Il Maestro di Tennis come Comunicatore

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di Francesca Amidei

La comunicazione e lo sport, la comunicazione ed il tennis, saper comunicare per poter insegnare. Questi i temi che stanno al centro della mia tesi.

Giunta al termine del mio percorso universitario ho deciso di trattare i temi sopra elencati per unire la mia esperienza di studentessa in comunicazione alla mia esperienza di maestra di tennis, due aspetti della mia vita che hanno convissuto e si sono evoluti di pari passo nell’ arco di questi cinque anni.

E’ passato poco più di un anno da quella calda mattinata di Luglio quando con il cuore in gola sono salita sul palco del centro Congressi della Sapienza, gremita di persone, per presentare la mia tesi con il timore che un tema così originale potesse non essere apprezzato dalla commissione. Con mio immenso stupore si interessarono al mio lavoro in particolare alla parte dedicata alla ricerca, che rappresenta il cuore della tesi stessa e che ho pensato di riassumere in questo articolo con lo scopo di farla leggere a chi il tennis lo gioca, a chi lo insegna e a chi lo ama.

All’inizio della mia ricerca sulla figura del maestro di tennis ho stabilito un obiettivo da raggiungere ed un ipotesi di partenza. L’ obiettivo che mi sono prefissa è di dimostrare come la scelta dei maestri di tennis di puntare sulle competenze comunicative oltre che sulle competenze professionali per rapportarsi con i propri allievi, sia condivisa a livello generale indipendentemente dall’età, dall’esperienza lavorativa personale e dal settore in cui operano (agonistica – mini-tennis – scuola tennis). L’ipotesi di partenza invece è incentrata sul fatto che i maestri di tennis devono possedere sia le competenze professionali (conoscenze tecnico-tattiche di base) sia le competenze comunicative (capacità di relazionarsi con allievi di età ed esigenze differenti) per svolgere al meglio la loro professione.

R70Una volta stabiliti obiettivo e ipotesi ho selezionato il campione della mia ricerca intervistando 10 maestri di tennis che lavorano in diversi circoli di Roma. Ho appositamente deciso di dividere gli intervistati per sesso, donne e uomini, e per fasce di età, meno di 25 anni – dai 26 ai 40 anni – più di 40 anni. Questo perché ritengo che il sesso e l’ età degli intervistati abbiano una grossa influenza sul ruolo che svolgono all’ interno del circolo, sulle loro competenze e sul modo di relazionarsi con gli allievi. Nello specifico ho intervistato tre donne e sette uomini di cui due di loro hanno meno di 25 anni, tre sono compresi tra i 26 ed i 40 anni e i restanti cinque hanno più di 40 anni. Ho suddiviso le 16 domande dell’ intervista in tre aree riprendendo lo schema del ruolo agito di Federico Butera. La prima area riguarda il ruolo formale che l’ individuo ricopre all’ interno del circolo in cui lavora, il settore specifico in cui insegna e la fascia di età in cui sono compresi i suoi allievi. Le otto domande della seconda area vertono sulle competenze professionali e comunicative dei maestri di tennis. Nello specifico ho posto loro domande riguardanti la loro carriera da giocatori e da allenatori, le competenze necessarie per svolgere questa professione e i corsi di formazione che hanno seguito per diventare maestri di tennis. Infine le restanti cinque domande riguardano il percorso personale dell’ individuo, in particolare mi sono soffermata nel domandare loro il motivo che li ha spinti a scegliere questa professione, i valori che sostengono e che insegnano ai loro ragazzi dentro e fuori il campo da tennis ed infine, ma non meno importante, quali sono i punti di attenzione nella relazione con gli allievi.

La ricerca che ho realizzato ha confermato la mia ipotesi iniziale secondo la quale i maestri di tennis devono possedere oltre alle competenze professionali (conoscenze tecnico-tattiche di base) anche le competenze comunicative (capacità di relazionarsi con allievi di età ed esigenze differenti) per svolgere al meglio la loro professione. Infatti  in tutte e tre le fasce di età sia a livello maschile che femminile, viene sottolineata l’ importanza di possedere delle competenze comunicative, sociali e psicologiche per interagire, relazionarsi e comprendere le diverse esigenze dei ragazzi di età e personalità differenti. La comunicazione si pone quindi come elemento cardine in tutti e tre i settori di insegnamento, (mini-tennis – scuola tennis – agonistica) perché la capacità di creare un rapporto unico con l’allievo viene prima di qualsiasi competenza tecnica e tattica. Un altro aspetto che fortifica questa mia tesi è dato dal fatto che tutti i maestri e maestre di tennis da me intervistati, anche se hanno avuto un ottima carriera agonistica con il raggiungimento di una classifica internazionale a livello WTA (Women’s Tennis Association)  e ATP (Association of Tennis Professionals), affermano che nello svolgere questa professione chi ha ottenuto risultati di rilievo da giocatore sia avvantaggiato per l’allenamento degli agonisti, perché ha vissuto in prima persona certe esperienze e sensazioni, mentre per allenare a livello di scuola tennis non è affatto importante perché sono richieste altre capacità comunicative e di insegnamento.

Terminerò questo breve excursus sulla mia tesi sottolineando come nella società odierna, e quindi anche nell’ambito sportivo, si sente sempre più parlare dell’ importanza della comunicazione. Di fatto, il saper essere un abile comunicatore, si traduce a livello relazionale in un enorme vantaggio per colui che possiede questa capacità di persuasione e spesso questo vantaggio diviene anche una forma di potere. Il successo di un soggetto nella sua professione, ma anche nelle altre relazioni, è legato alle abilità che esso possiede di essere convincente e rassicurante.

La comunicazione del coach è un’arte e si divide in due grandi insiemi: verbale e non verbale. La comunicazione verbale per essere efficace deve fornire delle conoscenze chiare e precise. Inoltre dal modo di comunicare l’atleta può comprendere lo stato d’ animo del suo allenatore, la sua disponibilità o meno di comunicare. Per rendere efficace la sua comunicazione, in modo tale da favorire l’ apprendimento, il coach usa una sorte di paralinguaggio, che non è altro che l’insieme delle componenti vocali del linguaggio, considerate separatamente dal significato delle parole come il tono che è sinonimo di sicurezza, la risonanza che rappresenta la sonorità di una voce, l’articolazione che coincide con l’ intelligibilità delle parole pronunciate e il timbro che esprime la qualità del suono emesso. In ogni caso la scelta di come parlare è in stretta correlazione con le caratteristiche della situazione.

Oltre alla comunicazione verbale il coach ha a disposizione la comunicazione non verbale che rappresenta un patrimonio che molte volte l’uomo ha sottovalutato. Fortunatamente ci si sta accorgendo che essa possiede delle potenzialità che spesso vanno ben oltre il potere della parola. Così l’allenatore può essere persuasivo nel momento in cui crea un sincronismo tra ciò che dice con le parole e ciò che comunica con i gesti, in pratica ciò che dice con la parola non deve essere smentito da quello che comunica con la gestualità. Quando questo avviene si crea nel giocatore una forma di dubbio perché non comprende se deve credere alle parole o ai gesti. Alla comunicazione non verbale appartengono varie possibilità espressive come i gesti, la postura e le espressioni del viso. Nel complesso un coach comunica in modo efficace qualora armonizza contenuti intenzionali e contenuti non intenzionali, tiene sotto controllo i propri segnali non verbali per rendere efficace lo scambio di informazioni e il clima con l atleta.

In conclusione voglio lasciarvi con una citazione di Eugen Herrigel tratta dal libro “Lo zen e il tiro con l’ arco” che mi ha colpito molto: “ Tocca al maestro trovare non la via stessa che porta alla meta, ma la forma di quella via rispondente al carattere particolare dell’ allievo e assumersene la responsabilità”.

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