C’era una volta il serve and volley

Pat Rafter
di Marco Mazzoni

“C’era una volta…”. La classica frase con cui iniziano le più belle fiabe calza a pennello per raccontare chi erano e come giocavano i classici tennisti d’attacco. Impavidi guerrieri che sfidavano i passanti avversari aggredendo il campo da gioco, pronti a scagliarsi con veemenza ma anche eleganza sulle palle nei pressi della rete. Funamboli della prima ora, atleti non sempre così potenti ma molto elastici, esplosivi e reattivi. Quasi sempre dotati di mano educata per poter gestire in una frazione di secondo la risposta del rivale. Mai banali e sempre coraggiosi, non accettavano lo scambio da fondo, e alla prima possibilità correvano avanti, attratti dal net come da una splendida sirena, accecati dal suadente sibilo di una palla di feltro in avvicinamento. Una razza purissima, perché attaccanti si nasce dentro, spinti dall’adrenalina e dalla voglia di dominare il campo, sfidando sempre e comunque l’avversario, non lasciandogli mai l’iniziativa.

Quando il tennis è nato, andare a rete era anche un’esigenza pratica. Campi non perfetti, materiali non così precisi e affidabili, rendevano assai più interessante, meno faticoso (e percentualmente vincente…) cercare di abbreviare lo scambio correndo a rete ad intercettare al volo una palla interlocutoria dell’avversario, che tentare un improbabile winner da fondo. Il top spin non era incluso nel vocabolario del gioco, e praticamente nemmeno il rovescio bimane. La palla veniva perlopiù accarezzata, non colpita con forza devastante. Il tennis si è evoluto: da passatempo per ricchi snob è diventato cosa seria, uno sport a tutti gli effetti, con la componente tecnica, agonistica e mentale spinta sempre più al limite. Tanto che via via i tennisti si sono specializzati, cercando di ottimizzare le proprie capacità per massimizzare il risultato. Ecco che giocatori veloci, con buona sensibilità e minor potenza, diventavano attaccanti naturali. Da un lato per esaltare le proprie capacità di toccare la palla, cercando l’angolino dove il rivale non può ribattere; dall’altro per “scappare dalla riga di fondo”, per evitare di esser martellati sul colpo più debole. Quindi attaccare la rete poteva voler dire in un certo modo anche “difendersi” dalle proprie debolezze, classico esempio di tennis percentuale moderno. Senza contare che questa condotta spregiudicata diventava un incubo per il rivale, una vera violenza psicologica. Infatti trovandosi di fronte un vero attaccante si era costretti a giocare sempre sotto pressione: indispensabile servire bene, altrimenti il giocatore di rete sarebbe subito corso avanti già dalla risposta, prendendo la sua posizione preferita in campo; si doveva rispondere bene, pena subire subito il winner già dalla prima volée dell’attaccante, che avrebbe sistematicamente seguito la propria battuta verso il net; diventava essenziale giocare ottimi passanti o pallonetti, per non subire altrettanti “comodi” vincenti. La miglior difesa è l’attacco, già lo predicava Sun Tzu (mitico autore de “L’arte della guerra”). Questo in un sunto “Bignami” il lato puramente tattico, per raccontare i vantaggi del gioco classico serve & volley. Un tennis spesso molto bello dal punto di vista estetico, perché i gesti non erano quasi mai muscolari ma armoniosi, e si muoveva molto il gioco in campo, con un mix intrigante di colpi da fondo e discese a rete. E il contrasto di stili è da sempre garanzia del miglior spettacolo in campo.

Dal punto di vista tecnico invece, che razza di giocatori erano i serve & volley? C’era varietà, molta più rispetto al tennis attuale. I veri attaccanti erano giocatori molto istintivi, che sono nati e cresciuti correndo a rete, quindi sviluppando spesso tecniche molto personali, con aperture minime tese a toccare la palla più che a colpirle con la massima violenza. Tecniche quasi sempre difficilmente replicabili. Inoltre fino a qualche anno fa c’era assai meno “standardizzazione” nella costruzione del giocatore. Oggi il tennis vincente è quello dei Nadal, dei Djokovic, ossia di un Agassi più potente, meno spregiudicato e più prudente, tanto che si tende fin troppo ad insegnare solo quel tipo tecnica adatta a produrre quel tipo di tennis, andando così a spogliare i giovani delle proprie peculiarità e finendo per uniformarli, creando una sorta di catena di montaggio…

Lasciando quest’argomento in altra sede e tornando al nostro giocatore da rete, la cosa che li accomunava proprio tutti era la velocità d’esecuzione. Un efficace serve & volley presuppone reattività, riflessi, rapidità di esecuzione del colpo. Sia alla risposta, per aggredire subito la rete; sia nella volée per reagire ai passanti avversari, con tocchi morbidi o ficcanti opposizioni a chiudere l’angolo. La tecnica al volo poteva essere la più varia: dal giocatore sensibile che accompagnava l’esecuzione a quello più muscolare che invece si avventava sulla palla per chiudere senza indugio. Un tempo si diceva che i grandi giocatori di rete si valutavano dalla “prima volée”. La “prima” volée… a pensarci oggi fa quasi sorridere! Invece quando questo stile di gioco era ancora in auge, attaccare la rete in modo sistematico presupponeva una corsa in avanti che portava il tennista ad eseguire la prima volata poco dentro la riga del servizio. Quasi impossibile chiudere il punto da quella posizione, a meno di una magia di tocco o di un angolo improvvidamente lasciato sgombro dal rivale. Ecco che il classico serve & volley eccelleva nel toccare la palla con precisione al volo, piazzando una volée sì interlocutoria ma tatticamente tesa a proporre una palla difficile da rigiocare al rivale; magari perché andava a stuzzicarne il colpo più debole, oppure perché lo costringeva a giocare un passante in corsa/fuori equilibrio. E nel frattempo l’attaccante riusciva così a guadagnare una posizione ideale sulla rete, più vicino a chiudere l’angolo al passante del nemico. Questo tipo di volée è praticamente scomparsa, perché coloro che oggi si avventurano a rete lo fanno “a chiudere”, spesso proprio portati avanti dall’inerzia dello scambio.

Altra variante di gioco oggi scomparsa ma fondamentale al nostro eroe della rete era il colpo di approccio. Un colpo di velocità media, spesso giocato o con il classico rovescio in back che rimbalzava molto basso schizzando via, o con un dritto piatto molto vicino alla riga o assai stretto. Un’esecuzione non doveva mai portare ad un errore, ma nemmeno ad un vincente, perché serviva al serve & volley a guadagnare il tempo per correre a rete, seguendo la direttrice dell’attacco e così chiudere il campo al rivale mettendolo in una condizione di svantaggio, costretto a tirare un passante difficile. Oggi si spara così veloce che non c’è proprio il tempo di seguire il colpo a rete, pena esser pizzicati a metà campo nella cosiddetta “terra di nessuno”, oppure si opta per la botta cercare il winner diretto, e addio volée… Altro aspetto tecnico fondamentale era il servizio. Il vero serve & volley doveva servire molto bene, per aprirsi immediatamente il campo, ma non troppo veloce, perché doveva avere il tempo per arrivare il più possibile vicino al net. Quindi si preferiva uno slice tagliato ad uscire, oppure un servizio improvviso al corpo, oppure un kick che faceva saltare molto alta la palla e quindi difficoltosa la risposta potente. Meglio ancora un sapiente mix delle varie esecuzioni, per non essere prevedibili. Altra caratteristica che accomunava i migliori giocatori i rete naturali, era la capacità di muovere molto velocemente i piedi, con piccoli passi in avanti incontro alla palla che consentivano di mantenere il miglior equilibrio, cercando di portare tutto il corpo e il braccio-racchetta verso la palla. Una volée eseguita con la racchetta in allungo lontana dal baricentro non permette mai un controllo pieno; i veri “draghi” del net invece restavano estremamente centrali, raccolti, con il corpo che si avventava sulla palla in equilibrio, con le gambe leggermente piegate e la racchetta mai troppo lontana dal busto. Stefan Edberg in quasi tutti questi aspetti era insuperabile tra i giocatori moderni, una vera Treccani del gioco di volo e della sua interpretazione tecnico-tattica. Non John McEnroe, troppo artista, unico, una sorta di Picasso con racchetta che pennellava d’istinto e di nervi giocate irripetibili, spesso inimmaginabili per noi comuni mortali.

Gambe flessibili e potenti, istinto, coraggio, reattività, sensibilità. Erano le armi dei classici tennisti serve & volley. Acrobati con racchetta che letteralmente volavano sul campo giocando traiettorie ficcanti e imprevedibili, impreziosite da tocchi magistrali sulla rete a pizzicare l’angolo aperto, o per beffarde soluzioni di tocco con la palla che scavalcava appena la rete e ne moriva al di là, imprendibile colpo d’autore giocato di polso dosando forze e geometrie. I giocatori di rete sono quasi scomparsi perché oggi si tira col massimo della forza in ogni situazione. La palla corre troppo per essere seguita a rete con velocità e rigiocata in modo vincente. La palle sono troppo pesanti, cariche di un top spin mortale, praticamente ingestibile da una volée di tocco. A rete si subiscono bordate da cui ci si dovrebbe quasi “riparare” più che poterle aggredire, e spesso con angoli stretti prima impensabili con racchette e corde d’altri tempi (tipo di 10 anni fa, non degli anni 50′). La potenza e la velocità hanno di fatto pensionato un tipo di tennis, anzi lo stile di tennis che ha reso immortali i grandi australiani “in bianco e nero”, e campioni amatissimi come Edberg, Becker, McEnroe e tanti altri. Federer oggi vorrebbe provare più spesso il serve & volley in partita, ma nemmeno un tennista dotato di tecnica e classe pressoché divina riesce a metterlo in pratica con successo perché per sua stessa ammissione “ti arrivano dei traccianti molto complicati da gestire, è più semplice e redditizio attaccare dal fondo, magari scendere a rete ogni tanto, a sorpresa”. Se non ci riesce lui…. Siamo proprio sicuri che sia stato un “progresso”, un passo in avanti per il gioco?

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