Wimbledon, la top-5 di Lleyton Hewitt

Hewitt Nieminen

di Alessandro Mastroluca

Ciao, amore ciao. Dopo sedici anni, Lleyton Hewitt saluta Wimbledon e lascia con l’ultima grande perla del suo Farewell Tour. Lascia contro Jarkko Nieminen, anche lui all’ultima recita sull’erba dei Championships. È una di quelle partite che vorresti non finissero mai, e anche i due protagonisti provano a farla durare oltre i limiti, a spingere la notte un po’ più in là. È un match che racconta perché Wimbledon è così unico, perché il tennis è uno sport così esistenziale. È un confronto di addii da ritardare, di voglia non mollare, la lotta fra due spiriti aggrappati a un ultimo giro di giostra, a una fine da rimandare, con la stessa pervicace testardaggine con cui per più di un decennio hanno lottato e sudato per conquistare anche un solo centimetro di campo. L’abbraccio lungo, sentito, finanche poetico senza voler essere retorico, dopo l’11-9 al quinto suggellato al quarto match point, sarà uno dei momenti del torneo. Hewitt saluta alla sua maniera, lascia con l’ultima battaglia del condottiero che non rinuncia mai alla sfida, alla lotta, anche quando il destino gli è avverso. Resterà come una delle sue migliori partite a Wimbledon, certamente come uno dei match che meglio ne riassume e ne racconta l’essenza profonda, che meglio testimonia il rispecchiamento dell’identità nello stile di gioco.

Abbiamo provato a raccontare, a ricordare, la sua storia a Wimbledon, iniziato da wild card contro lo specialista della terra rossa Marcelo Filippini nel 1999, in cinque tappe, cinque vittorie significative per il modo, per il valore, per l’importanza, per l’avversario, per quanto possono illuminare vita e carriera di Rusty.

2002. E il percorso non può che iniziare nel 2002. Più che nella finale senza serve and volley contro Nalbandian, o nella semifinale in cui ancora una volta naufragano le speranze di Timbledon Henman e di un’intera nazione, è nel quarto di finale contro Sjeng Schalken che Hewitt tira fuori il meglio. Rusty l’ha battuto due volte nelle precedenti cinque settimane, è l’unico arrivato ai quarti senza aver perso un set: per un’ora, la partita va esattamente come si sarebbe potuto prevedere, è 62 62 Rusty. L’australiano manca 4 match point in risposta nel terzo, e si ritrova al tiebreak. Il suo secondo doppio fallo manda l’olandese in vantaggio, e un over-rule dell’arbitro Javier Moreno-Perez, che giudica buono un approccio lungo di Schalken, fa innervosire e non poco Hewitt. La partita cambia. L’australiano perde tre volte il servizio nel quarto ed è costretto al quinto set per la terza volta a Wimbledon (1-1 i precedenti). Si procede con due break per parte fino al dodicesimo game, quando la testa di serie numero 18, al servizio sotto 6-5, cede e consegna a Hewitt la prima semifinale Slam dal trionfo agli Us Open.

2006. Gli servono due giorni per prendersi l’ottavo di finale contro Rochus nel 2006. L’avversario, Hyun Taik-Lee, non è glamour ma abbastanza concentrato nei suoi turni di battuta da portare il primo set al tiebreak e chiuderlo 7-4. Nel secondo Rusty attacca, pressa e costringe il coreano a sbagliare tanto, troppo: 6-2. Non gli bastano lampi di genio e talento, come due lob precisi e letali, per evitare un secondo tiebreak. Il coreano allunga 6-3 e viene derubato di un set point (il passante è buono ma viene chiamato fuori). Hewitt ne approfitta e chiude 8-6. E quando trova il break all’undicesimo game e va a servire per il match, la partita sembra chiusa. E invece, Taik Lee gioca il suo tennis migliore, controbreak, altro tiebreak e match che finisce al quinto. Nella seconda giornata, alla ripresa, il parziale decisivo segue i servizi per nove game, fino al dritto in contropiede che regala a Rusty break, set e match.

2009. Non raggiungerà più i quarti di finale fino al 2009. È un’edizione che a posteriori acquista un senso speciale. Al terzo turno, perde il servizio una sola volta contro Del Potro, allora numero 5 del mondo, e chiude 63 75 75: resterà la sua ultima vittoria contro un top-5 ai Championships. E agli ottavi rimonta, per la sesta volta in carriera, uno svantaggio di due set. Con Stepanek avanti 64 62, l’aria diventa elettrica. Sembra un match di Davis, con i Fanatics australiani che intonano: “Se vuoi vedere il quinto set, batti le mani”. E il ceco, fino a quel momento mai arrivato oltre i quarti di uno Slam, proprio a Wimbledon tre anni prima, lentamente perde la presa sulla partita. Vince solo altri cinque game, Hewitt chiude 46 26 61 62 62 e va a sfidare Andy Roddick.

2010. Un anno dopo va in scena la guerra del cuore, che si accontenta di cause non troppo leggere. Nel 2007, una settimana prima degli Australian Open, Roger Rasheed ha lasciato il ruolo di coach di Hewitt. “Sento che è l’unico modo in cui posso portare un cambiamento positivo al suo ambiente, e al mio”. Le storie tra i due restano tese per anni, ma nel 2010 i rapporti sembrano un po’ più distesi quando Rusty lo ritrova come allenatore del suo avversario al terzo turno, Gael Monfils. Hewitt paga sei posizioni in classifica, ma ha una testa di serie più alta, 15 contro 21, per i migliori risultati sull’erba. Una settimana prima, a Halle, è diventato il secondo giocatore a battere Federer sulla sua superficie preferita. La logica e il senso di rivalsa spingono Hewitt a dare una lezione al francese: 63 76 64.

2013. E siamo al 2013. Sono passati dieci anni dalla sconfitta contro Ivo Karlovic. Hewitt è sceso al numero 70 del mondo, ma a 32 anni da queste parti, sulla partita singola è ancora un avversario che in pochi vogliono trovarsi di fronte. Chiedere per credere a Stan Wawrinka, testa di serie numero 11 ma decimo nel ranking ATP, che se lo trova di fronte al primo turno. Lo svizzero sale 4-1 nel secondo set, ma per il resto del match arranca e insegue, invano. Certo, Darcis che batte Nadal si prende i titoli dei giornali e l’attenzione del mondo. Ma nella prima giornata di quello che passerà alla storia come il Wimblegeddon, c’è anche il 64 75 63 di Hewitt, Rusty ma non troppo. È la sua ultima vittoria contro un top-10 a Wimbledon. E se arriva in un giorno così, in un’edizione così, non può essere del tutto un caso.

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