Gianluca Naso: “Fabio Rizzo e Alessio Di Mauro per risalire”

Gianluca Naso

di Luca Fiorino

Grinta e determinazione da vendere. Questo è il ritratto di Gianluca Naso che, nonostante il periodo buio, non si dà per vinto. Sì, perché chi lo conosce bene, sa che è un combattente e non si rassegna al fatto di vedere il suo nome relegato a posizioni di classifica che non gli competono minimamente (attualmente n.437 del ranking). Le sensazioni sono più che positive tanto che il tennista trapanese confida in un repentino cambio di rotta nella speranza di tornare ai fasti di due anni fa.

Chi era il tuo idolo quando hai iniziato a cimentarti nel tennis?

“Da ragazzo mi ispiravo a Gustavo Kuerten. Al tempo (correva l’anno 2000) era numero uno al mondo e divertiva il pubblico con un tennis straordinario. Aveva vinto già due volte il Roland Garros e adoravo vederlo giocare. Era in assoluto il mio giocatore preferito, il suo rovescio era poesia in movimento”

Prima volta nel tabellone principale degli Internazionali d’Italia nel 2008 contro Guillermo Canas. Cosa ricordi di quel match?

“Porto con me ricordi più che positivi di quella partita. In quel periodo arrivavo da un ottimo momento, ero in gran fiducia. Avevo giocato bene a Monaco, battendo Rainer Schuettler (ex numero 5 della classifica Atp) e, complice anche qualche rinuncia, mi fu assegnata una wild card per Roma. Fu un’emozione incredibile appena scesi in campo perché mi ritrovai catapultato nella bolgia di quella che oggi si chiama Supertennis Arena di fronte agli occhi emozionati dei miei genitori e degli amici venuti a sostenermi da Trapani. Iniziai il match molto bene. La tensione era tanta e l’adrenalina alle stelle. Vinsi il primo set al tie-break lottando come un leone ma accusando troppa fatica. Senza presunzione alcuna, per come mi stavo esprimendo, penso proprio che avrei meritato di chiudere il set un po’ prima. Stavo giocando un livello di tennis per assurdo nettamente superiore a quello dell’argentino. Canas era tra l’altro reduce da un periodo strepitoso, in cui aveva battuto per due volte un certo Roger Federer sul cemento americano. Il mio match purtroppo si concluse con una sconfitta in tre set. Credo però che se avessi vinto il primo set con un 6-3 o un 6-4 giocando una mezz’ora in meno, magari nel secondo set sarei potuto essere un po’ più lucido”.

In quali anni ritieni di aver espresso il tuo miglior tennis?

“Il mio miglior tennis l’ho espresso principalmente nel 2008 e nel 2012. Nel 2008 a livello prettamente tecnico e tattico, mi sentivo in gran forma. Entrai nel tabellone principale di due Master 1000, ad Amburgo e a Roma, e disputai anche quattro tornei ATP battendo gente molto quotata. Sicuramente in quell’anno non ero così completo come sono ora. Ad oggi mi ritengo più esperto, sono migliorato negli spostamenti e al servizio. A quei tempi ero più giovane, gli avversari mi conoscevano meno, spingevo di più, ed ero consapevole di non avere nulla da perdere. Succede spesso che un tennista ha un grande exploit, e dopo pochi mesi rallenta un po’. Questo perché ti incominciano a conoscere e riescono a capire i tuoi punti deboli. Il caso di Alexander Zverev ne è la testimonianza. Ha avuto un acuto ad Amburgo, nessuno l’aveva mai affrontato e si sono ritrovati spiazzati dal suo modo di giocare. Nei tornei successivi, gli hanno preso le misure ed infatti sta facendo un po’ più di fatica. L’altro anno in cui ho dato il meglio di me, è stato nel 2012. Mi sentivo un giocatore più completo ed anche a livello di risultati sono stato molto più costante. Totalizzai solo nel secondo semestre quasi 200 punti. Avvertivo che i giocatori quando li incontravo, specialmente sulla terra rossa, avevano un po’ di timore nei miei riguardi. Non a caso ho raggiunto il mio best ranking (numero 175 della classifica Atp) in occasione della vittoria del Challenger di San Benedetto in finale contro Haider Maurer. In quell’anno ero in fiducia, soprattutto sulla terra, avendo vinto qualche partita a livello challenger. Dopodiché andai in Sudamerica ad inizio 2013 e giocai anche abbastanza bene, qualificandomi a Vina Del Mar. Tornando in Europa ho riscontrato qualche problema nella gestione dei punti in scadenza, accusando la tensione e perdendo la lucidità necessaria per mantenere quel tipo di classifica. Sono abbastanza certo che se dovessi ritornare in quelle posizioni, saprei gestirmi meglio avendo nel tempo accumulato l’esperienza giusta per affrontare certi tipi di situazioni”.

Da cosa è dipeso questo calo di risultati e la tua attuale posizione in classifica?

“All’inizio dell’anno ho fatto delle scelte che ai tempi furono fatte per cercare di migliorare il mio tennis. Una di queste decisioni fu quella di cambiare racchetta dopo ben 8 anni. Passai da una Babolat ad una Wilson, una racchetta un po’ più rigida, perché credevo mi potesse aiutare nel spingere ancora di più mantenendo allo stesso tempo un buon controllo sulla palla. Dopo cinque mesi in cui ho utilizzato questo tipo di attrezzo, i risultati non sono andati come speravo. La palla viaggiava molto meno e non riuscivo a comandare gli scambi come mi era solito fare. Ho deciso così di ritornare alla mia vecchia racchetta già da Cordenons. Non a caso in queste ultime settimane, anche se non ho totalizzato tantissimi punti, ho lottato contro tennisti che fino a qualche tempo fa non credevo di poter battere. Già a Como, in cui ho perso l’ultimo turno di qualificazione con Zopp (rivelatosi poi finalista del torneo), ho provato migliori sensazioni e maggior fiducia. Anche a Genova e Biella, negli ultimi due tornei Challenger da me disputati, ho percepito che il mio livello di tennis stava salendo. Ora mi sento molto meglio in campo, sono più tranquillo e a differenza di prima sono meno nervoso. Esprimendomi in percentuali, mi sento di dire che nell’ultimo mese ho provato un buon 70% di sensazioni positive contro un 30% di sensazioni negative, mentre prima era esattamente il contrario. Riguardo la mia attuale posizione nel ranking mondiale, riconosco che non sia facile dover partire dalle qualificazioni anche nei challenger ma è pur vero che se si gioca bene per un paio di settimane si possono fare i punti necessari per poter migliorare la classifica”.

Quali sono ora i tuoi obiettivi per il prossimo futuro?

“Innanzitutto questa settimana mi aspettano le qualificazioni per il torneo di Meknes, in Marocco. Starò lì per quindici giorni perché disputerò anche il torneo di Kenitra la settimana successiva. L’obiettivo è quello di tornare a competere nel migliore dei modi nei challenger, raggiungere quanto meno le semifinali o le finali, e perché no, magari anche vincere. Dopodiché inizierà la Serie A e giocherò nel frattempo qualche Future in Sardegna. L’ambizione più grande è però quella di recuperare le posizioni perse. Non nascondo che mi piacerebbe giocare le qualificazioni in Australia e magari vincere anche qualche partita prima dell’inizio della nuova stagione per poi iniziare l’anno con maggior fiducia in me stesso”.

Esempi come Luca Vanni e Paolo Lorenzi, che hanno ottenuto i migliori risultati nella seconda parte della loro carriera, possono rappresentare un’iniezione di fiducia?

“Sono dell’opinione che noi italiani maturiamo un pochino dopo. Ci sono le eccezioni come Fabio Fognini, che già in giovane età è riuscito ad entrare tra i primi cento al mondo, Andreas Seppi o lo stesso Simone Bolelli, ma la grande maggioranza dei tennisti italiani ha iniziato a giocare a livelli più alti solo dopo aver compiuto i 25-26 anni. A mio modo di vedere questo dipende dal fatto che in Italia non ci sono tanti bravi allenatori. I giocatori per essere completi e riuscire a competere con quelli più forti hanno bisogno di un po’ più di tempo per arricchire il proprio bagaglio tecnico e fare il salto di qualità. In Spagna ad esempio, già a 20 anni, ci sono ottimi tennisti che aiutati da ottimi coach sono già pronti a giocare tornei di un certo tipo”.

Oggi chi è il tuo allenatore? Quali sono le persone più importanti che ti hanno aiutato a crescere nel mondo del tennis professionistico?

“Il mio attuale coach è Fabio Rizzo ma a partire già dal torneo di Meknes sarò seguito anche da Alessio Di Mauro, ritiratosi da poco dal circuito. Mio padre e Rizzo sono state senza dubbio le due figure più importanti nella mia carriera. Prima di tutto mio padre (Enzo Naso, ex giocatore di prima categoria), che mi ha insegnato a giocare a tennis e mi ha dato lo slancio nel mondo professionistico. Fino all’età di 16 anni sono stato sotto la sua guida ed è stato il periodo in cui ho iniziato a giocare i primi tornei internazionali. E’ grazie a lui, che mi ha messo nelle condizioni tecniche ideali, se oggi ho ottenuto discreti risultati. Non meno importante è stato Fabio Rizzo: con lui ho ottenuto il mio best ranking, ed è l’allenatore con cui continuo a lavorare tuttora. Ora insieme al mio attuale coach, lavorerò con Alessio Di Mauro che già è nel team da qualche settimana. Ritengo che sia un’aggiunta importante al nostro progetto. Oltre ad avere un ottimo rapporto con lui, conosce molti dei giocatori all’interno del circuito. Sono certo che mi darà una grossa mano per risalire la china”.

Settimana di Coppa Davis: come pensi che l’Italia si comporterà in quest’impegno?

“Ho un buon presentimento, credo proprio che Fognini farà divertire un po’ di persone. Fabio sarà carichissimo solo al pensiero di dover affrontare Federer e Wawrinka. Quando non ha tanta pressione addosso, in appuntamenti di questo livello come una semifinale di Coppa Davis, rende sempre al meglio delle sue capacità. Basti pensare alla partita contro Andy Murray, è stato davvero un match incredibile. E’ vero anche che in quella occasione la pressione era maggiore visto che a Napoli si giocava in casa e sulla terra. Il suo difetto è non riuscire a gestire la tensione in partite che lo vedono favorito. In Svizzera, problemi di questo tipo non ci saranno dovendo affrontare due giocatori di livello assoluto. Per quanto concerne il doppio sono del parere che sia favorita la coppia azzurra. Fognini e Bolelli possono battere tranquillamente il duo svizzero. Federer e Wawrinka non costituiscono un doppio eccezionale e lo hanno dimostrato a più riprese negli incontri di Coppa Davis passati. Detto ciò, raggiungere la finale sarà un’impresa molto dura”.

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