modo abituato alle estreme temperature che avevamo trovato, ma giocare una partita importante in un torneo europeo in queste condizioni poteva essere difficile da gestire, perché era difficile da gestire la sua malattia.
Edi preferisce chiamarlo il suo “problema” e non malattia, ma il diabete è a tutti gli effetti una malattia con cui Edi convive da 6 anni, ma lui almeno apparentemente vive la sua vita con serenità, voglia di fare, volontà, ma giocare a tennis a livello agonistico è veramente difficile.
L’incontro prima del suo volgeva al termine, i due dodicenni sudati, stanchi, rossi in viso erano alla fine della loro fatica. Uno dei due, un inglese alto e magro, rosso non solo in viso ma anche di capelli, era teleguidato in campo da una madre, grassa, bassa, e scura di colore di pelle, che lo rimproverava ad ogni colpo e lui palesemente infastidito, la mandava a quel paese regolarmente. C’era tensione fra i due, non era un bello spettacolo vedere una madre che litigava con il figlio ma anche con l’arbitro e con chiunque fosse nei paraggi; la sua voce stridula echeggiava nel silenzio del circolo. Il risultato finale naturalmente è stata la sconfitta, contro un napoletano che lasciato libero di esprimersi nella genuinità che solo i napoletani hanno, dal suo maestro altrettanto napoletano e
più interessato a raccontare barzellette e a socializzare con una bella donna tedesca, che a seguire il suo allievo, ha finito per prevalere sull’irascibilità e sul nervosismo del duo anglosassone.
Edi ha cominciato a fare un po’ di “practice” con Charlie, un simpatico e biondissimo ragazzo tedesco, io cercavo di capire chi fosse l’avversario di Edi, sapevamo che era uno svizzero ma nel contempo speravamo non fosse un ipotetico erede di Sua Maestà Roger Federer. I pensieri si sovrapponevano uno sull’altro nel mio cervello, come ogni volta prima dei suoi incontri, mi chiedevo se avesse mangiato abbastanza, fare i conti con i carboidrati, la sua glicemia e l’insulina somministrata è ogni volta un grosso enigma, se il caldo era eccessivo, se era emozionato, ma sapevo che in ogni caso, non mi avrebbe fatto leggere nel suo sguardo, un minimo segno di emozione, di preoccupazione, di sofferenza, perché lui piccolo grande eroe dimostrava a me, agli altri e a se stesso, che il suo “problema” non è un “problema”. Infatti lungi da me avvertire il Giudice arbitro del suo stato, per avere magari degli orari di gioco meno penalizzanti o magari più comprensione durante la partita se si fosse dovuto fermare per una ipoglicemia… Edi si sarebbe incazzato.
“Gianetti e Stool dal giudice arbitro”, gracchiò l’altoparlante, così finalmente abbiamo individuato il famigerato svizzero avversario di Edi, un ragazzo alto (ma sono quasi tutti più alti di Edi), bello, biondo, che con aria sicura e altera squadrava Edi dall’alto in basso con un’aria come a voler dire “piccolo siciliano ma dove vuoi andare”. Entrarono in campo e cominciarono a palleggiare, io mi sistemai in una postazione più in ombra possibile e in attesa dell’inizio del match cominciai a ricordare il momento in cui la vita di mia moglie e la mia si completava e si complicava con la nascita di Edi, dopo 2 anni e mezzo la nascita della nostra prima figlia Francesca. Venne al mondo velocemente e con una frenesia che poi non ha abbandonato negli anni seguenti, la sua crescita, la scuola, il tennis, il diabete, la sua e la nostra sofferenza, ma la grande forza che ci ha dato e che gli abbiamo dato per superare i momenti di sconforto, di dolore, di disperazione ma anche e soprattutto di gioia, volontà, esempio per gli altri e serenità che ci ha regalato nel corso degli anni.
Il match era nel mentre cominciato, e dai primi scambi si era già delineata la differenza tecnica e tattica fra i due.
L’elvetico picchiava forte la palla dall’alto della sua prestanza fisica e cercava subito di comandare il gioco; era però ogni tanto impreciso, possedeva un bel servizio, un buon dritto e un discreto rovescio ad una mano; gesto tecnico bellissimo ma purtroppo sempre più raro a vedersi, i maestri insegnano oramai il rovescio bimane più sicuro e con la possibilità di spingere di più. Dall’altra parte il siculo Edi sopperiva alla sua poca fisicità e potenza con grande mobilità, lunghezza dei colpi, variazioni di ritmo, frullando dei colpi in topspin sul rovescio dello svizzero, per cercare di non dargli la possibilità di spingere. Erano nel mentre le 13,45 e il termometro segnava 38°, orario e temperatura meno favorevoli per Edi e il suo “problema”; i due ragazzi stavano più a lungo seduti sotto l’ombrellone durante i cambi di campo e sudavano copiosamente, Edi aveva perso il servizio ed era sotto 1-3, ma era reattivo e sveglio, Stool si era gasato a colpi di c’moon, che si gridava alla fine di ogni scambio andato a buon fine e il suo staff faceva un tifo poco svizzero e molto latino; si perché di staff si poteva parlare avendo al suo seguito i genitori, un maestro e perfino un massaggiatore, come scoprii cercando di socializzare con gli elvetici, sia perché per natura sono socievole ma anche per sdrammatizzare con il mio atteggiamento assolutamente amichevole, l’importanza di un incontro per loro vissuto con molta partecipazione e attenzione, per quel che mi riguarda invece ero già contento a prescindere dall’esito dell’incontro, di vedere mio figlio giocare ad armi pari con un ragazzo che i suoi problemi per fortuna non aveva.
Lo staff di Edi ero solo io, padre, allenatore (insomma), coach, motivatore, preparatore atletico, magazziniere, cuoco, bancomat, portatore d’acqua, facchino, medico (quello in parte lo sono veramente facendo l’odontoiatra), ma ho la modestia di pensare di far bene solo il primo e l’ultimo degli incarichi che ho elencato. Quando partiamo per tornei siamo una vera e propria squadra, ci organizziamo la giornata, giriamo, facciamo anche e per fortuna i turisti, abbiamo preso il citysight seeing abbiamo visto gli scorci più belli e suggestivi dell’isola, l’antica città di Mdina, l’isola di Gozo, la turistica zona di St Julien, il dipinto di Caravaggio “Decollazione del Battista” conservato nella cattedrale di San Giovanni a La Valletta, abbiamo fatto il bagno a Sliema, insomma il tennis è importante ,ma quello che ti resta, dopo un viaggio, te lo porterai per sempre dentro, lo ricorderai per sempre. Edi potrà dire che suo padre lo ha portato a Malta a fare il torneo di tennis e non a fare il torneo di tennis di Malta, c’è una sottile differenza.
Sotto 5-3, la partita nel mentre continuava, lo svizzero continuava col suo gioco martellante, invece cominciavo a vedere un po’ di sofferenza nei movimenti di Edi; forse era un po’ scoraggiato ,vedeva che nonostante il suo acume tattico, l’altro stava prendendo il sopravvento. Il game seguente sul proprio servizio Edi esordisce con un doppio fallo, poi un dritto vincente dello svizzero, e un fortunoso rovescio dello stesso e ci ritroviamo 0-40 e quindi tre set-point contro, che l’elvetico sfrutta subito chiudendo con una risposta vincente, primo set 6-3 per Stool. La maturità di un ragazzino all’età di 12 anni si vede da tante cose, da come si approccia con i piccoli problemi che si possono avere a quell’età, da come affronta la scuola ed i rapporti con i coetanei. Nel caso di Edi, avendo a che fare con il diabete dall’età di 7 anni, ha dovuto accorciare i tempi della sua maturità, deve essere bravo a gestire le sue 4 iniezioni giornaliere, i suoi livelli di glicemia, contare i carboidrati in quello che mangia, per adeguare la giusta dose di insulina, per evitare o le iperglicemie, evento gestibile e che non comporta nessun problema immediato di salute, ma soprattutto l’evento più pericoloso nell’immediato è la ipoglicemia. I sintomi sono fiacchezza, tremore alle gambe, mal di testa, confusione, sudorazione fredda e se non si interviene immediatamente… perdita di conoscenza. E’ per questo motivo che Edi tiene sempre con se una scorta di succhi di frutta e zuccheri vari per contrastare, ai primi sintomi, l’abbassamento degli zuccheri nel sangue. Con me ho inoltre il glucagone, antagonista dell’insulina, che serve nei casi in cui c’è perdita di conoscenza; è un siringone enorme che a me, abituato a fare iniezioni, fa impressione… e ancor di più al pensiero di usarlo su Edi, spero non succeda mai.
Al cambio campo Edi aveva un’ipoglicemia, me lo ha segnalato muovendo indice e medio velocemente ad indicare il tremolio delle gambe, il caldo era incredibile, ha assunto un succo di frutta, due buste di zucchero e due fette biscottate, abbiamo chiesto il tempo di sospensione per intervento medico e sono entrato in campo per assistenza.
Edi a poco a poco ha ripreso colore e in teoria si sentiva pronto per ricominciare, ma sapevo che non era pronto; ci vogliono circa 10 minuti per riprendersi ma è un tempo non compatibile con i tre minuti di sospensione medica che impone il regolamento. Ho detto ad Edi che era stato bravo, ma dato il caldo e il suo malessere, preoccupato per il suo stato di salute gli consigliai un eventuale abbandono, e di stringere la mano al suo avversario. Lui mi ha
guardato con uno sguardo che non dimenticherò mai, era un misto di rabbia e sorpresa e mi ha detto “sei pazzo io non mi ritirerò mai”, io intimorito dalla sua reazione, non si era mai rivolto a me in quel modo, non ho potuto replicare, gli ho solo detto “ok ma ricontrollati la glicemia fra 10 minuti”, sono uscito dal campo ed è ripresa la partita.
Edi è consapevole del fatto che il diabete è un problema che naturalmente lo penalizza rispetto ai suoi coetanei, si stanca prima degli altri, il suo sviluppo fisico è rallentato, ma si conforta sapendo che ci sono stati tennisti diabetici famosi fra gli altri:
• William “Billy” Talbert: tennista statunitense, n. 3 del mondo in singolare nel 1949, vincitore di importanti tornei di doppio
• Hamilton Richardson: tennista americano n. 3 del mondo nel 1956, vincitore della Coppa Davis con la squadra Usa nel 1958
• Lennart Bergelin: tennista svedese, a lungo titolare della squadra nazionale in Coppa Davis, fu anche coach di Bjorn Borg
Naturalmente era un altro tennis, meno muscolare, meno fisico, con racchette diverse da quelle di ora, ma questo non glielo facciamo notare. Da quando aveva 6 anni, ho accompagnato mio figlio a vari tornei di rappresentative regionali, di macroarea, coppa Belardinelli, Pia Cup, coppa delle provincie, tornei individuali, nelle più svariate
parti d’Italia. La cosa più bella di questa attività è, a parte il fatto puramente tennistico di confrontarsi con tanti ragazzi di varie regioni, vedere come questi giovani tennisti in erba socializzano, si confrontano, inventano giochi e passatempi, si scambiano esperienze e numeri telefonici, nascono le prime cotte e delusioni amorose. Nei tornei internazionali si assiste anche ai tentativi di esprimersi in inglese, francese o si inventano nuovi idiomi e dialetti pur di entrare in contatto con ragazzine russe (le più gettonate), inglesi (meno) e altre nazionalità. Anche questo succedeva a Malta, intorno al tavolo da biliardo al bar del circolo, dove mi recai per fare scorta di acqua e prendere un caffè durante la partita di Edi. Mi intrattenni più del solito, parlando con il simpatico papà e maestro di un ragazzino pugliese molto forte (ne sentiremo parlare). Tornato al campo ho percepito che qualcosa era cambiato, lo svizzero che pensavo oramai stesse vincendo facile, dopo uno scambio ha incominciato ad imprecare ad alta voce e il suo staff era preoccupato. Edi aveva perso il suo atteggiamento remissivo e mi segnalò che il punteggio era 4-1 a suo favore!
Forse il suo avversario, vedendolo più morto che vivo, pensava di avere già vinto… E invece avendo ripreso le sue energie e spingendo di più con la forza de i suoi “40kg” Edi stava prendendo il sopravvento. Il set finì rapidamente 6-1, la sua glicemia era a posto e si era alzata una piccola brezza dal mare che rendeva l’afa meno opprimente.
Forse per l’afa o perché l’incontro del proprio figlio era “tirato” il papà di un bravo e talentuoso ragazzino romano Marretti, decise di litigare col maestro dell’avversario del figlio, e quindi io e qualche altro volenteroso siamo accorsi a separare il focoso papà e l’aitante maestro, fuoriprogramma che mi sarei risparmiato volentieri, tanto era penoso vedere due persone adulte che per un punto fuori o dentro si prendevano a testate e si insultavano incuranti della presenza di tante donne e soprattutto ragazzini che vedono negli adulti degli esempi da seguire.
Tornato al match, lo svizzero era andato fuori di testa ed Edi sbagliando poco, e variando il ritmo del gioco, stava andando verso una ipotetica vittoria. Da piccolo lo portavo sempre con me al circolo dove da anni sono iscritto, io modesto quarta categoria che rincorrevo la palla faticosamente in doppi improponibili o impegnato in singolari che
mi lasciavano il fisico distrutto, ma la mente serena e appagata dopo una settimana di lavoro. Fra uno scambio e l’altro guardavo Edi che ancora piccolo, seduto nella tribunetta con i suoi ricci biondi, le lentiggini e lo sguardo furbetto, era già rapitonon sicuramente dal mio modo di giocare, ma dai gesti tecnici, dall’agonismo, dal fatto che sei solo contro un altro, che la racchetta rappresenta l’arma per misurarsi e confrontarsi, la pallina il proiettile a salve con cui intimorire l’avversario e averne ragione.
Forse per questo appena avuta l’età ha cominciato giocare, innamorandosi di questo sport; certo ha avuto le sue delusioni, le mancate convocazioni, la malattia, maestri poco competenti che non lo hanno di certo stimolato, ma anche grandi soddisfazioni come tornei vinti, partite rocambolesche andate a buon fine con avversari più forti, viaggi, il tifo dei suoi amici, le coppe, le medaglie ed anche incontri vinti in tornei internazionali e classifica europea di conseguenza. Si, perché la partita con l’aitante ragazzino svizzero Edi la vinse 6-1 al terzo set, ma non è stata la sua vittoria più grande. Edi vince ogni giorno, vince con la suà onestà, la sua voglia di vivere, la sua serietà, affronta con serenità, almeno fino ad ora, la sua malattia si trova a dare coraggio e forza agli altri, è ben voluto e amato e se il suo sogno di diventare un giocatore verrà infranto (solo uno su centomila ci riesce), di certo no ne farà un dramma… La sua vittoria più grande l’ha già ottenuta.

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