Alessandro Baldoni: “Remondina grande lavoratrice”. Il papà: “Bello seguire Giulia”

Nell’intervista realizzata a Giulia Remondina, la giocatrice di Marina di Carrara ha raccontato il periodo in cui ad allenarla era Alessandro Baldoni. “Iaio”, così quest’ultimo è chiamato da tutti nell’ambiente, dice la sua ai nostri microfoni.

“Ho seguito per circa 6 mesi Giulia e la prima volta che la vidi mi accorsi immediatamente che possedeva un gioco di gambe formidabile. Non avevo mai visto prima qualcosa del genere. Era da top 30, ed aveva solo 21 anni. Tuttavia c’erano due pecche notevoli su cui all’epoca lavorammo tantissimo: la prima riguardava il lato destro, cioè il diritto; la palla non partiva e dovemmo fare tantissimi lavori tecnici per sistemarlo un pochino. Il rovescio invece era naturale e un fattore importante. Poi Giulia, e veniamo al secondo limite su cui ci impegnammo, era ancora una ragazzina, dal punto di vista della crescita umana. Si vedono ormai nel tennis moderno bimbe di 15 anni che sono decisamente donne, già ‘scafate’, capaci di relazionarsi in maniera matura con il coach, con le avversarie o compagne, con l’ambiente in generale. Giulia non era ancora pronta, molto legata alla famiglia, e per ‘legata’ intendo un po’ ‘dipendente’ sul lato emotivo. Sarebbe intrigante lavorarci adesso che è senz’altro più matura”.

“Facemmo 6 mesi davvero molto intensi – prosegue Baldoni – che ricordo con molto piacere, perché sul campo Giulia era decisamente una lavoratrice, non diceva mai ‘basta’, aveva voglia di imparare e migliorare il suo tennis. La nostra relazione professionale nacque così, un po’ per caso: Renato Vavassori mi chiamò per sistemare l’Accademia che era un filo in difficoltà. Dovevo supervisionare e coordinare come Direttore Tecnico moltissimi maestri, anche quelli di Milano Sport che facevano parte della galassia Vavassori. Si presentò quindi la necessità di seguire anche questa giovane agonista che stava muovendo i primi passi nel circuito pro. In pochi mesi, di duro lavoro, e di questo rendo merito moltissimo a Giulia, raggiungemmo il best ranking a maggio 2011, al numero 219 WTA. Neanche un mese dopo, quando Giulia era in piena crescita, successe che rientrai un giorno in Accademia e Vavassori aveva deciso di seguire un’altra strada accettando la proposta della FIT di diventare un Centro Tecnico Permanente (il che in pratica mi tagliava fuori), e mi resta l’amaro in bocca perché Giulia di fatto è rimasta a metà della sua formazione, proprio in un momento in cui doveva cristallizzare nella memoria muscolare quei gesti tecnici tanto importanti. Sono poi limiti che forse si sta portando ancora addosso come zavorra. Insomma, era un momento importante ed io sono stato comunque corretto fino in fondo, non proponendo a Giulia o ad altri di seguirmi verso altri lidi”.

Infine una riflessione sui talenti azzurri: “Sento parlare in giro di crisi del tennis italiano, incapace di produrre talenti: sorvolando sul discorso FIT, posso dirti che i nostri, maschi o femmine che siano, tendono per cultura imposta ad essere più dei professionisti d’allenamento che dei veri guerrieri. Mi spiego meglio con un esempio: Lorenzo Sonego, come altri del resto, da tutti considerato un guerriero, ama la competizione. Se invece del tennista facesse il marines può darsi che qualche allenamento duro non lo supererebbe, però poi in battaglia sarebbe il primo a trovare un nascondiglio per cavarsela e riuscirebbe a sparare al nemico anche senza una conoscenza perfetta del fucile in dotazione. In realtà l’allenamento, cioè la pratica e l’esercizio continuo sono condizioni indispensabili per diventare forti, ma non sufficienti se manca l’abitudine a competere. L’esperienza te la devi fare sui campi durante la performance. Il tennis è la partita, non solo cesti di lungolinea o incrociati. La competizione ti costringe a risolvere i problemi che altrimenti è difficile affrontare. Alcuni dei nostri al contrario entrano in campo determinati solo nei momenti in cui sono in fiducia, e non a prescindere dallo stato di forma o di condizione come si dovrebbe fare. E su questa mentalità noi dobbiamo crescere molto. Per imparare ad essere performanti quando serve, cioè nei tornei, bisogna competere molto. Riportare l’atteggiamento o le sensazioni della gara è fondamentale, e ricrearle durante la preparazione, cioè l’allenamento, è decisivo. Le dinamiche, sia tecniche, sia tattiche, sia soprattutto emotive, del match, vanno sperimentate continuamente dall’atleta, al fine di poterle dominare e gestire quando serve”.

Al Foro Italico abbiamo incontrato anche Gian Marco Remondina, il papà di Giulia, notissimo allenatore di calcio ex Hellas Verona, Brescia, Sassuolo e Spal:

“Fin da bambina Giulia è sempre stata veloce, sveglia, e anche se di tecnica tennistica non ne capisco molto (ma qualcosa ho anche imparato a forza di vedere partite) l’ho sempre vista all’altezza di competere. Mia moglie ne ha colto presto le grandi qualità. Io non le metto pressione perché so bene quanto il tennis, molto più del calcio, sia uno sport ‘mentale’ in cui l’atleta è completamente solo in campo per cui è molto difficile gestire le dinamiche emotive. Basta un niente per perdere la consistenza e la fluidità del gesto. Se ti irrigidisci finisci per sbagliare tantissimo, devi tenere la massima attivazione muscolare e nel contempo una rilassatezza naturale. Giulia quando era ancora più giovane giocava con la Giorgi, e pensavamo che potesse fare lo stesso percorso, che invece si è un po’ interrotto per mille motivi. Ma è ancora in tempo, perché talento, voglia e grinta ci sono. È bello seguirla, me la sono andata a vedere in Francia, Germania, ovunque, e mi diverte molto in particolare il tennis femminile che è ancora vario. Sicuramente il tennis femminile sta puntando molto sull’aspetto atletico, e questa è un po’ una differenza che vedo tra italiane e straniere. Alcune ragazze dell’est, per dire, sono delle atlete formidabili, ancora prima che tenniste. E Giulia non è lontanissima su questo aspetto”.

 

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