A piccoli e sapienti passi: la crescita del tennis ungherese secondo Agnes Szavay

La geopolitica del tennis, se davvero ne può esistere una senza eccessive forzature, ha da sempre dei centri e delle periferie a cui appellarsi. La storia dell’ultimo decennio e mezzo porterebbe a dividere i centri tra Basilea, Maiorca, Belgrado. Mentre le periferie si spargono nel resto d’Europa e del mondo o in un paio di centri ormai non più tali, come la Svezia rimasta appesa ai bagliori di altre epoche o gli Stati Uniti patria del “vorrei ma non posso”. Fa eccezione lo spicchio di Florida attorno a Bradenton che però, più che feudo della USTA, è la repubblica autonoma di Bollettieri e della sua eredità materiale e spirituale.

A livello femminile tracciare una mappa si fa ancora più difficile, con fuochi che si accendono isolati e fugaci e chissà poi quanto davvero rappresentativi di un momento di potere. L’Italia ha tenuto duro per un’età dell’oro che probabilmente non abbiamo saputo apprezzare abbastanza, la Francia galleggia senza prendere il mare, le apolidi dominano la scena strappandosi lo scettro e poi naturalmente c’è la Repubblica Ceca. Il Paese delle cinque Fed Cup vinte negli ultimi dieci anni dimostra con continuità di avere un movimento di fulminatrici del ghiaccio che da Kvitova in poi continua a mandare sul circuito nidiate di tenniste spesso molto simili tra loro ma non per questo meno efficaci.

La cosa più stuzzicante del fenomeno ceco è che il suo essere centro pulsante nell’Europa centro orientale sta facendo – più o meno direttamente – da chioccia a una periferia di altre federazioni della zona via via in crescita. Tolta l’eccezionalità del caso della Russia, impossibile non notare l’exploit della Bielorussia finalista alla scorsa Fed Cup, l’astro nascente della polacca Iga Światek fresca campionessa juniores di Wimbledon o il momento di tendenza del tennis ungherese, trascinato dai risultati al maschile dell’ispirato Marton Fucsovics e in attesa dell’esplosione di una generazione al femminile che ha impressionato a livello juniores.

Dello stato di salute del tennis ungherese abbiamo parlato con Agnes “Agy” Szavay, un passato da top-20 con un quarto di finale slam fatto segnare a Flushing Meadows nel 2007, e oggi direttrice di una scuola di tennis a Budapest che porta il suo nome, la Szavay Agi Tenisziskola.

Innanzitutto, grazie per la disponibilità. Vorrei chiederti qual è la tua percezione, da ex top-20, sulla capacità del movimento ungherese nel sostenere e sviluppare le atlete. La federazione ha scommesso su di te all’epoca o hai sentito di dover fare molto da sola?
“Il tennis ungherese è in continuo miglioramento e il governo sta investendo molto sullo sport ultimamente. Adesso in Ungheria si giocano molti tornei, abbiamo almeno un tennista intorno ai primi 50 sia tra gli uomini che tra le donne, è un buon momento. Ai miei tempi la federazione non poteva garantire grande aiuto, ma per fortuna adesso le cose sono cambiate”.

Qual è il peso del tennis nei media ungheresi, sportivi e non? In un’ipotetica classifica degli sport più seguiti in Ungheria, in quale posizione si troverebbe il tennis?
“Non saprei fare una classifica, di sicuro il tennis non è mai stato lo sport più popolare in Ungheria, ma ultimamente la sua considerazione è molto cresciuta grazie ai nuovi tornei che si giocano da noi e alle prestazioni di tennisti molto forti come Marton Fucsovics”.

Attualmente gestisci la tua scuola di tennis a Budapest, per cui sei in contatto quotidiano con ragazzi, bambini e semplice appassionati che amano giocare a tennis nel tempo libero. Che tipo di persone si avvicinano al tennis in Ungheria secondo la tua percezione?
“Adoro coordinare la mia scuola e lavorare con i bambini, purtroppo la mia schiena fa ancora male (fa riferimento ai problemi cronici che l’hanno portata al ritiro precoce nel 2013, ndr) e non sono in grado di fare molto lavoro sul campo, ma mi occupo di tutti gli aspetti organizzativi e di tenere sempre al massimo gli standard di qualità. Sulla questione di chi si avvicina al tennis in Ungheria direi che è come nel resto del mondo: si tratta di persone che vengono da famiglie benestanti dal momento che è uno sport piuttosto costoso paragonato ad altri”.

Nel presentare la tua scuola di tennis dici che la tua intenzione non è quella di sviluppare professionisti, ma solo educare allo sport e al divertimento. Ti chiedo allora, nel caso in cui ci siano tra i tuoi allievi ragazzini particolarmente talentuosi o motivati, ne supporteresti la carriera o gli sconsiglieresti di tentare la strada del professionismo?
“Se lo vogliono loro, hanno tutto il mio supporto! E ti dirò di più, ci siamo trasferiti da qualche mese in un club più grande dove si allenano molti professionisti e questo fa sì che io possa collaborare con allenatori di alto livello e che abbiamo le strutture per farlo al meglio”.

Cosa ne pensi dell’attuale stato della WTA? Vedi qualcuna in grado di raccogliere l’eredità di Serena o continuerà ancora questo interregno di fuochi fatui e riconferme senza una vera dominatrice del circuito all’orizzonte? E che ci dici delle due maggiori promesse del tennis ungherese al femminile degli ultimi anni, Dalma Galfi e Fanny Stollar?
“Penso che Serena sia ancora una delle giocatrici più forti del circuito, se non la più forte di sempre: prendere il suo posto è difficile per chiunque. Per quanto riguarda Galfi e Stollar, sono sicuramente due ragazze molto talentuose, ma devono lavorare ancora molto per poter arrivare ai vertici”.

Vorrei chiudere con un’altra domanda su un tema che sta molto a cuore ai nostri lettori. Mi ha molto incuriosito il fatto che per regolamento ai genitori dei tuoi allievi è impedito assistere agli allenamenti. È una presa di posizione molto netta. Da ex giocatrice e maestra di tennis, pensi che le aspettative dei genitori possano essere dannose per i giocatori più giovani?
“Sì, sono decisamente dannose. E ho osservato come i bambini si comportino sempre diversamente quando ci sono i genitori a guardarli. È una scelta precisa che ho fatto seguendo la mia filosofia e l’esperienza dimostra che ho fatto bene”.

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