Coppa Davis, un’insalatiera ricca di sorprese

Coppa Davis
di Lorenzo Andreoli

Stadi stracolmi, atmosfere incandescenti, campioni celebrati, eroi per un giorno e pronostici sovvertiti. Questo, ma anche tanto altro è la Coppa Davis. In vista dell’imminente finale fra Belgio e Gran Bretagna, ripercorriamo insieme cinque fra le più grandi sorprese di questa meravigliosa competizione.

1972, ROMANIA – STATI UNITI, 2 – 3

Quando il “clima Davis” riesce (o quasi) a ribaltare le previsioni della vigilia. Eliminato il Challenge Round, quella del 1972 è la prima edizione di Coppa Davis con il nuovo formato. La finale si gioca al Club Sportif Progresul di Bucarest ed è la rivincita dell’anno precedente. I protagonisti di questa storia, però, sono gli sconfitti Ion Tiriac e Ilie Nastase, tanto fenomenale il primo in campo, quanto il secondo fuori. Siamo negli anni 70’, dove è normale, nell’Est Europa, trovare le linee dei campi segnate con il gesso e una flotta di giudici compiacenti, ma non basta. La Romania parte male, perché il grande Stan Smith liquida Nastase in tre set, replicando la finale di Wimbledon di pochi mesi prima. Nel secondo match, Tom Gorman si porta in vantaggio di due set su Tiriac. Chiamate casalinghe ai limiti del surreale, il fracasso continuo dei quasi 8 mila rumeni sugli spalti e la classe dell’allora trentaduenne di Brasov portano i padroni di casa sull’1-1. Il doppio, però, non ha storia, dato che Smith e Van Dillen lasciano appena 5 game ai beniamini locali. Domenica a Tiriac serve un miracolo, che per poco non accade, quando trascina al quinto Smith per poi cedere di schianto 6-0. A Nastase, l’incontro di consolazione con Gorman.

1984, SVEZIA – STATI UNITI, 4 – 1

“Se qualcosa può andar male, andrà male”. Per una volta, la Legge di Murphy diventa la Legge di McEnroe e Connors, vittime di una Svezia spietata sulla terra indoor di Goteborg, nel dicembre del 1984. Tutti lo sapevano, ma nessuno voleva crederci. Si parte male già prima di scendere in campo. McEnroe è terribilmente fuori forma e viene da una recente sospensione; il simpatico Connors, si sa, la Davis non l’ha mai adorata, anzi. Il primo a scendere in campo è proprio Jimbo, che però riesce a mettere insieme solo la miseria di sette game nell’incontro con Mats Wilander (6-1 6-3 6-3). Nulla da fare anche per McEnroe, nell’incontro successivo. È Henrik Sundstrom ad infliggergli la terza sconfitta (13-11 6-4 6-3) di una stagione che si chiude comunque con il record di 82 vittorie su 85 match giocati. È il presagio al peggio. Il giorno successivo, infatti, McEnroe e Peter Fleming, cedono in doppio per la prima (unica e ultima) volta nella loro storia di Davis. Per il tennis americano sarà una finale “spartiacque”: dopo le scuse alla federazione svedese per il comportamento dei propri tennisti, la USTA invierà ai propri atleti un decalogo di regole da rispettare per poter essere considerati in Davis.

1988, SVEZIA – GERMANIA, 1 – 4

Si gioca a Goteborg, al “The  Scandinavium”. I padroni di casa, alla loro quinta finale consecutiva, hanno scelto la terra come superficie. Dall’altra parte c’è la Germania (ancora solo Ovest) dell’emergente Boris Becker, alla caccia della sua prima storica vittoria in Coppa Davis. I favori sono tutti per la Svezia, che si presenta tirata a lucido  con Stefan Edberg (fresco vincitore di Wimbledon, proprio contro Bum Bum Becker) e un Mats Wilander che ha completato tre quarti di Slam in stagione. Nel primo incontro, Becker si vendica del suo acerrimo rivale (6-3 6-1 6-4). Protagonista dell’impresa è il secondo singolarista tedesco, Carl-Uwe Steeb, allora n.74 del ranking mondiale. Nel secondo match di singolare, Steeb sfida Wilander, indiscusso n.1 al mondo. I primi due set seguono il copione, con lo svedese che si porta avanti di due set, senza aver mai perso al quinto da 2-0 sopra. Ma c’è sempre una prima volta. Steeb salva un match point al quinto per poi chiudere 8-10 1-6 6-2 6-4 8-6, dopo oltre cinque ore di gioco. Questo incontro segna il destino della finale, chiusa domenica dalla coppia Becker-Jelen, anche loro in grado di rimontare due set di svantaggio ai più accreditati Edberg-Jarryd. I tedeschi sono sul tetto del mondo.

1991, FRANCIA – STATI UNITI, 3 – 1

Nella finale del 1991 si assiste, probabilmente, alla maggior dimostrazione di coraggio e di intelligenza tattica di un capitano di una squadra di Davis: Yannick Noah. Al “Gerland Sport Palace” di Lione (sintetico indoor) si presentano gli Stati Uniti di Sampras e Agassi (rispettivamente numero 6 e 10 della classifica ATP), oltre ad uno dei migliori doppi di quegli anni, Flach-Seguso. Sulla carta la Francia è spacciata, ma la coraggiosa scelta di Noah, affidarsi all’estro del vecchio rivale di sempre, Henry Leconte, in luogo di Olivier Delaitre e la palpabile di emozione di un Pete Sampras esordiente in Coppa Davis, ribaltano la situazione. L’avventura transalpina però parte male. Nel primo incontro Agassi ha la meglio di Forget per tre set a uno (6-7 6-2 6-1 6-2). Il secondo incontro vede la rinascita di Leconte, che con una sontuosa prestazione infligge una pesante (e quanto mai inaspettata) sconfitta ad uno spaesatissimo Sampras (in patria si criticherà molto il suo utilizzo in luogo di Jim Courier da parte del capitano Tom Gorman): punteggio di 6-4 7-5 6-4. Sempre Leconte, in coppia con Guy Forget, realizza il punto del sorpasso per i padroni di casa, lasciando a quest’ultimo il compito di chiudere i giochi il giorno successivo, sempre ai danni di “Pistol Pete” (7-6 3-6 6-3 6-4). La gioia e l’incredulità del tennista franco-marocchino sono e resteranno sempre lo specchio di questo storico successo francese.

2008, ARGENTINA – SPAGNA, 1 – 3

Pensare alla Spagna del 2008 equivale a pensare al miglior Rafael Nadal di tutti i tempi (solo in quell’anno capace del “triplete” Roland Garros – Wimbledon – Olimpiadi). Ecco perché, dalle parti di Mar del Plata, sapevano di avere l’occasione della vita, una volta appreso del forfait del maiorchino, giunto stremato a fine stagione. All’Estadio Polideportivo Islas Malvinas si respira l’aria delle grandi giornate. Nel primo match, approfittando anche della (logica) scelta del cemento indoor come superficie, David Nalbandian strapazza il suo omonimo Ferrer con un perentorio 6-3 6-2 6-3. Nel secondo singolare si affrontano un giovane Juan Martin Del Potro (in dubbio fino all’ultimo per un forte dolore al piede) e Feliciano Lopez, tra gli spagnoli quello meno legato al dogma della terra battuta. Feli non si lascia intimorire e dopo aver perso il primo parziale riesce comunque ad aggiudicarsi il match. Il doppio, come spesso accade nelle finali di Coppa Davis, fa da ago della bilancia. Ad avere la meglio è la coppia più affiatata, quella formata da Lopez e Verdasco, che sebbene sotto di un set (e in svantaggio per 5-1 al tie-break del terzo) sfodera le sue armi migliori aggiudicandosi l’incontro. Per il quarto e decisivo punto, una nazione ormai nel panico vede scendere in campo il n. 48 del mondo, José Acasuso, preferito ad un claudicante Del Potro. Per gli spagnoli, invece, c’è Fernando Verdasco. Il madrileno si aggiudica il primo set, ma stordito e confuso dalla torcida platense cede il secondo ed il terzo. Sulla situazione di due set per parte, il medical time-out chiesto da Acasuso sembra il prologo alla tragedia. E cosi è. Verdasco sfonda nel quinto (6-1) regalando il titolo ad una Spagna priva, almeno per una volta, del suo re.

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