A Tu per Tu con… Riccardo Bisti


(Riccardo Bisti, Matteo Bisogno e Alessandro Nizegorodcew)
di Alessandro Nizegorodcew
Inizia quest’oggi una serie di interviste atte a conoscere il mondo del giornalismo tennistico e i suoi migliori interpreti. Cominciamo con l’amico e collega Riccardo Bisti, attualmente vice di Ubaldo Scanagatta per il portale Ubitennis.com e Addetto Stampa di numerosi tornei professionistici.
Per prima cosa, caro Riccardo, raccontaci come ti sei avvicinato al tennis..
“Ho conosciuto il tennis all’età di 5 anni. Facevo un po’ di zapping con il telecomando e mi sono imbattuto in Noah-Lendl, semifinale degli Internazionali d’Italia del 1986. Forse anche per questo Lendl è stato il primo giocatore per cui ho fatto il tifo. Col tennis “giocato” ho iniziato a 9 anni, ma sono sempre stato scarso. Al massimo sono stato classificato 4.2, poi ho dovuto smettere di giocare per un infortunio ad una spalla. L’amore vero e proprio è scoppiato intorno ai 12 anni di età, quando ho iniziato a comprare le prime riviste specializzate e ho scoperto che c’era dell’altro oltre a quello che vedevo in televisione. In merito alla professione di giornalista…è qualcosa a cui ho sempre aspirato. Alle elementari, quando scrivevo i “pensierini” della domenica, la mia maestra mi diceva sempre che avrei fatto il giornalista. Finite le scuole medie, ho impostato il mio percorso di studi in funzione di questo desiderio.”
Quali sono state le tue collaborazioni e come hai iniziato? Quanto è difficile entrare in questo mondo?
“Il mio primo articolo (ma forse è più corretto definirlo “racconto”) è uscito sulla rivista “Tennis Oggi” nel 1998. Avevano organizzato un concorso di domande sulla storia del tennis con in palio un viaggio a Parigi durante il Roland Garros. Lo vinsi, e mi chiesero di scrivere un racconto di quella esperienza. Un paio d’anni dopo vinsi un paio di concorsi analoghi promossi dalla rivista “Il Tennis Italiano”, grazie ai quali conobbi Lorenzo Cazzaniga, la persona pià importante della mia crescita professionale (ma lo avrei scoperto solo qualche anno dopo…). Mentre frequentavo l’Università, mi divertivo a scrivere di tennis su internet, in particolare sul forum del sito di Rino Tommasi. Era iscritto anche Stefano Semeraro, condirettore di Matchpoint, che rimase colpito da alcuni miei scritti e mi chiese se mi avrebbe fatto piacere scrivere qualcosina per la sua rivista. Il mio primo pezzo giornalistico “propriamente detto” risale al 2004, e parlava della “Gira Sudamericana”, i quattro tornei su terra che si giocano dopo l’Australian Open. Nella copertina di quella rivista c’era un giovane Andreas Seppi. Entrare in questo mondo è facile e difficile allo stesso tempo. Internet ha allargato a dismisura le possibilità di “entrare nel giro” e fare “conoscenze importanti”, ma questo fa si che sia più complicato emergere. Tra tantissimi aspiranti giornalisti (di tennis, ma non solo) non è semplicissimo individuare i migliori, i più talentuosi, i più portati. Personalmente amo internet, ma non mi piace questo “avere tutto subito”. Hai bisogno di un risultato? lo trovi. Vuoi sapere tutto su un giocatore? Trovi più di quello che cerchi. Hai bisogno di contattare qualcuno? 90 su 100 lo trovi su Facebook. Bello, ma troppo poco selettivo. Personalmente, sono contento di essermi formato quando internet non era ancora un fenomeno di massa, quando si aspettava l’uscita di “Matchball” per avere la cronaca di un torneo. Se volevi sapere il risultato del tuo idolo impegnato in un challenger non avevi alternative: o aspettavi settimane o telefonavi alla sede dell’ATP a Monte Carlo. Cose divertenti, formative. Tutte piccole esperienze che poi mi sono tornate utili successivamente. Non è nostalgia: dico solo che un ragazzo con questa aspirazione, oggi, deve essere molto bravo per farsi notare ed emergere dal gregge.”
Quali sono le cose che ti piacciono di più e quali di meno del tuo lavoro di giornalista di tennis?
“Adoro il mio lavoro. Sono d’accordo con Milena Gabanelli, conduttrice di Report, quando dice che quella di giornalista è la professione più bella del mondo. Adoro cercare le storie, plasmarle, raccontarle. Adoro emozionarmi quando scrivo, perchè generalmente quelli sono gli articoli che riescono meglio. Mi piace il concetto (ahinoi, sempre più astratto), che il giornalista sia il “cane da guardia della democrazia”. Nel mio piccolo, minuscolo, cerco di ricoprire questo ruolo nella realtà del tennis. Forse ti saresti aspettato che dicessi che amo la “vicinanza” con i giocatori, l’opportunità di avere un rapporto diretto con persone che prima vedevo in televisione. In verità no, non credo alla mistica della professione. Non mi fa impazzire stare giornate intere tra sala stampa e sala conferenze senza quasi mai mettere il naso fuori. Cercare storie tra i campi, in mezzo alla gente, mi gratifica molto di più. Cosa non mi piace? Un buon giornalista deve avere una notevole faccia tosta, mentre io sono abbastanza riservato e mi faccio sempre tanti scrupoli. Col tempo ho imparato a gestire certe situazioni, ma all’inizio non è stato semplicissimo. E poi è un lavoro che richiede disponibilità enormi, mai dettate dagli orari: io sono un tipo metodico, “precisino”, e ogni tanto le due esigenze si scontrano.”
Tra gli appassionati sei diventato “famoso” come esperto di tennis argentino.. Come mai questa passione?
“Non c’è una ragione, è una cosa a pelle. Uno dei miei primi idoli tennistici era Hernan Gumy. All’epoca era l’unico argentino di livello nel circuito, e mi ci affezionai parecchio. Ebbi anche modo di conoscerlo. Dopo il suo ritiro, fu quasi naturale sostenere i suoi connazionali. Poi adoro il rovescio a una mano di scuola argentina, quello che giocavano Vilas, Sabatini, Alberto Mancini, nel suo piccolo lo stesso Gumy. E’ un gesto che mi fa impazzire, con quel polso che si libera dopo l’impatto…mi fa piacere che non sia del tutto scomparso: tra i giovani, lo gioca con una certa efficacia Kevin Konfederak. Se poi escludiamo l’ombra del doping, le vittorie degli argentini mi hanno sempre trasmesso l’idea di essere dure, sudate, conquistate. E io ho sempre preferito chi arriva grazie al lavoro e all’abnegazione.”
In Italia il lavoro di giornalista di tennis, soprattutto per i giovani, è molto complicato. La federazione parte forse prevenuta, così anche alcuni addetti ai lavori e colleghi da molti anni nel circuito e già, come dire, schierati.. Quanto è difficile? A volte hai perso voglia e motivazioni? Va a finire che il rapporto più facile e che da soddisfazione è quello con i giocatori?
“Quando ho messo piede per la prima volta nella sala stampa del Foro Italico rimasi sorpreso dall’età media dei giornalisti, molto alta. Credo che un ricambio sia sempre auspicabile, ma tutto sommato avere degli esempi e dei “miti” a cui guardare può anche essere positivo. E’ l’ambiente che non mi fa impazzire. Non voglio essere frainteso, perchè in generale ho una buona opinione di tutti i colleghi, ma mi pare che il clima non sia ideale. La politica conta tantissimo, gli schieramenti non mancano e sono facilmente riconoscibili. Quando ho iniziato ad occuparmi di argomenti “politici”, l’ho fatto con candore, come se fosse normale occuparsene. Ho appreso delle storie, le ho verificate e le ho raccontate. Tutto normale. Invece non è normale. Se fai scontento qualcuno, stai certo che la reazione arriva. Allora capita che tanti colleghi (più esperti, più scafati, forse più saggi) lasciano perdere per non avere rogne e magari non perdere l’aiutino, il favore, l’esclusiva in più. Mi spiace verificare che questa situazione sia quasi la normalità. Un esempio? L’inchiesta cagliaritana sul presidente Angelo Binaghi. Non dico che sia colpevole, non mi permetterei mai. E poi siamo tutti innocenti fino a prova contraria. Ma non capisco perchè quasi tutti gli organi di stampa, specializzati e non, non si occupino della vicenda. Perchè non parlarne? Se tieni una certa linea di condotta forse hai più chance di andare avanti, o almeno di non avere ostacoli. Ma non mi piace ragionare in questi termini. Mi piace ragionare seconda coscienza e operare di conseguenza (ovviamente nei limiti imposti dalla legge). Se penso che un argomento sia degno di interesse ne scrivo, dopo averlo opportunamente verificato. E pazienza se poi arriva il dispettuccio o l’intervista rifiutata. Voglia e motivazioni non le ho mai perse, amo troppo questo lavoro. Anche se ammetto di essere stato fortunato ad avere un maestro come Lorenzo Cazzaniga, che mi ha insegnato moltissimo e introdotto nell’ambiente in modo impeccabile. Mi ha sempre aiutato ma non mi ha mai dato la “pappa pronta” e mi ha sempre stimolato a crescere e migliorare. Chissà, se non avessi conosciuto lui non sarei qui a raccontare queste cose. Il rapporto con i giocatori? E’ il meno difficoltoso, ma può esserci il rischio contrario: diventare troppo amici e perdere un filo di obiettività. Per questo cerco di mantenere il giusto distacco, anche se ovviamente ho le mie preferenze. Ci sono giocatori che conosco meglio di altri, ma cerco di non abusare mai di una conoscenza (troppe richieste, troppe telefonate…) Credo che il rispetto dei ruoli, reciproco, sia fondamentale.”

(Riccardo Bisti e Lorenzo Cazzaniga)
Che idea ti sei fatto del tennis italiano? Quali sono i lati positivi e quali quelli negativi?
“C’è troppa politica. Mi pare che ci siano due fazioni più impegnate a screditarsi l’una con l’altra che a proporre qualcosa di costruttivo. Il dibattito è importante, ma si deve svolgere in serenità. Non mi piace essere “contro” o a “favore” a priori, preferisco verificare e farmi una mia opinione. Invece mi sembra che il sistema ti “imponga” di schierarti da una o dall’altra parte. E se io non volessi? E se una volta fossi d’accordo con A e un’altra con B? Auspico più serenità, più dialogo. Ci sono tante cose che mi piacciono: abbiamo tecnici importanti e una vivacità organizzativa eccezionale. E’ vero che abbiamo perso i tornei del circuito maggiore, ma l’impressionante numero di challenger e futures è il segnale che c’è una sincera spinta dal basso, frutto della passione dei dirigenti di periferia. Credo che nel tennis italiano ci siano tante brave persone e notevoli professionalità, in tutti i campi. In due parole: mi piace il potenziale che abbiamo, ma sarei più contento se riuscissimo ad esprimerlo. E parlo di tutti i campi, compreso il nostro. Pensa soltanto a quanti media tennistici ci sono, tra web e cartaceo: un patrimonio inestimabile per chi ama il nostro sport. All’estero mica ci sono così tante riviste di tennis.”
Cosa cambieresti nel tennis internazionale? Cosa non ti piace di Atp, Wta e Itf?
“Facile: l’enorme differenza tra i primi del mondo e tutti gli altri. Non trovo giusto che nel solo 2011 abbiano raccolto un prize money oltre 3.000 giocatori, ma che 2.500 di questi abbiano guadagnato meno di 10.000 dollari (al lordo di tasse e spese). Nei prossimi anni, il montepremi del circuito ATP toccherà i 90 milioni di dollari, ma degli aumenti beneficeranno solo i top players. Chi gestisce il tennis dovrebbe pensare anche alla base, alle centinaia di aspiranti campioni che spesso devono mollare per mancanza di risorse. Ti faccio un esempio: sono proprio necessari i bonus pools che a fine anno incassano i primi 12 del mondo? Mi rendo conto che sponsor, vendita dei biglietti e benefici d’immagine arrivino dai vari Nadal, Federer, Djokovic, ma la disparità mi sembra eccessiva. Perdi al primo turno dello Us Open e incassi 20.000 dollari, vinci un Future e a stento superi i 1.000. Onestamente non mi sembra giusto. Sulla WTA aggiungo che, a mio avviso, punta troppo sull’avvenenza di alcune giocatrici e agli aspetti glamour, “modaioli”. La campagna “Strong is Beautiful” non mi ha fatto impazzire. Va anche detto che, Serena e Petkovic a parte, non ci sono veri e propri personaggi. E allora puntano su altro. Chissà, al posto loro forse farei lo stesso.”

(Riccardo Bisti al lavoro)

Cosa ne pensi del rapporto tra i giornalisti del settore in Italia?
“In realtà non credo che il rapporto tra i giornalisti sia malvagio, almeno sul piano personale. Come dicevo prima, credo che il clima dovrebbe essere più disteso. Auspico che non ci siano più argomenti tabù e che ognuno possa esprimere il suo pensiero senza timore di doverne pagare le conseguenze. Ecco, vorrei che nessuno dicesse a nessuno: “Ma chi te lo fa fare, lascia perdere…”. E’ molto triste. Per questo, pur non essendo sempre d’accordo con lui, sono affascinato dal personaggio di Claudio Pistolesi. Si è sempre espresso in prima persona, senza peli sulla lingua e soprattutto senza pensare a cosa sarebbe successo a seguito di una presa di posizione. Un atteggiamento del genere dovrebbe essere la regola. Invece mi pare che sia l’eccezione.”
In conclusione… Ti lascio carta bianca per una tua conclusione…
“Mi fa piacere dare qui un consiglio a tutti i ragazzi (e sono tanti) che sognano di poter scrivere di tennis. Chiedono un parere persino a me, non oso immaginare le richieste che arrivano a colleghi più famosi! Ad ogno modo: non pretendete di avere tutto e subito: la strada e lunga ed è giusto che sia percorsa tutta, senza scorciatoie. Spesso internet offre l’illusione che sia tutto a portata di mano, conferisce notorietà (reale) e prestigio (effimero) e fa perdere di vista gli obiettivi di un buon giornalista. Tutti vorrebbero iniziare e scrivere di Federer e Nadal, ma il tennis non è solo questo. Bisogna essere preparati su tutti gli argomenti (politica, attrezzatura, storia, realtà locali, statistiche). Un cultura di base è fondamentale, perchè un articolo ben scritto e senza errori farà sempre una figura migliore di uno con qualche strafalcione sintattico. Per questo diffido un po’ di chi mi dice “Il tennis femminile non mi interessa” oppure “chissenefrega delle racchette”. Il mio consiglio è: studiare, studiare, leggere, leggere e leggere ancora. E non solo di tennis. Mischiando tutto questo a una condotta onesta e corretta, secondo me, si possono ottenere belle soddisfazioni…”

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