Andrea Vavassori: “Ho scelto Tirrenia per crescere, primo obiettivo livello Challenger”


Andrea Vavassori è uno dei giovani in rampa di lancio del panorama italico del tennis, attualmente è al suo virtuale best ranking al numero 563 ATP (le nuove classifiche usciranno la prossima settimana), e lo incontriamo al TC Guzzini di Recanati dove si sta svolgendo il Challenger. Ha raggiunto qui il secondo turno, sconfiggendo nel primo la testa di serie numero 8 del seeding, il bosniaco Setkic, per poi perdere al secondo da Viktor Galovic. E’ appena uscito dalla doccia dopo la bella vittoria in doppio con il suo compagno Julian Ocleppo, figlio del davisman anni 80 Gianni, raggiungendo la semifinale.
Ceniamo insieme anche con il papà Davide, la sorella Sara, e il team di Ocleppo, formato da coach Dmitry Morolev e preparatore atletico Mauro Atencio.
Da intervista concordata si trasforma in piacevole chiacchierata cenando tra persone che amano il tennis e lo sport in generale. Con il Maestro Davide Vavassori, 51 anni, papà di Andrea, si potrebbe parlare di sport per ore senza annoiarsi, ha una cultura tennistica affascinante, non solo tecnica ma a 360 gradi. Andrea cena con una buona pizza insieme a Julian che è un continuo di battute ed energia figlie di un carattere e di una spensieratezza che già solcano una differenza tra i due ragazzi, amicissimi tra di loro e molto in sintonia anche in campo dove in doppio si completano a vicenda. Andrea più contenuto nelle esternazioni e maggiormente riflessivo, Julian molto estroverso, one man show style. Due intelligenze differenti ma egualmente positive, due modelli di personalità che ne fanno una miscela esplosiva in campo e fuori.
Andrea, è vero che hai cominciato a giocare a tennis sul campo dei nonni?
“Sì, è vero, nonno Arduino a Tetti Neirotti, un piccolo paese nel comune di Rivoli, dopo una vita di sacrifici aveva voluto costruire un campo, che poi è diventato un punto di riferimento per i bambini del paese, non solo per noi nipoti, ed io ho cominciato lì a giocare. Nonno Arduino è il mio primo tifoso, mi segue fin da piccolo con una passione sfrenata ed è molto importante per me, gli sarò sempre grato per tutto l’affetto che mi dà. Lui non giocava da ragazzo, erano altri tempi, c’erano altre priorità frutto di una condizione economica più ristretta, e aver dato una possibilità a dei ragazzi, me per primo, di giocare su un campo costruito da lui, è stato un modo per contribuire attivamente allo sviluppo della società. Ha piantato un seme.”
Papà Davide annuisce e aggiunge: “era un campo in asfalto, e sapessi quanto è stato importante”.

Come sei arrivato fin qui, numero 563 del mondo e protagonista a livello ITF Futures e Challenger? E’ vero che ti sei sempre allenato tanto?
“Fino ai 14 anni mi allenavo 3 volte a settimana, poi anche i week end a dire la verità o comunque tra tornei vari ero impegnato molto. Dopo mi sono sempre allenato tutti i giorni, un grande impegno, il periodo del Liceo è stato durissimo, studiare e giocare insieme, cercando di far bene entrambe le cose non è stato facile. Finivo a volte di studiare all’una e mezza di notte, con i muscoli a pezzi e il cervello in pappa. Ma è servito anche questo”.
Interviene Davide: “Non era raro che io e mia moglie andassimo in camera sua e lo vedessimo intento a studiare, stanco morto, ci faceva anche tenerezza per la fatica che era disposto a sopportare. Lì è cominciata la “resilienza” di Andrea, che sta sviluppando ancora oggi. Noi genitori abbiamo voluto che i nostri figli comunque studiassero, il Liceo Scientifico Statale non era certo una scelta di comodo e purtroppo in Italia chi fa sport nella scuola viene quasi discriminato. Questo è un problema che si ripercuote su tutta la società: da una parte chi fa sport agonistico viene frenato e quindi ne subisce conseguenze negative, dall’altra la poca importanza che viene data all’attività sportiva porta i ragazzi di oggi a tutti i problemi che vediamo, obesità, mancanza di capacità coordinative e anche poca cultura nel rispetto dei valori tipici dello sport. Speriamo che le autorità intervengano in questo senso, colmando queste lacune della Scuola italiana.”
Che tennista è Andrea Vavassori?
Mi definisco un giocatore situazionale, provo ad essere brillante, ispirandomi a giocatori aggressivi come Feliciano Lopez o Misha Zverev. In base alle circostanze il mio obiettivo tattico in genere è essere propositivo facendo la prima mossa, attaccando e conquistando la rete. Sto cercando anche di migliorare il rovescio per renderlo più completo”.

Papà Davide: “Andrea sta lavorando molto affinchè gestisca bene l’approccio alla voleè, tende ad essere eccessivo, e deve crescere nel colpo di collegamento tra la fase di costruzione e la fase di attacco. E avere un rovescio lungolinea che diventi un fattore.”
Dove ti alleni?
Fino a qualche tempo fa mi allenavo a Pinerolo, mattina e pomeriggio. Ora ho accettato la proposta della FIT e faccio base a Tirrenia, sono contento della scelta.”

Davide mi spiega la scelta: “Ho fatto anche io un passo indietro, da coach unico che ero sono felice di aver costruito un ragazzo con ottime basi. Ora a Tirrenia ha la possibilità di formare un palazzo sopra queste basi. La scelta era inevitabile per una serie di motivi. Il primo è che a Pinerolo faticavamo molto a trovare sparring all’altezza: un giorno ad esempio dovevamo andare a Vercelli per scambiare con Crepaldi, un altro a Torino per provare a giocare con Sonego, dovendoci sia sobbarcare fatica e spese per andare, sia dovendoci adattare ai tempi e modi di chi ci offriva questa opportunità. Diventava complicato. A Tirrenia la FIT ha riunito alcuni dei prospetti migliori e questa è una scelta vincente che fa crescere i ragazzi. Poi al centro Tecnico sinceramente c’è tutto, proprio tutto ciò che serve ad un atleta. Gli strumenti gli vengono dati alla grande. I ragazzi mangiano lì, dormono lì, hanno a disposizione medici, fisioterapisti, preparatori, tecnici, sono seguiti in maniera totale. In più aggiungiamoci che la FIT si offre di garantire un coach che segua i ragazzi nei tornei, e a questo livello è fondamentale per loro. Sai qual è l’obiettivo finale però di ogni tennista? Diventare Coach di se stessi, chi ci riesce a quel punto poi si circonda di persone che possano consigliarlo e seguirlo nei vari aspetti ma gestisce lui stesso il tutto.”
Andrea, mentre taglia uno spicchio di pizza, interviene: “Mi trovo benissimo a Tirrenia, c’è tutto, si mangia anche bene. Mi trovo bene con tutti i tecnici, ringrazio Umberto Rianna che coordina il progetto Over 18 che mi ha scelto e mi sostiene sempre. Papà non mi può seguire sempre nei tornei e quindi l’apporto quotidiano dei coach che mi han seguito di volta in volta è stato determinante. Vedi, è proprio la quotidianità, il condividere tanto tempo insieme con gente che ha una esperienza infinita che è importante, non è solo il consiglio su una apertura più o meno ampia, e nemmeno si tratta di fare allenamenti o drills miracolosi. Io a Tirrenia ho girato vari gruppi, lavoro con Castrichella, Navarra e Tenconi e giro a volte con uno a volte con un altro, e ognuno a modo suo è importante.”
Su cosa lavorate in special modo?
Ovviamente non tralasciamo nulla, ma servizio e risposta li curiamo in modo particolare. Del resto io sono un giocatore da pochi scambi, e cominciare aggressivi è fondamentale. Poi rovescio e parecchio lavoro per migliorare il mio gioco di volo che è già buonino per la verità, grazie a papà che fin da piccolo era fissato perché diventassi bravo in prossimità della rete.”(e sorride).
Papà Davide, che nel frattempo ha appena finito un hamburger di Angus, ci stoppa: ”Sai chi era il mio giocatore preferito? Pat Rafter, fenomenale nel gioco a rete. E poiché sono un convinto sostenitore del metodo australiano, ho cominciato ad insegnare tennis ai miei ragazzi proprio dal gioco al volo. Tutti e tre i miei figlioli a rete se la cavano anche per questo. Sara, la mia figlia femmina ad esempio (è al tavolo con noi, ha un sorriso splendido che regala serenità e uno sguardo timido e allo stesso tempo determinato), se volesse riprendere a giocare sul serio, visto che ora si dedica agli studi, la farei giocare serve and volley. Tornerà il serve and volley, in particolar modo nelle donne, ma anche tra i maschietti. Si trovano sempre nuove soluzioni nello sport, chi dice che il gioco si è fatto troppo veloce per cercare la rete subito potrebbe non considerare che intanto i ragazzi e le ragazze diventano sempre più veloci, reattivi e resistenti. Nulla è precluso a priori, prendi la Vinci: con quel suo gioco così vario ancora mette in scacco rivali che sono più alte di lei 15 cm e hanno molta più potenza.”
C’è ancora spazio per un piccoletto nel tennis (notizia appena arrivata che Dudi Sela, uno dei più bassi del circuito ha battuto Isner, uno dei più alti a Wimbledon e Cipolla ancora macina risposte vincenti e voleè fenomenali in doppio)?
Sicuramente si va verso un inevitabile innalzamento dell’altezza media. Anche tra le femmine. Quindi ci saranno sempre meno piccoletti, ma ci sarà sempre il fenomeno che stravolgerà la logica.”
Che importanza ha la specialità del doppio per te, Andrea?
Vuol dire tanto. Per diversi motivi. Innanzitutto mi piace proprio giocarlo, fin da bambino, mi diverte. Poi è un allenamento costante, secondo me fa parte del progetto di crescita, tutti dovrebbero giocarlo, a tutti i livelli. Anche tra i Pro. Poi c’è l’aspetto della condivisione delle emozioni con un compagno. E’ bello vincere in coppia, almeno quanto vincere in singolare. Ti permette di conoscere i compagni di tante avventure, come Julian Ocleppo che è qui con noi, anche all’interno delle dinamiche agonistiche. Si creano alchimie, non solo tecnico tattiche, che consentono di approfondire i rapporti.”
Papà Davide: “Non sottovaluterei nemmeno la carriera di un buon doppista, sia sul piano della soddisfazione personale che su quello economico. Poi c’è un altro aspetto che depone a favore della specialità del doppio: durante i tornei, come qui a Recanati ad esempio, se vai avanti in doppio hai più possibilità di restare a contatto con altri grandi giocatori, ti confronti, ne respiri gli umori, rubi con l’occhio, vivi in un contesto positivo di professionisti, e tutto questo aiuta nella crescita e nella esperienza”.
Quali sono i tuoi obiettivi a medio termine? E la programmazione delle prossime settimane?
Obiettivo sempre mirato al livello. Non alla classifica, che ne è una logica conseguenza. Quindi c’è in me la voglia di raggiungere il livello giusto per potermela giocare nei challenger alla pari con tutti, ci sono vicino anche se c’è da lavorare. Lo stesso nella specialità di doppio. Per la programmazione ora vado 2 settimane a Sharm sul cemento outdoor, che resta la mia superficie preferita. In doppio farò ancora coppia con Julian, anche lui in procinto di partire per l’Egitto. Poi torno in Italia per Cortina e Biella, 2 Challenger di ottimo livello.”
Mentre prenota il volo per Sharm, dovendo stabilire la data della partenza in base al risultato del giorno seguente qui a Recanati dove gioca la semi, Andrea ascolta la domanda sulla famiglia che faccio a papà Davide, in modo che mi possa raccontare l’importanza di una famiglia unita per un tennista, e drizza le antenne.
Davide: “Mia moglie si chiama Dorina, fa la rappresentante ed è una protagonista assoluta della crescita dei nostri figlioli. Senza di lei nessuno di noi sarebbe quello che è ora. Io sono un Maestro di tennis, lavoro molte ore al giorno, devo seguire i miei allievi, di tempo ne ho poco e se non ci fosse stata lei ad accompagnare i ragazzi ai tornei, a cominciare da Andrea, non so come avremmo potuto fare. E’ una mamma e una moglie Top. Ma soffre un sacco, non riesce a vedere le partite dei ragazzi. Soffre così tanto che a volte li porta e poi si allontana. Adesso anche Sara segue e accompagna Matteo, il più piccolo della famiglia, che sta venendo su bene. Sara di bello ha la positività naturale, con lei a fianco ci si sente meglio.”
C’è qualcuno che ti senti di ringraziare?
Sicuramente. Paolo Moro che mi customizza le racchette e fa anche molto altro, è una persona che con la sua semplicità e intelligenza da piemontese doc ci dà una bella mano. Inoltre ho un mental coach, che è molto di più di un mental coach, ma una persona fantastica che si chiama Gianni Santiglia, ed è importante per il mio equilibrio emotivo.”
Interviene Davide:” Gianni Santiglia è un vecchio amico, è uno di quelli che calcava il campo in asfalto di mio papà Arduino, ci siamo allontanati geograficamente perché lui è andato in Sicilia, per poi ritrovarci in occasione dei campionati italiani Under 14 che si svolgevano a Catania. Siamo stati ospiti da lui un paio di giorni, e con Andrea è scattato un bel feeling, tanto poi da seguirlo anche al Foro, in occasione delle qualificazioni al Master 1000 di Roma del 2016.”

Andrea, sei fidanzato?
Sono single. Mantenere rapporti sentimentali per un tennista professionista è davvero complicato. Probabilmente è più semplice se la partner è a sua volta una sportiva agonista, che può forse meglio capire le dinamiche di chi fa questo strano mestiere. Orari particolari, priorità che va data sempre ad allenamenti, tornei, viaggi. Diventa difficile. E sul piano economico è pesante portare con sé una eventuale partner, per cui la lontananza è uno scoglio.”
Hai tanti amici nel circuito?
Molti amici, ne potrei citare davvero tantissimi. Ovvio che ci sono periodi che si lega di più con qualcuno perché ci giri insieme nei tornei, mi è capitato con Julian adesso, con Gianluca Di Nicola c’è un bellissimo rapporto, con Massara altrettanto, con Mager ci sentiamo ogni giorno, insomma ce ne sono tantissimi, li vorrei nominare tutti ma non finiremmo mai. Nessuno dei miei amici si senta escluso, ecco.” (e sorride ndr).”
Parlami di Julian Ocleppo, è un personaggio speciale.
Julian è una persona vera. Nonostante tutti sappiamo che lui ha una vita particolare, in fondo diversa da molti di noi, perché proviene da una famiglia molto in vista, ed economicamente molto solida, non ostenta mai la sua provenienza. Tennisticamente è fortissimo. In campo ci compensiamo, lui è più estroso, io più ragioniere. Il bello di giocare in coppia con lui è che sa che in qualsiasi momento può tirar fuori dal cilindro una giocata clamorosa, un vincente in qualsiasi contesto, come ha fatto anche oggi contro Lamble/Celikbilek con un paio di risposte vincenti sui piedi degli avversari. Io sono più forte a rete, lui spinge da fondo. Poi c’è una grande affinità emotiva.”
C’è qualche giocatore che hai visto nei tornei che ti ha colpito tra i meno noti?
Moelleker, non ha ancora 17 anni ed è un fenomeno. E’ un tedesco che sa far tutto. Su lui ci punterei.”
E il tuo idolo attuale?
Come non dirti Re Roger.”
Interviene Davide: “aggiungo Fognini, a volte vederlo giocare è uno spettacolo, gli riescono cose fuori dalla norma.”
Mentre la cena volge al termine ed arrivano i caffè, dopo una giornata intensissima cominciata alle 10 con allenamenti intensi, e terminata alle 22 mentre sul centrale Alessandro Bega sta lottando alla pari con lo spagnolo Menendez Maceiras, chiediamo a Davide cosa vuole dire essere un coach e che doti debba possedere.
E’ una domanda molto complessa. Ci sono tanti aspetti da tenere in considerazione. In primo luogo il coach è un educatore, e quindi deve principalmente essere un esempio. Questo in qualsiasi sport o attività della vita. Deve predicare bene e razzolare bene. Poi altro elemento comune a tutti i coach, di qualsiasi livello o specialità è che deve sapersi mettere in discussione. Non avere certezze assolute. Avere idee sì, confrontarsi, provare, fare, ma non avere dogmi. A volte deve saper assorbire i colpi, deve essere elastico, e qui mi riferisco soprattutto al coach di un tennista PRO. E’ una carta assorbente a volte. (e sorride ndr). Più si va avanti nel circuito più è importante l’aspetto della cura dell’allievo a 360 gradi. La cura della persona a tutto tondo. A volte è più importante quello che succede fuori dal campo rispetto ai puri e semplici gesti tecnici o alle scelte tattiche. Qui parliamo di ragazzi che san fare quasi tutto, hanno qualità atletiche importanti, la differenza la fa l’autostima e la consapevolezza di sé. In questo il coach è determinante. Prendi Toni Nadal, che ha “creato” il fenomeno Nadal. Ha sempre sostenuto che la semplicità è un fattore determinante, non allenamenti di chissà che tipo, duri sì, ma semplici e quindi il suo segreto, come ha detto in vari simposi che ho seguito, e avendolo anche conosciuto personalmente, è stato proprio il concetto di semplicità. Un coach osserva, non giudica, dà serenità e sa modulare la frequenza emozionale dell’atleta. Il tutto con la massima semplicità.”
Tra poche ore entrano in campo Vavassori ed Ocleppo per una semifinale storica per loro contro una coppia australiana/nipponica, De Waard/ Mclachlan (che hanno poi vinto, ndr). Con le loro armi. Poi in volo per l’Egitto a lottare su altri campi in cemento alla ricerca della massima prestazione. In bocca al lupo ragazzi.

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