Roma, il quarto trionfo dell’invincibile Djokovic

Djokovic vince gli Internazionali BNL d'Italia
da Roma, Alessandro Mastroluca

Ha vinto il quarto Masters 1000 sui quattro giocati quest’anno. Ha trionfato per la quarta volta a Roma. Ha inflitto a Federer la quarta sconfitta su quattro in finale al Foro. Ha esteso il dominio dei Fab Four a 44 Masters 1000 degli ultimi 48 giocati. Novak Djokovic ha chiuso 64 63 una finale esistita in realtà solo per un set, in cui ha avuto quasi più difficoltà ad aprire la bottiglia di Moet and Chandon (si è quasi accecato col tappo). “Abbiamo avuto una discussione animata con mister champagne” ha scherzato in conferenza stampa, “forse sapeva che non lo bevo e mi ha colpito sul naso”.  Eppure, “non mi sento invincibile” ha detton nonostante i numeri straordinari di una stagione da dominatore. “Vincere molte partite mi aiuta a tenere alta la diducia. Ma puoi perderla facilmente, devi mantenere la stessa dedizione sempre. Cerco sempre di dare il meglio” ha aggiunto, “non so se posso ripetere il 2011. Spero di arrivare lontano al Roland Garros che da un po’ è la mia priorità”.

Ha giocato la finale perfetta, il serbo, contro un Federer che solo nei primi game ha dimostrato di volere, prima ancora che di poter, far qualcosa di diverso, osare, rifiutare lo schema sulla diagonale di rovescio e attaccare anche a costo di sbagliare una volée. “Sono felice di aver giocato” ha detto nella cerimonia di premiazione, “è stata una settimana meravigliosa”. “Considerato che ho deciso solo in extremis di venire a Roma, la finale è un risultato straordinario” ha poi spiegato Federer in conferenza stampa, “oggi le condizioni erano un po’ particolari, la palla rimbalzava molto alta e non era facile scambiare anche perché il sole dava fastidio. Ho perso più di 300 match in carriera, sono tutte delusioni, non ce n’è una peggiore dell’altra”.

Lo svizzero chiude la quindicesima partecipazione al Foro senza alzare il trofeo ma con l’ennesima dimostrazione di essere il più amato di Roma e una sconfitta che un po’ brucia, tanto che si presenta prestissimo in conferenza stampa e conferma il suo amore per il Foro Italico. “Non sempre allargare il torneo è una buona idea” dice, “potrebbe essere difficile rapportarsi a un luogo diverso, più grande”. C’è un momento che racchiude l’improvviso e radicale cambio di prospettiva di una finale nella sostanza equilibrata nel primo set. Nel terzo punto del secondo parziale, Federer scende a rete ma sbaglia posizione, scivola in avanti e si fa scavalcare dal passante. Questione di centimetri, dettagli che fanno la differenza, che lo connotano come il “Geronimo” della canzone degli Sheppard scelta per accompagnare la conclusione del match. “Di’ Geronimo, come ti senti?” chiede la band. Come si sente Roger, si può solo intuire. Ma dopo il break subito alla fine di quel game, per uno sventaglio di dritto a rete, Djokovic ammazza l’inerzia psicologica della partita. Game a zero in cui Federer non tocca palla o quasi, due servizi vincenti e un ace. La finale potrebbe anche chiudersi qui. E l’applauso dei tifosi, ai limiti della standing ovation, diventa il tributo al campione che si intuisce sconfitto, all’Ettore che non smetterà di combattere ma sa già quel che sarà l’esito.

E allora viene da chiederlo anche a Djokovic come si sente, ad essere numero 1, eppure amato poco, amato meno, rispettato quasi con freddezza, senza l’empatia che cerca senza ancora trovare. Viene da chiedersi cosa voglia dire per lui essere un campione, e c’è infatti chi glielo domanda in conferenza stampa. “Essere chiamato campione non dipende da risultato. Un campione deve mostrare di avere valori forti, deve essere grato di quel che ha, è un concetto complessivo che nasce da un approccio olistico: così parlò il Nole filosofo. Un Djokovic che dal secondo game di risposta ha alzato livello e profondità dei colpi di sbarramento, ha disegnato un paio di palle corte mascherate di rovescio di gran tocco per salire 3-2, poi ha spinto l’asticella ancora più su quando si è trattato di chiudere il parziale. Ha cancellato una palla break, l’unica concessa, sul 4-4, ha condotto lo scambio, da 20 colpi, il più lungo del set, con l’attenzione dello scacchista spingendo sul rovescio di Federer fino a forzarne l’errore. E nel gioco successivo ha spinto ancora, neutralizzato una palla game e firmato il break che, alla lunga, è valso molto di più di metà vittoria.

Perché lo svizzero in partita non è mai rientrato e Djokovic ha impostato la velocità di crociera al servizio con l’insostenibile leggerezza di essere il numero 1 del mondo. Il serbo, che ha subito solo tre break in tutto il torneo, ha perso 4 punti in 5 turni di battuta nel secondo parziale, ha mantenuto e controllato senza dare mai nessuno spiraglio. Ha vinto il 19mo confronto diretto su 39, il secondo su tre quest’anno. Ha dato soprattutto un’impressione di autorità, di autorevolezza, di forza, per lui finanche inusuale. E a questo punto resta una sola domanda: non avrà raggiunto il picco di forma troppo presto?

 

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