Horst Skoff, storia del ribelle d’Austria

Horst Skoff
di Alessandro Mastroluca

Un figlio dell’establishment, che per anni ha sfidato l’establishment. La rockstar del tennis austriaco a cavallo fra gli anni ’80 e ’90. Si è fatto odiare Horst Skoff, “the greatest jerk in tennis” (“il più grande idiota nel tennis) come lo chiamò Ivan Lendl, carattere più che forte, alle spalle un flirt con la seconda Miss Mondo d’Austria e un matrimonio con una coniglietta di playboy. Si è fatto amare, quando ha battuto Wilander dopo oltre sei ore in un quarto di finale che comunque l’Austria perderà 3-2. Ma di sicuro non si è fatto dimenticare, nemmeno dopo l’infarto che gli è costato la vita, a 39 anni, in un viaggio di lavoro a Amburgo, il 22 giugno del 2008.

Nato a Klagenfurt il 22 agosto del 1968, inizia a giocare a sei anni con l’aiuto del patrigno, Lukas Boschitz, che ha fondato il Kuehnsdorf Tennis Club. A 11 anni, si sposta al centro di allenamento di Südstadt, dove lavoreranno Gunter Bresnik e il papà di Dominic Thiem, che lì continua ad allenarsi. “Lì il tennis era uno sport marziale” spiegava Skoff, che rimane in campo almeno cinque ore al giorno, tutti i i giorni. Una volta, racconterà, “uno degli allenatori mi disse di non ammettere mai che un avversario aveva vinto perché aveva mostrato qualità superiori. Così, ogni volta che perdevo, davo la colpa alla schiena, alla caviglia, allo stomaco”. O ai giudici di linea, agli arbitri e la lista potrebbe allungarsi. Ma a Südstadt c’è un altro ego non da poco, Thomas Muster, campione tanto colto e raffinato (pittore, pilota, collezionista di vini pregiati), quanto strafottente in campo. Lo scontro è inevitabile.

Per anni si danno dello “stupido”, del “cafone di campagna”, e sono solo gli epiteti più gentili. “Io e Thomas abbiamo giocato insieme da quando abbiamo 14 anni”, spiegava a margine della semifinale Coppa Davis contro gli Usa del 1990 in cui si fa rimontare un vantaggio di due set da Chang, “e non ci piacevamo già allora. E questo è tennis, non calcio dove devi comunque passare la palla al compagno”. E certo di compagni ne ha avuti pochi pochi, anche in Davis. Alex Antonitsch, l’attuale direttore del torneo di Kitzbuhel, una volta ha detto di non rispettare Skoff, che vorrebbe fargli causa.

Muster, battuto nella finale del torneo di Vienna del 1988 da Skoff, al secondo titolo in carriera, non gradisce i metodi di allenamento del rivale, e le frecciate a mezzo stampa aumentano. La Davis diventa un grande terreno di scontro. Muster vuole giocarla a modo suo. “Devi fare tre cose” dirà al capitano nel 1989: “prendermi l’acqua, allungarmi l’asciugamano e stare zitto”. I due non si parlano e nel 1993 Muster minaccia di non rispondere alla convocazione se in squadra c’è anche il rivale.

Si sono incontrati al Roland Garros quell’anno, e per poco la partita non è esplosa. Skoff, battuto in rimonta, passa tutto il match ad accompagnare ogni colpo con gemiti ostentati, come e più di Muster, e se la prende con tutti: ci saranno oltre una dozzina di chiamate contestate. “Quello che c’è tra me e Thomas è una questione personale” dirà a fine partita, “ne parlate tutti, ma io non ne parlerò”.

La tensione fra i due raggiunge livelli tali che Muster nemmeno si cambia nello stesso spogliatoio, anche se una volta, dopo una finale infuocata al torneo di Firenze, aveva detto di volerci rimanere, nello spogliatoio, solo con Skoff, possibilmente a meno di 30 centimetri di distanza, per rifilargli un paio di pugni ben assestati.

A volte sembrava difficile distinguere, in quell’atteggiamento così provocatorio, la reazione spontanea dalla strategia studiata. “Quando avevo 16 anni, per i giornali ero un dio, e questo non mi ha fatto bene” ammetterà Skoff, che spesso se la prendeva anche con i tifosi che parteggiavano per i suoi avversari. Ma nel 1987, a Montecarlo, contro Noah, li incita: “più mi fischiate e meglio gioco”.

Ai Giochi di Seoul, pensa di divertire quando sul lob di Edberg appoggia la palla oltre la rete con un colpo di testa e non con lo smash. Molti, però, lo considerano una mancanza di rispetto verso le Olimpiadi. E quando gli sponsor cominceranno ad abbandonarlo, l’atteggiamento di Skoff cambierà, passerà a quel mix di solidità teutonica e fascino viennese che lo porterà a chiudere la stagione 1989 da numero 25 del mondo, la sua miglior classifica di fine anno in carriera.

Nel 1990, a parte i quarti a Stoccarda, batte Bruguera 76(8) 76(4) a Ginevra e conquista il terzo titolo in carriera. Ma prima di scendere in campo per i quarti, mentre sta mettendo le borse in macchina, l’autista fa retromarcia: ne fa le spese, in maniera non grave, il suo ginocchio sinistro. Nella modalità, non certo nell’esito, sembra un pallido riferimento del destino all’incidente che ha rischiato di mettere fine alla carriera di Muster.

Vincerà ancora un torneo, a Bastad nel 1993, e giocherà per l’ultima volta nel circuito ATP nel 1995, a San Marino. Perderà la sua ultima partita a Sylt, in Germania, dal portoghese Joao Cunha Silva nel 1999. Chiude la carriera con un best ranking di numero 18, ma senza mai essere andato oltre il secondo turno in uno Slam.

E praticamente da quel momento comincerà ad avere problemi di peso, concausa dell’infarto fatale. “È difficile capire che una persona così giovane debba morire” dirà Muster. “Per così tanti anni mi ha accompagnato e mi ha sfidato. È stato una grande motivazione per me”.

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