Roberto Marcora: “Io top-100? Perché no”

marcora interno

di Alessandro Mastroluca

“Ho capito che non ci sono limiti”. Il 2014 ha segnato una svolta nella stagione di Roberto Marcora, che ha sfiorato l’ingresso in top-200, giocato le prime semifinali a livello Challenger e debuttato nelle qualificazioni di uno slam, a New York. “Io sono un maniaco della perfezione” ci racconta, “non accetto mai l’errore, e questo nel tennis mi provoca frustrazione, una rabbia che non mi è sempre facile controllare”.

Una perfezione che non ha trovato nei tornei indoor di inizio stagione. “Con Uros Vico abbiamo lavorato su tutti gli aspetti del gioco in inverno: sul dritto, che sento un po’ meno bene, sul servizio, sull’aspetto mentale”. Ma i risultati non arrivano. Roberto è ambizioso, e sceglie di provare le qualificazioni agli ATP 250 a Montpellier e a Marsiglia. “A fine 2013 mi ero detto che avrei voluto giocare più challenger che future” spiega, “e poi non avevo voglia di andare a giocare un 10k in Spagna o a Antalya sul duro. In Inghilterra ho giocato una bruttissima partita contro Aswat (che lo batte 64 64 al secondo turno, NdI), non ero in fiducia, giocavo male, facevo pochi punti. A me giocare indoor proprio non piace. Tutti mi dicono che dovrei far bene su questa superficie con il mio tennis, ma non è vero. D’accordo, servo bene, ma servono benissimo anche gli altri, gli specialisti. E loro, a differenza di me, rispondono anche benissimo. Io ho sempre giocato sulla terra, e soprattutto mi sono sempre allenato sulla terra, mi manca l’abitudine a trovare i meccanismi giusti sul veloce. Per cui devo ammettere che l’obiettivo di migliorare su questa superficie non l’abbiamo raggiunto. Nei challenger non ho ancora lo stesso livello degli altri”.

Dopo un paio di secondi turni in America, “anche lì non mi sono trovato bene, è stato il punto più basso della stagione”, va a giocare le qualificazioni a Casablanca. Proprio la settimana prima di partire per il Marocco, “tramite la mia fisioterapista, che abita vicino casa mia a Busto Arsizio, ho incontrato un mental trainer”, Roberto Botturi. “Mi sono trovato subito benissimo con lui, abbiamo cominciato a lavorare sugli aspetti mentali, sulla fiducia: il tennis, si sa, è per l’80% una questione di testa. Non è facile spiegare cosa facciamo, anche perché in campo non è che applichi il compitino o le istruzioni che ti danno. Abbiamo parlato, mi ha fatto capire quanto fosse dannoso e controproducente per me quello che facevo prima. E a un certo punto mi sono detto: perché devo continuare a farmi del male? E non l’ho fatto più”.

I risultati, coincidenza o no, sono immediati. “Se dovessi indicare adesso di cosa non si può fare a meno nel tennis moderno, direi senza dubbio un mental trainer” racconta Roberto, che a Casablanca debutta nel tabellone di quali battendo lo spagnolo Enrique Lopez-Perez, allora numero 218 del mondo, e a sorpresa al secondo turno si ritrova di fronte Gilles Simon, che si era iscritto solo all’ultimo al torneo, a wild card già assegnate. “Abbiamo giocato sul campo numero 1, pieno di gente, è stato molto bello. Simon, devo essere onesto, non ha giocato al suo livello, certo non come in finale a Shanghai contro Federer. Io inizio un po’ contratto, poi mi sciolgo, vinco il primo 7-5 e al secondo arriviamo sul 5-5: insomma, sono vicino alla vittoria. Poi sul 6-5 prendo un break un po’ da stupido e nel terzo vado subito sotto 0-2. Qui inizio a sentire quel dolore alla spalla che poi mi farà restare fermo sei settimane a settembre, perdo 6-0 al terzo ma prendo grande fiducia”.

Torna allora in Italia e gioca un paio di settimane a Santa Margherita di Pula. “Al primo 10k faccio semifinale, perdo da Donati, ma sento che sto giocando meglio. Uros mi dice che è importante restare un’altra settimana, e vinco il torneo”. Gioca tutte partite finite al terzo set, con tre rimonte consecutive e diversi match point salvati prima di battere Vanni in semifinale e Sinicropi in finale. Non entra nelle pre-quali degli Internazionali e “si consola” con altri due titoli, in Sardegna e al Future di Bergamo. È la parte migliore della stagione.

“Vado a Mestre e in quali batto il giapponese Nishioka, poi perdo al primo turno da Cecchinato”, ma l’estate gli riserva solo soddisfazioni. Si qualifica a Praga e raggiunge i primi quarti di finale Challenger in carriera: supera Jaroslav Pospisil e Laksonen, prima di cedere a Michael Lammer che ha alzato la Coppa Davis insieme a Federer e Wawrinka (con l’unico contributo stagionale del successo in doppio sulla Serbia in coppia con Chiudinelli). Passa le quali anche al challenger di Milano, ma al primo turno si scontra con Maximo Gonzalez, e va a giocare il torneo di casa, a Busto Arsizio, organizzato dal padre nel circolo in cui è cresciuto allenandosi non più di due ore al giorno, non esattamente la preparazione migliore per un professionista in fieri. Eppure Roberto, aiutato dal padre e pochi altri organizzativamente, ha mostrato progressi enormi, notati anche da Bob Brett con cui si è allenato qualche giorno a Sanremo nell’estate del 2009. “Mi ricorda Marin Cilic quando è venuto per la prima volta da me” diceva allora. “Ha buona reattività, un bel timing sulla palla, grande potenza, colpi estremamente naturali, ottimi soprattutto quelli di inizio gioco…E’ sorprendente dove sia arrivato senza essere assistito da una seria condizione atletica”. I punti di forza sono rimasti, la preparazione atletica adesso non è certo paragonabile a quella di qualche anno fa, e gli orizzonti sono ancora tutti da cercare, perché le grandi destinazioni non sono già tutte descritte.

In finale, però, contro Travaglia, qualcosa va storto. “Ero avanti 4-2 40-30 e servizio. Però mi torna il dolore alla spalla, in fondo giocavo da 9 settimane di fila, e perdo 64 al terzo”. Non si ferma però, e pagherà questa ingenuità a settembre. Accetta la wild card per il Challenger di Todi poi, con la prospettiva ormai concreta di entrare nelle qualificazioni allo Us Open, fa un passo indietro. “Con Uros avevamo deciso che avrei giocato le quali all’ATP di Bastad e in un challenger in Polonia. Ma io penso che così avrei rischiato di fare zero punti o quasi, così invece decido di giocare i 15k sulla terra a Sassuolo e Modena. E purtroppo faccio pochissimi punti. Allora vado al challenger di Oberstaufen: è l’ultima settimana prima che chiuda l’entry list a New York, e Roberto non è ancora sicuro di essere nel tabellone di qualificazioni. “Al primo turno vinco con Fischer, che mi aveva battuto indoor e che come me gioca meglio sulla terra. Pensavo poi che mi sarebbe bastato vincere con Safwat al secondo turno per andare a New York. Per cui scendo in campo tesissimo, gioco maluccio ma vinco al terzo, facendomi anche rimontare da 5-2 a 5-4 nel set decisivo. A fine partita Uros mi dice che in realtà ancora non basta. Nei quarti affronto Gojowczyk, che sulla terra è così così, ma sul veloce ha dimostrato di essere pericolosissimo (ha tolto un set a Nadal. NdR). Lui forse mi ha un po’ sottovalutato. Io però ho giocato a braccio sciolto: è una di quelle partite che ti riescono forse 2-3 volte l’anno, non di più. Nel secondo lui poi ha cominciato a tirar fuori tutto dal 3-1, vinco 6-3 6-1 e sono certo di andare a New York. In semifinale perdo da Berrer, in quella che comunque per me è una delle mie migliori partite del 2014”.

A Cortina bissa la semifinale. “Gioco un po’ meno bene, perché i campi erano sì in terra ma velocissimi, avevano lasciato l’erba sintetica sotto e poi in altura la palla viaggia di più”, ma chiude con più di qualche rimpianto per i due set point non sfruttati in semifinale contro Gaio, da cui ha perso anche al Challenger di Bergamo. La settimana dopo ritrova Gojowczyk a San Marino. “Stavolta mi sottovaluta meno”, ammette, ma se la forma cambia, la sostanza è la stessa: 75 76 per l’azzurro che diventa un po’ la bestia nera del tedesco.

La testa però è già a New York. “I wanna be a part of it” cantava Liza Minnelli. E per Marcora il primo Slam, nella terra delle opportunità e della ricerca della felicità, è un sogno che si realizza. “Avevo l’armadietto tra Federer e Murray” racconta, “mi sentivo come un bambino a Disneyland”. Poco importa che la qualificazione non arriva, Bagnis al secondo turno non è avversario comodo, soprattutto per chi è all’esordio in un major, ma il valore dell’esperienza è enorme. È una presa di coscienza, è guardarsi con occhi diversi, è vedere che i grandi, i top-100 sono distanti ma non lontani, che si possono vedere, toccare, raggiungere. “Se due anni fa mi avessi detto ‘credi di poter entrare tra i primi 100’ ti avrei detto di no. Adesso ti direi ‘perché no’. L’obiettivo c’è, non metto un limite di tempo, può essere l’anno prossimo, può essere fra due o tre stagioni perché l’età media dei top players si sta alzando, e l’esperienza, il saper stare in campo, conta più di qualche anno fa”.

Purtroppo al ritorno da New York, a Brasov, la spalla torna a mandare segnali di allarme. “Al secondo turno contro Grygelis ogni volta che servivo, sentivo come una scossa elettrica e non riuscivo nemmeno ad alzare il braccio al colpo successivo”. Resta fermo sei settimane, e chiude con tre sconfitte sul veloce che non adombrano la sua stagione: cede a Ortisei a Austin Krajicek, rivelazione del torneo, a Helsinki da Hanescu e a Andria dal futuro vincitore Ricardas Berankis. Tre sconfitte che però gli lasciano un po’ di rammarico, e danno la misura del Marcora 2.0. “Mi è dispiaciuto un po’ finire così la stagione. Di solito, quando arrivava novembre non avevo voglia di toccare la racchetta per almeno dieci giorni. Adesso invece se potessi giocherei ancora tornei”.

L’attesa comunque sarà breve per Roberto, che proprio oggi (lunedì 24 novembre, NdR) ha iniziato la preparazione in vista del 2015. A dicembre, poi, nell’ambito della collaborazione tra il Tennis Club Milano dove si allena e il team di Riccardo Piatti, passerà 10-15 giorni a Bordighera con tutto il suo staff, allenandosi con Cecchinato, Delic e per qualche giorno anche con Raonic. L’obiettivo, spiega, “è lavorare su tutti gli aspetti del gioco, ma soprattutto su come guadagnare campo. L’obiettivo è arrivare con i piedi più vicino alla riga, che mi può aiutare molto soprattutto sul veloce”.

Poi alla vigilia di Capodanno, si parte per l’Australia. “Proverò forse le qualificazioni a Brisbane o il nuovo Challenger a Happy Valley, con l’obiettivo di arrivare bene alle quali dell’Australian Open. E non vado lì per partecipare. Una volta che sono in pista, ballo fino in fondo”.

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