Andrea Cagno: “Occhi, cervello e gambe come una cosa sola”

SVTA

di Salvatore Greco

Quando ho raggiunto telefonicamente Andrea Cagno per fissare quest’intervista non mi ha risposto subito perché era in campo. Potrebbe sembrare un segnale da poco, ma è la dimostrazione più pura della sua passione per il tennis, un’arma onesta per scardinare i dubbi di chi lo vede come un estraneo rispetto a questo sport.

Andrea Cagno, per chi non lo sapesse, è il co-fondatore della SVTA Academy e ideatore dell’innovativo training visuo-motorio di cui Spazio Tennis si è occupato già qualche tempo fa e che oggi intervistiamo in prima persona, alla luce del convegno di presentazione del metodo in Italia del 20-21 settembre, per conoscere la storia, le speranze e le prospettive di un’idea che potrebbe rivoluzionare il tennis.

Buongiorno, Andrea Cagno. Innanzitutto vorrei fare un po’ di “storia”: come siamo arrivati al metodo SVTA? Qual è stata l’intuizione?

Buongiorno, innanzitutto. Dunque, come optometrista ho lavorato per anni con i bambini dislessici e occupandomi delle difficoltà di lettura ho osservato come i bambini riuscivano a leggere meglio se avevano ben presenti le dimensioni di spazio e tempo. Molti bambini dislessici sono anche disprassici, si muovono troppo velocemente o troppo lentamente rispetto allo stimolo. In poche parole, non hanno la giusta misura del tempo. Allora ho iniziato a collegare gli stimoli visivi a quelli motori, ho iniziato a fare delle prove con dei compagni di tennis di mio figlio e con mio figlio stesso allenando la reattività visiva e i risultati sono stati eccellenti.

Il discorso dell’allenamento visivo parte dal presupposto che gli occhi vedono, il cervello codifica e il corpo si muove. Lavorare su una migliore precisione, velocità e resistenza sia dei muscoli che delle abilità visive fa sì che il segnale arriverà più velocemente al cervello. L’idea del training visivo esiste ormai da decenni, ma non è mai stato sviluppato assieme al training motorio se non in modo molto blando. La mia idea è che il training visivo debba sì allenare gli stimoli visivi, ma anche collegarli direttamente agli stimoli motori. Cosa a cui, anche se sembra strano, sembrava non aver ancora pensato nessuno.

Dunque diciamo che l’idea di applicazione al tennis nasce in un contesto “familiare”, ma qual è stato il passaggio per arrivare alla collaborazione con Massimiliano Rinaudo?

Per prima cosa vorrei dire che il metodo non è valido solo per il tennis, tanto che esiste un protocollo già specifico anche per il volley: abbiamo il Novara Volley nella serie A femminile che si allena già da qualche mese con il nostro sistema. Detto questo, prima di conoscere Rinaudo e iniziare a collaborarci, ho impiegato cinque anni provando varie strade. Ho avuto contatti con circoli molto importanti della provincia di Torino, ho partecipato anche a livello pubblicitario a un 100.000 dollari qui al Circolo della Stampa per far conoscere la cosa, ma il problema è che la proposta non ha avuto molto successo. Credo che molti dubbi fossero anche di tipo tecnico perché ora come ora quello che si insegna è “prepara e colpisci” e tutto ciò che esula non viene preso in considerazione. Il nuovo fa sempre paura, ma mi rendo conto che per i professionisti è anche normale visto che in fin dei conti si tratta del loro lavoro… A quel punto ho iniziato di partire “dal basso” lavorando con i ragazzini e lì anche grazie alla fiducia del maestro Moreno Baccanelli che l’anno scorso lavorava a Cuneo, che è stato tra i primi a credere nella cosa e che mi ha presentato a Massimiliano Rinaudo. Ma questo è successo dopo un lungo lavoro di divulgazione, per cui la “sperimentazione” l’ho fatta lavorando con i ragazzini dei circoli di Cuneo e di Carmagnola, e posso dire con un certo orgoglio che i due finalisti del torneo Kinder per la categoria under-14 si sono  allenati entrambi con me. La struttura di lavoro del circolo di Rinaudo e la sua apertura mentale hanno fatto sì che si potesse studiare meglio una cosa che aveva già delle basi solide e l’abbiamo resa specifica per il tennis.

Corrado Barazzutti e Paul DorochenkoE il rapporto con Paul Dorochenko, altra personalità importante del progetto SVTA, come nasce?

L’ho conosciuto in Spagna, a Valencia, dove mi trovavo per frequentare un corso di tennis. L’ho incontrato lì, abbiamo iniziato a chiacchierare, abbiamo scoperto di avere molte idee in comune  e dopo una cena assieme anche ai maestri federali Donato Compagnoli e Paolo Pulerà è partita una collaborazione molto fitta tanto che poi Dorochenko mi ha invitato a Madrid a intervenire a un suo evento affine.

Quindi c’è stata una sorta di preview del metodo SVTA in Spagna prima dell’evento di Carmagnola del 20-21?

Sì, anche se tecnicamente sono stato lì solo in appoggio, ho parlato per le ultime due ore. Paul Dorochenko era curioso di sapere cosa avrebbero detto in Spagna delle mie idee. All’incontro c’erano psicologi dello sport, preparatori atletici e maestri di tennis che hanno mostrato interesse. Da lì le nostre strade non si sono mai divise e tra l’altro da quando Paul ha iniziato ad allenare Vasek Pospisil, l’ha fatto usando il nostro metodo. E da allora ho notato come il movimento di gambe di Pospisil è molto migliorato e questo è significativo per il nostro lavoro. Per usare una metafora a me cara: pensiamo a una cascata come il flusso di dati che i nostri occhi danno al cervello, che a sua volta può essere visto come un sasso e le gambe sono il fiume che scorre sotto. Il mio obiettivo è che il sasso venga tolto e che l’acqua scorra direttamente nel fiume. Non ci devono essere passaggi intermedi. Occhi, cervello e gambe devono essere una cosa sola.

Effettivamente l’immagine è molto suggestiva e il lavoro svolto dev’essere stato molto efficace visto che siete arrivati a organizzare questo convegno  coinvolgendo addirittura capitan Barazzutti. Qual è stata la reazione dei partecipanti?

Siamo stati molto felici della partecipazione di Barazzutti, certo. E poi c’erano maestri anche di alto livello con cui ho avuto modo di parlare e che mi hanno confermato che certe tecniche che io sperimento non esistono a livello mondiale. Il concetto di base che io ho nel mio lavoro è  “colpisci e muoviti”, quello attuale del mondo del tennis è: “dopo che l’altro ha colpito, muoviti”. Viene detto cosa fare dopo che l’avversario ha agito. Invece io insegno cosa fare dopo che io stesso ho agito.

Il feedback in generale è stato comunque ottimo, tanti ci hanno chiesto di acquistare il kit e ho avuto moltissimi contatti. Aspetto solo il tempo di portare a buon fine alcuni contatti importanti anche perché ho altri brevetti pronti come una macchina creata appositamente per allenare la risposta al servizio.

SVTAMolto interessante. E l’avete presentata a Carmagnola?

Sì, esattamente, è stata la chicca finale dell’evento di Carmagnola, ha suscitato molto interesse. Si tratta di una macchina elettronica per lavorare sul timing del servizio e basata su migliaia di video dei giocatori migliori degli ultimi dieci anni per cui posso dimostrare che se lo scatto viene fatto fuori tempo è più difficile – in generale- rispondere bene. Più ci si muove in sincronia con la palla, più la risposta può essere efficace ed efficiente.

Ad oggi non denoto né un metodo per la risposta al servizio, ce ne sono moltissimi e uno stesso atleta magari si muove diversamente tra una partita e l’altra, e soprattutto mi sembra un colpo poco curato dagli atleti che prima dei match non lo riscaldano mai.

È vero, in fase di riscaldamento si provano gli scambi, i servizi, le voleé ma la risposta no.

Esatto, e a mio dire la risposta dà più di tutti la possibilità della vittoria. Anche perché la possibilità di effettuare un break  è fondamentale per vincere una partita.

Tornando un attimo ai lavori del convegno, ha detto che c’è stato apprezzamento anche da parte di molti maestri di tennis che hanno anche chiesto di acquistare il kit. Ma sono in grado di utilizzarlo in maniera autonoma o serve una figura specifica che li accompagni?

Il kit di lavoro è gestibile dal maestro e dal preparatore atletico. È diviso in due parti, la parte principale per l’area visiva dove si fanno esercizi prettamente per gli occhi in sinergia con l’equilibrio, il sistema vestibolare, il movimento e -per ultimo- la gestualità del gioco del tennis.

Quindi i maestri possono lavorare in autonomia anche con il vostro metodo senza bisogno di una, per così dire, preparazione ulteriore di tipo teorico.

Certo! Come detto, il lavoro è molto semplice ed è propedeutico perché lavora sull’equilibrio che è la base del movimento. Se io alleno gli occhi assieme all’equilibrio, alleno il movimento stesso. Allenando tutto il preconcetto del movimento quindi, i bambini potranno muoversi bene sul campo. E poi la coordinazione. Ma come lavorare sulla coordinazione se non si sa camminare? Così l’allenamento visivo predispone all’allenamento propedeutico al vero gioco del tennis con i movimenti graduali per garantire la coordinazione vera.

Oltretutto, quello che mi ha fatto avere più successo è il fatto che io al maestro di tennis non suggerisco né cosa fare con l’allievo né come farlo, ma solo il quando farlo, cosa che i maestri non fanno.

SVTA

Insomma il vostro metodo integra il lavoro del maestro di tennis, non interviene su di esso.

Esattamente, lo integra. Al punto tale che per la presentazione di Carmagnola ho predisposto il kit con un percorso formativo molto simile a quello standard della scuola tennis italiana dove ci sono due livelli: uno propedeutico e di avviamento e l’altro di specializzazione e perfezionamento. Per la fase di propedeutica e avviamento ho elaborato un programma di lavoro per come va gestito il movimento del bambino senza la palla. Poiché studi confermano che il bambino fino a una certa età non ha la capacità di colpire una palla al volo, ho puntato a creare una didattica visuo-motoria per poter insegnare i movimenti uno per volta. Il problema che c’è oggi è che io lancio la palla e il bambino deve posizionarsi di lato, poggiare il piede avanti, iniziare l’apertura… Insomma, tutto ciò è talmente complesso che l’allievo molto giovane fa fatica. Io faccio fare esercizi per cui i bambini fanno un movimento per volta per arrivare a fare il tutto, fuori dal campo, idealizzare il colpo e poi entrare in campo. Il bambino fa degli esercizi preliminari con il mio metodo e dopodiché in campo con il maestro prova i colpi. La cosa positiva è che dà una gradualità al bambino che così non va in frustrazione e non ha subito voglia di cambiare sport… (ride).

E quindi tutte le critiche che si fanno a livello giovanile sulla discussa capacità di preparare gli allievi sul piano mentale –tanti i giovani che lasciano per la frustrazione- in un certo senso trovano nel metodo SVTA una risposta che potrebbe interessare alle federazioni?

Proprio per questo motivo aspetto un incontro con i vertici della FIT per capire se da parte loro ci può essere un interesse. In Spagna, presso la Città della Racchetta a Madrid, entro fine anno faremo una presentazione del metodo ai maestri interessati che sarà del tutto gratuita e sarà una presentazione informale anche per la federazione. Spero naturalmente di poter lavorare bene in Italia, ma ho anche l’esigenza di rientrare dei miei investimenti e grazie all’aiuto di Paul Dorochenko le strade in Spagna si stanno aprendo. Vedremo cosa succede, ma ho l’obiettivo di lavorare nel mio Paese. Di certo da parte nostra stiamo cercando di mettere sul mercato prodotti di alto livello tecnologico, ma anche dai costi ridotti. Il kit che abbiamo approntato, ad esempio, costa sui 290 euro e tutti gli altri dovranno restare intorno ai 500 euro in modo da permettere a ogni circolo di poterli acquistare.

SVTAPure la macchina per la risposta al servizio?

No, in effetti quella potrebbe costare un po’ di più perché intendo inserire i tempi di lancio di tutti i giocatori, un database complesso. Il concetto della macchina di risposta al servizio è quello che bisogna muoversi prima che la palla venga colpita. Grazie ai nostri studi possiamo anche capire presto qual è il piede dominante e quindi con quale piede partire nel movimento e come intervenire nei due momenti importanti: la palla che lascia la mano e la palla in cima prima di essere colpita. In modo da  cadere per terra esattamente mentre la palla sta partendo dalla racchetta, così da avere tutto lo spazio e tutto il tempo per rispondere, visto che la palla non avrà percorso nemmeno un centimetro di spazio. Se ho già finito lo step, sono fermo e quindi in una condizione ottimale per colpire, la qualità dell’inseguimento della palla sarà migliore perché non sarò più per aria.

La macchina avrà anche dei timing diversificati studiando i lanci dei diversi giocatori. Se, per dire, lancia Dolgopolov il movimento di piedi dovrà essere molto veloce, se lancia Isner dovrà essere significativamente più lento.  Ad oggi la preparazione del “prima che colpisci” non esiste, si va a intuizione o si fa lo step dopo che il giocatore al servizio ha colpito. Così facendo, anche i migliori risponditori si stanno preparando quando la palla ha già percorso quattro-cinque metri.

Stavo pensando tra l’altro che proprio questa nuova generazione di tennisti, già affermati come Raonic, o in fase di crescita come Kyrgios, si contraddistingue per essere costituita da grandissimi battitori quindi possiamo immaginare, con il vostro metodo, tennisti la cui qualità alla risposta possa migliorare al punto da non renderli “vittime” del servizio potentissimo di giocatori del genere. Un sospiro di sollievo per gli appassionati spaventati dal tennis tutto servizio, no?

Assolutamente. Io alleno, tra gli altri, un ragazzino di 13 anni che gioca tornei con gli adulti e risponde tranquillamente a maestri che servono a duecento chilometri all’ora  e questa è la mia soddisfazione per eccellenza. Soprattutto perché capire che un ragazzino di quell’età, senza la muscolatura né l’altezza adeguate per contrapporsi a un adulto, riesce comunque a rispondere, è un risultato del tipo di allenamento che promuovo. Naturalmente non significa necessariamente rispondere bene, ma è già un risultato di per sé. La velocità degli occhi, l’ideazione motoria più il movimento stesso –se compiuti bene-  impiegano lo stesso tempo che la palla impiega ad arrivare a 230 chilometri all’ora.

Incredibile, davvero. Ma si può pensare di applicare questo allenamento della capacità reattiva anche ad altre fasi del gioco?

Nell’ottica dei nostri studi per adesso abbiamo uno strumento per il timing da fondocampo che è in progettazione da un anno e presto sarà sul mercato. Per me un giocatore di livello è Nishikori, per la capacità che ha di stare sempre sulla riga di fondo e la mobilità che ha con le gambe. Il mio strumento aiuta i riflessi a muoversi in questo modo, quindi cercare di pressare ed essere sempre propositivo. Se io vedo tardi la palla, sarò costretto ad arretrare, perderò spazio e perderò tempo, se la vedo prima non avrò bisogno di allontanarmi dalla riga di fondo.

Altra cosa importante, la reattività serve affinché l’atleta faccia tutto in piena consapevolezza durante l’allenamento, ma che arrivi ad avere un elevato automatismo in partita. Perché l’automatismo ti porta a non pensare. Attenzione però: perché se io non ho costruito delle certezze durante l’allenamento e quindi non ho consapevolezza, visto che non so cosa sto facendo e lo faccio e basta, allora come farò ad avere un automatismo durante la partita? Sarebbe un automatismo continuo che, inevitabilmente, sfocia nell’errore e causa frustrazione. Ma se avrò sviluppato la consapevolezza durante l’allenamento, quando andrò in partita mi accorgerò di aver sbagliato il tempo e non dirò: “il mio avversario è forte”, ma “sono io che non ho reagito in maniera adeguata allo stimolo” e quindi nel colpo successivo sarò pronto a reagire nel modo migliore.

Quindi il metodo SVTA influisce positivamente anche sulla parte mentale dell’atleta che, specie nel tennis contemporaneo, è fondamentale per poter costruire carriere importanti.

Certo! In più se io avrò i miei occhi molto preparati e attivi e avrò velocità elevate sia di vista che di gambe durante lo scambio avrò maggiore reattività sui rimbalzi anomali e, se sarò costretto a fronteggiare un’accelerazione del mio avversario, non dovrò aumentare la mia attenzione e quindi non dovrò pensare. Pensare significa sbagliare. Il nostro metodo non migliora negli allievi la forza dei propri muscoli, ma fa in modo che possano gestirli al meglio se sono allenati, che abbiano il tempo di usarli al meglio.

E questo tipo di allenamento tra gli allievi riscuote successo?

Certo! Innanzitutto abbiamo visto che in una dozzina di lezioni riusciamo ad avere bambini in grado di tenere scambi di venti-venticinque colpi. E così il bambino si appassiona, si sente “capace” e non si allontana da questo sport. E poi mi accorgo che dopo aver spiegato anche solo una volta questi concetti, i giocatori sentono di poter rispondere con più facilità.  “Scoprono” di avere il tempo. Poi naturalmente bisogna affinare il tutto con la tecnica. Pensiamo ad esempio a Djokovic che faceva il doppio step in risposta fino a qualche anno fa e quando lo faceva in modo corretto sembrava che la palla da lui non arrivasse mai. Era a tempo, non in anticipo –perché l’anticipo è sbagliato-, ma essere a tempo vuol dire condizionare la mia fissazione visiva. Fisso quando la palla è ferma, mi muovo quando la palla è in movimento, rifisso la palla quando la palla è di nuovo ferma. Questo farà sì sempre che io sia il più preciso possibile. Il concetto fondamentale è quello di muoversi sempre con la palla e non con l’atleta.

Per concludere vorrei fare notare che questo è anche il difetto di molti grandi battitori che tengono la testa già in alto mentre il lancio di palla non è ancora compiuto. Come fanno a sapere come si muove l’avversario se tengono la testa così alta? Alla lunga il giocatore in risposta è in grado di muoversi in anticipo. Ed ecco perché giocatori come Isner che tengono sempre la testa alta, ma –nonostante le velocità siderali- subiscono molti break, mentre Federer ad esempio non alza mai la testa, ma guarda l’avversario e segue la palla in alto solo con la vista periferica. In qualche modo Roger applica un tipo di allenamento visuale al servizio.

Un esempio vivente, quindi. Spera di poter lavorare con un giocatore del livello di Federer un giorno, se mai ce ne sarà di nuovo un altro?

(Ride). Difficile che succeda, ma chissà… Sarebbe un sogno!

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