Vicente Cuairan: “Formiamo persone e alleniamo campioni”

Vicente Cuairan

di Paolo Silvestri

Abbiamo il piacere di intervistare il coach spagnolo Vicente Cuairán, fondatore e responsabile di Tennis Mind Institute, società specializzata nel lavoro sul fattore mentale del gioco.

Vicente, ci racconti quando e come è nata l’idea di Tennis Mind Institute?
TMI è nato circa tre anni fa e l’obiettivo era riempire un vuoto, nell’area specifica dell’aspetto mentale. Nell’ambito della psicologia sportiva mancava, a nostro avviso, una specializzazione concreta per uno sport così mentale come il tennis. A partire da una Master in coaching che feci presso la Federazione Spagnola, mi sono messo a studiare la questione mentale a tempo pieno, completando anche i miei studi di psicologia e pedagogia.

Tu hai giocato a tennis professionalmente?
Ho giocato, ma non sono arrivato al professionismo. Proprio perché non mi conoscevo.

Quindi nel tuo caso pensi che sia stato proprio il fattore mentale che ti ha impedito di decollare come giocatore?
Sì sì.  Se mi fossi conosciuto come mi conosco adesso, sarei riuscito a concentrarmi pienamente sul tennis. Non so dove sarei potuto arrivare, ma avrei dato il meglio di me stesso.

Vicente Cuairan

Che tipo di servizi offre Tennis Mind Institute?
TMI ha tre pilastri fondamentali, che corrispondono ai tre servizi che offriamo:  Mentality Club, dedicato ai circoli, in cui proponiamo l’integrazione del lavoro mentale nell’allenamento, Mentality Player, dedicato specificamente ai giocatori professionisti ed agonisti, e Mentality Formación, attraverso il quale organizziamo clinics e corsi di aggiornamento. È fondamentale per noi poter interagire con coach, tecnici, maestri e genitori, spiegando loro cosa è e come si lavora la forza mentale in un tennista. Quello che ci proponiamo è che questi valori arrivino a tutti, non solo ai professionisti. E alla fine l’obiettivo è che il giocatore si diverta ed applichi delle norme al suo gioco che gli permettano di esprimere in campo tutto il suo potenziale, indipendentemente dal suo livello.

Mi sembra interessante, perché psicologi specializzati per professionisti ce ne sono, ma mi sembra innovativo che voi vi rivolgiate ad uno spettro così ampio di utenti. Perché è un problema che hanno tutti, dai top player fino all’ultimo giocatore di club
Certo, i meccanismi mentali sono in generale gli stessi. Naturalmente un professionista ha un’ esperienza specifica e la mente più allenata, ma certe regole sono le stesse per tutti.

E quello mentale è unanimemente considerato un fattore decisivo nel nostro sport
Infatti. Noi parliamo con moltissimi giocatori e tutti concordano nel dire che la parte mentale è fondamentale, però risulta sorprendente che pochi di loro lavorino specificamente su questo aspetto. Ci siamo allora chiesti il perché e siamo arrivati alla conclusione che finora le cose non si sono fatte bene, nel senso che spesso abbiamo usato un linguaggio troppo tecnico, e noi ci proponiamo proprio di abbassare il linguaggio “a livello tennis”, in modo che il giocatore capisca che il lavoro che facciamo con lui non è una teoria lontana dal suo mondo. Per questo è fondamentale che lo psicologo/coach scenda in campo con il giocatore e si alleni con lui. Credo che dobbiamo intonare un mea culpa e capire che la psicologia sportiva deve integrarsi come una parte dell’allenamento, non presentarsi come una disciplina esterna. Ed è fondamentale quindi che chi si occupa della questione mentale conosca davvero il tennis. Il lavoro mentale si deve integrare con gli altri aspetti classici dell’allenamento, tecnici e tattici.

Collaborate con giocatori profesionisti?
Per il momento in modo stabile no, ma a livello di consulenze puntuali sì. Per esempio nella clinic che abbiamo organizzato recentemente a Pozoblanco (sede per anni di un Challenger, ora divenuto Future, NdR) abbiamo stabilito contatti con vari giocatori. E adesso io ed i miei collaboratori stiamo creando un team agonistico (www.mentalityteam.com), basato sull’idea che il giocatore professionista abbia a che fare con un coach capace di integrare psicologia, tecnica e tattica in modo organico.

E quali sono per te le caratteristiche ottimali che dovrebbe avere un campione?
La differenza risiede nella gestione dei momenti difficili del match. Quando tutto va bene, quando “senti” la palla, anche un giocatore scarso gioca bene. Il problema è come agire quando le cose non vanno tanto bene ed abiturasi a gestire le situazioni critiche dal punto di vista mentale ed emozionale. Questa è la differenza fra i giocatori buoni ed i migliori. Per questo Nadal è quello che è, perché non possiamo dire che a livello tennistico sia il migliore ma, come credo abbia detto suo zio, è il giocatore che vince più match quando gioca male, proprio grazie alla forza mentale. Molti giocatori focalizzano la loro attenzione su come si sentono per aver sbagliato, invece di focalizzarla su come possono fare per superare la situazione negativa nella quale si trovano. In sostanza bisogna aver un atteggiamento ottimista, concentrandosi sul compito da svolgere nel momento presente, senza pensare al passato né cercare di prevedere quello che succederà. Se il giocatore sa assumere quello che definiamo atteggiamento TOP (Tarea, Optimismo, Presente), saprà gestire meglio le situazioni difficili.

cuairan3In ogni caso per me la forza mentale di un grande campione sta non solo nella gestione dei match, ma nella gestione delle enormi pressioni esterne alle quali si vede sottoposto nella sua vita quotidiana. Nadal secondo me è un fuoriserie soprattutto in questo senso. Tu che ne pensi?
Sì, hai ragione. Ma un tennista è una persona ed il suo comportamento in campo non è che il riflesso di quello che è il suo comportamento nella vita. La mente non è un’esperta di tennis. La mente riceve informazioni ed elabora risposte, tanto se sei in un campo da tennis, o in giro con gli amici o in vacanza con la famiglia.  A noi piace dire che formiamo persone ed alleniamo campioni. Formare le persone significa trasmettere una serie di valori e di norme che permettano loro di comportarsi al meglio nelle situazioni che vivono fuori e dentro il campo. Dobbiamo fare fuori dal campo “allenamento verbale” focalizzandoci sui valori che poi il giocatore porterà in campo. In sostanza è quello che Xavi Budó (coach di Carla Suárez, NdR) definisce entrenamiento en palabras.

Qualche settimana fa abbiamo fatto un’intervista a Carlos Boluda. Che ne pensi di quello che gli è successo in questi anni? Lui non è riuscito, almeno finora, a sopportare la pressione esterna. Il suo nemico è stata la mente, ma soprattutto fuori dal campo
Non conosco la situazione di Carlos dall’interno, ma conosco il suo attuale allenatore, Óscar Burrieza, e credo che stiano lavorando in modo corretto per superare questo scoglio. Direi come spettatore esterno che il problema di Carlos e di molti giocatori è stata soprattutto la pressione delle aspettative. Alla fine uno è quello che crede o gli fanno credere di essere. Se ti portano a credere ad una serie di aspettative che poi non si compiono, la frustrazione è considerevole. È fondamentale quello che ha fatto Toni Nadal con Rafa, riportandolo sempre “a terra” dopo le sue vittorie quando era un ragazzino. Troppo spesso si sopravvalutano i successi a livello infantile e giovanile, e se poi non arriva la ricompensa sperata è difficile gestire la situazione a livello emozionale. Il ruolo del clan che circonda un giovane tennista è fondamentale per aiutarlo a mantenere i piedi per terra, e fargli capire  che i risultati che si possono ottenere da ragazzini non garantiscono niente e bisogna concentrarsi, ancora una volta, sul presente. Ok, hai vinto oggi, ma se vuoi vincere domani devi continuare a lavorare. Va bene, sei sulla strada che ti può portare a ottenere qualcosa, ma devi costruirlo giorno dopo giorno, e non devi montarti la testa.

Hai avuto qualche contatto con il mondo del tennis italiano?
No…. conosco solo Andrea Cagno, perché abbiamo entrambi partecipato ad una conferenza, e mi sembra molto interessante quello che fa.

Beh, allora spero davvero che grazie a questa intervista ti conoscano anche in Italia. Magari potresti aiutare Fognini…
Guarda, ho interagito con Perlas via Twitter a proposito del famoso episodio di Shanghai. Tra l’altro pensa che proprio uno dei giocatori con i quali ho lavorato a fine agosto nella clinic di Pozoblanco è stato Wang Chuhan (sconfitto in semifinale, NdR), e mi è sembrato curioso che poche settimane dopo battesse un giocatore come Fognini. Con questo non voglio farmi pubblicità né dire che sia merito mio, ci mancherebbe… ma comunque ti dicevo che mandai un tweet a Perlas consigliandogli di far vedere a Fabio “un video nel quale avrebbe trovato molte risposte”. Il video è un’intervista bellissima e commovente fatta al campione di nuoto spagnolo Enhamed Enhamed, cieco dall’età di otto anni, in cui si parla proprio dei valori che cerco di trasmettere io ai giocatori. Perlas mi rispose che avevo ragione, ma anche che Fabio aveva reagito così a un grave insulto del pubblico.

È un peccato, perché Fabio ha un potenziale incredibile
Sì, come Verdasco. Sono due giocatori che potrebbero passare alla storia del tennis. Non li conosco bene e non voglio emettere guidizi, ma la mia impressione è che se riorganizzasero la loro scala di valori le cose cambierebbero. Siamo ciò che crediamo di essere e agiamo di conseguenza. Perché di fronte a una stessa situazione un giocatore ha una reazione e un altro no? La situazione non la cambi, non si può evitare di sbagliare una palla o perdere una partita, ma si può cambiare il modo di gestirla. La gestione mentale dei match di giocatori come Verdasco o Fognini li limita, e forse gli succede qualcosa di simile anche fuori dal campo. Ma modificando i valori e l’interpretazione delle situazioni, la risposta può essere differente. Se riuscissimo a far capire questo a un giocatore come Fognini, o Verdasco, avremmmo un Nadal che per di più gioca in modo meraviglioso.

cuairan4Però il tempo stringe, nel senso che la vita di un tennista non è eterna…
Già, il  problema è che ci si può rendere conto di certe cose quando ormai è tardi dal puno di vista tennistico, un po’ come è successo a me. Ma evidentemente la tua visione della vita cambia e non è la stessa a venti e a quarant’anni. Come ti dicevo prima se io mi fossi conociuto a vent’anni come mi conosco adesso, tutto sarebbe stato probabilmente diverso. Ma questa è la vita…

Ma è anche la grandezza dello sport, e in particolare di uno sport come il tennis, perchè ti aiuta a conoscerti
Sì, perché ti aiuta a vivere il presente, a identificare quello che non va e a cercare delle soluzioni. Il passo difficile è proprio identificare e riconoscere quello che non va. Ed è difficile soprattutto per i campioni di alto livello, che spesso hanno un Ego immenso.

Grazie Vicente per il tempo che ci hai dedicato, e per le questioni interessantissime che hai sollevato
Grazie a voi. Vorrei solo concludere dicendo che per me la migliore soddisfazione è che un giocatore mi dica “questo mi sta servendo, e non solo per il mio tennis, ma anche nella mia vita”. Il padre di un mio allievo un giorno mi ha detto “ti ho lasciato un ragazzino e mi hai restituito un uomo”. Ecco, questa è la cosa migliore che mi si possa dire. Se vincerà o non vincerà il Roland Grarros o Wimbledon, diventa per me secondario.

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