“Winning Ugly” di Gilbert in italiano…

Per molti appassionati è la Bibbia tennistica da portarsi nella borsa e sbirciare ai cambi di campo, soprattutto quando le cose si mettono male. Vincere Sporco (320 pagine, 17,50 euro), il Vangelo secondo Brad Gilbert, è diventato un bestseller negli States ma da oggi è disponibile anche in edizione italiana in tutte le librerie grazie a Priuli&Verlucca. Vanni Gibertini, che si è occupato della traduzione, è volato a New York per intervistare coach Gilbert. E capire come è nato il miglior libro di tattica e psicologia applicate al tennis (e non solo). Perché come dice Brad “non migliorerò necessariamente il tuo tennis. Ma ti aiuterò a vincere di più”.

Come ti è venuta l’idea di scrivere un libro come Vincere Sporco?

Mi sembra fosse il 1991, avevo ancora i capelli all’epoca e mi allenavo regolarmente al San Francisco Tennis Club, una struttura indoor con molti campi. Conoscevo un membro di quel club, Steve Jamison, che è poi diventato il coautore del libro, ed il suo avversario abituale, con il quale giocava 3-4 volte a settimana. Mi vedevano sempre in giro per il circolo e l’idea del libro è nata da una scommessa tra loro. L’avversario di Steve era un produttore di uno show televisivo per una tv locale e stava cercando di farsi pubblicare un libro che aveva scritto, ma senza successo. Steve quindi, quasi per provocarlo, gli disse “Scommettiamo che se scrivo io un libro con quel tipo lì, cioè io, riesco a farmelo pubblicare?”. E così un giorno venne a parlarmi e mi propose il progetto. Dopo averci riflettuto un attimo accettai e in poco più di un mese scrivemmo il libro. Steve non aveva mai fatto una cosa del genere prima, non aveva alcuna esperienza, alcun contatto editoriale, e nonostante ciò è riuscito a farlo pubblicare. Sono passati più di vent’anni ed il libro è ancora attuale.

E mentre stavate scrivendo questo libro, come pensavate sarebbe stato utilizzato dai lettori? Perché a questo proposito ho un breve aneddoto da raccontarti. Io comprai il libro tanti anni fa per regalarlo a mio fratello, che è un giocatore di terza categoria. Il suo inglese all’epoca era abbastanza traballante, ma un giorno lo trovai che leggeva il libro, con il dizionario a fianco per cercare il significato delle parole che non conosceva, e stava preparando una tabella schematica da tenere nella sua sacca in modo da avere dei punti di riferimento, un elenco di possibili soluzioni alternative da utilizzare ogni volta che si trovava di fronte ad un nuovo avversario. Era nelle vostre intenzioni quello di costruire una sorta di “prontuario del gioco” per i giocatori di club?

Quando si inizia a fare qualcosa di questo tipo non si sa mai esattamente quale sarà il prodotto finale. Noi abbiamo scritto questo libro principalmente per divertirci. In tutto quello che faccio cerco sempre di documentarmi e soprattutto di osservare. Steve giocava a tennis sempre con i soliti 3-4 avversari al circolo e quando gli chiedevo quali fossero i punti di forza e le debolezze dei suoi avversari abituali, mi rendevo conto che non aveva idea di cosa stessi parlando. Tutti i giocatori di club vogliono migliorare, per cui l’idea era quella di aiutarli a capire i punti di forza e le debolezze, loro e degli avversari, e come fare in modo che gli uni vadano a scontrarsi con le altre nella maniera più vantaggiosa possibile. Ogni giocatore di club può essere aiutato a massimizzare i risultati del proprio tennis, proprio come in ogni azienda si cerca di massimizzare ciò che si ottiene dalle risorse a disposizione.

E adesso con le tecnologie moderne, i computer, i tablet, si può arrivare ad individuare in maniera quasi istantanea il tipo di tattica da adottare contro qualunque avversario in base alle sue caratteristiche.

Beh, quando avevo 17-18 anni, non c’erano smartphone o iPad, non giravamo con i coach, quello che avevamo a disposizione era essenzialmente un bloc notes e una penna. L’unico strumento a disposizione era il “test visivo”: ogni volta che osservavo un giocatore nuovo, prendevo appunti sul suo tipo di gioco. “Quando è sotto pressione cerca sempre il diritto lungolinea”, “il rovescio è approssimativo”. E quando giocavo contro un avversario nuovo mi annotavo sempre le mie impressioni, i suoi punti di forza, le situazioni di gioco nelle quali sentivo avere le chance maggiori di portare a casa il punto e le sue principali abitudini di gioco. Un po’ come un ricettario. Certo, non giocheranno sempre così, potranno sempre cambiare qualcosa nei match successivi, ma se mi rendo conto che un giocatore fatica sul passante di rovescio, provo a fargliene giocare uno sul 4-4; se serve sempre al centro, mi sposto sulla risposta per costringerlo a battere in una direzione che non è congegnale per lui.

Nell’ultima edizione del libro, hai aggiunto una sezione che sintetizza in maniera molto efficace i cambiamenti avvenuti nel tennis professionistico negli ultimi 10-15 anni. Sostanzialmente si tratta di tre grossi cambiamenti: l’evoluzione dei materiali di corde e racchette, l’omologazione della velocità delle superfici e l’accresciuta importanza della preparazione fisica. Cosa ne pensi dell’impatto della tecnologica sul tennis ai massimi livelli?

E’ incredibile come sia possibile mettere insieme con estrema facilità un video di otto minuti sulle caratteristiche di un giocatore, ma i grandi campioni come Federer e Nadal, hanno la capacità di cambiare le loro scelte a seconda delle situazioni. Magari per il 150 del mondo è meno semplice variare i propri automatismi, ma anche se le statistiche e i software di analisi sembrano poter fornire le risposte a tutte le domande, rimane sempre il fattore umano che interviene nei match e che rende i risultati imprevedibili.

Nel tuo libro descrivi otto categorie di giocatori: ci sono il regolarista, il giocatore rapido…

Che sono i due più grandi spauracchi del giocatore di club. A quel livello infatti, ciò che decide le partite sono più che mai gli errori gratuiti, e chi manda di là la palla una volta di più tende a vincere parecchi match. Chi insegue i colpi vincenti finisce sempre per commettere molti più errori gratuiti di quanto non riesca a realizzare vincenti. Per esempio, se si riesce a mettere a segno due colpi vincenti ma nel provarci si commettono otto errori gratuiti, il saldo è comunque negativo. E poi ci sono parecchi giocatori di club che sono terrorizzati all’idea di giocare contro un mancino. E io dico: perché non provare a pensare a cosa può metterli in difficoltà piuttosto che scendere in campo già sconfitti in partenza o quasi?

Se dovessi aggiungere una sezione nel libro per esprimere la tua opinione su uno degli argomenti tecnici più discussi in questo periodo, ovvero la superiorità o meno del rovescio a due mani su quello a una, cosa scriveresti?

Non c’è alcun dubbio che è cinquanta volte più semplice colpire una palla con un rovescio a due mani, specialmente per un bambino che comincia a giocare. Il rovescio consente di colpire la palla in anticipo, prima che salga eccessivamente e diventi troppo alta per poter essere giocata efficacemente. Ci sono troppe situazioni nelle quali un giocatore con il rovescio bimane è avvantaggiato. I giocatori più versatili sono quelli che giocano il rovescio a due mani e riescono a staccare la mano non dominante per giocare lo slice, ma se dovessi insegnare ad un bambino il colpo partendo da zero, senza dubbio opterei per l’impostazione bimane, soprattutto perché, indipendentemente da quanto possa essere forte un rovescio ad una mano, è impossibile rispondere ad una prima di servizio violenta giocando il colpo completo con una mano sola. Federer può giocare un’ottima risposta di rovescio bloccata, ma è impossibile fare il movimento completo in risposta come invece riusciva a fare Agassi prima, Djokovic o Murray adesso. Non ho mai visto nessuno in vita mia riuscire a fare una cosa del genere, e lo dico da giocatore con il rovescio ad una mano. Credo quindi che dal punto di vista potenziale sia meglio impostare un bambino con il rovescio a due mani. Ovviamente poi ci sono le eccezioni, come possono essere Federer, Haas, Gasquet o Wawrinka, ma ragionando sui grandi numeri è più probabile che un giocatore medio sia più forte con il rovescio bimane.

Si è parlato molto nel corso di questa stagione della crisi del tennis maschile statunitense. Alcuni citano come una delle cause la competizione che il tennis deve affrontare con altri sport professionistici, dal football al basket, che sono più economici da praticare e garantiscono ritorni finanziari superiori.

Sicuramente si tratta di una situazione che non aiuta, anche se in questo momento a livello femminile abbiamo una generazione molto promettente che si sta affacciando sul circuito. Mi piacerebbe però vedere una maggiore enfasi su due aspetti: il primo è l’insegnamento del gioco sulla terra battuta, dove bisogna giocare con disciplina e fare grande attenzione a come si muovono i piedi. I giocatori europei e sudamericani hanno queste basi e sono avvantaggiati rispetto agli americani, perché quando si gioca a livello giovanile non si può pensare di vincere tirando solo vincenti. E il gioco sulla terra premia la disciplina tattica, la pazienza e il gioco di gambe. E poi è una superficie meno usurante del cemento. Io ho giocato per la prima volta sulla terra rossa quando avevo già 19 anni ed è stato un handicap.

E il secondo aspetto?

Il gioco di gambe. I giocatori americani hanno generalmente un gran servizio e un gran diritto, mentre il resto del loro gioco non è altrettanto efficace e il loro gioco di gambe non è straordinario. Se si guarda ai primi dieci della classifica mondiale, si trovano giocatori con diversi stili di gioco, ma il denominatore comune è la grande condizione atletica e rapidità nei movimenti. Non si può pensare di essere tra i migliori in questo sport se non si è in grande forma fisica e non ci muove velocemente.

Nel corso della tua carriera hai giocato 226 match di doppio, vincendone solo 100. Il libro è quasi interamente focalizzato sui match di singolare e uno dei concetti principali espressi è quello di saper manovrare quegli elementi che possono essere controllati. In doppio ci si trova nella situazione di non poter controllare tutto quello che accade nemmeno dalla propria parte del campo. Come si può applicare la stessa disciplina anche in un match di doppio?

Da professionista, anche quando ero in campo in doppio, pensavo a come utilizzare quell’occasione per migliorare in singolare. Se tornassi indietro cercherei di prendere il doppio con maggior serietà, non semplicemente come una maniera per arrotondare il prize money, perché quando si è in due in campo bisogna concentrarsi sulla comunicazione con il compagno e sulla tattica della coppia come entità unica.

Nel circuito femminile esiste il coaching, la possibilità per l’allenatore di scender ein campo una volta a set per consigliare la giocatrice. Cosa ne pensi?

E’ uno dei miei argomenti preferiti quando commento sulla ESPN. Nel circuito maschile l’esperimento del coaching venne tentato nel 1998, molto prima della WTA, e l’idea mi era subito piaciuta. Credo contribuirebbe anche a limitare il coaching “clandestino” e sarebbe divertente per il pubblico. Come coach ovviamente mi piacerebbe poter parlare con il mio giocatore durante il match.

Guardando ai tre dei Fab 4 che non hai ancora allenato, quindi Federer, Nadal e Djokovic, escludendo Murray di cui sei stato coach, quale dei tre ti piacerebbe allenare e contro quale ti sarebbe piaciuto giocare quando eri professionista?

In tutta onesta, guardando alle mie caratteristiche di gioco e ripensando ai dolori che mi ha inflitto Lendl a suo tempo, non credo verrei fuori troppo bene da un match con uno qualunque di quei tre. Ovviamente proverei con tutte le mie forze, ma sono talmente bravi che faccio fatica a pensare a come avrei potuto batterli. Per quel che riguarda la possibilità di allenare uno di loro, se devo sceglierne uno, credo che sarebbe straordinario allenare Rafa. Lui è sempre alla ricerca di continui piccoli aggiustamenti al suo gioco per renderlo migliore: la posizione in campo, il movimento del colpo, l’impugnatura… E per un allenatore lavorare con qualcuno che è sempre disposto a cambiare qualcosa nel proprio gioco per raggiungere nuovi traguardi è veramente un sogno.

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