Monica Puig: bluff o predestinata?

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Di Alberto Cambieri

Si è detto e scritto molto nelle ultime settimane a proposito di Monica Puig: prima medaglia d’oro olimpica della storia di Porto Rico, prima donna della sua nazione a vincere una medaglia e tanti altri primati. Proviamo allora a capire chi è Monica Puig, che traguardi può raggiungere e cosa potrà aspirare a vincere negli anni a venire.

La tennista portoricana classe 1993 si è fatta conoscere fin da giovane, ottenendo ottimi risultati a livello juniores, tra cui spicca la finale raggiunta nel 2011 al Roland Garros, persa contro Ons Jabeur. Verso la fine del 2012 si è messa in evidenza per importanti successi a livello ITF, con le vittorie a Joue-les-Tours e Poitiers (in quest’ultima competizione ha battuto nell’ordine Razzano, Lasson, Voegele, Rybarikova e Vesnina) e la finale ad Ankara. Si è così presentata al via della stagione 2013 con grandi ambizioni ed il primo torneo della stagione ha mostrato una Puig in forte crescita e pronta a giocarsela anche con le più forti: è arrivata a due punti dall’eliminare la Kerber a Brisbane, arrendendosi solo per 9 a 7 al tie-break del terzo. In seguito ha raggiunto i primi quarti WTA ad Oeiras (persi contro la futura vincitrice Suarez-Navarro), a cui hanno fatto seguito quelli ottenuti a Praga (resa più che onorevole contro la padrona di casa Safarova), il terzo turno al Roland Garros (vittorie prestigiose contro Petrova e Keys, prima di arrendersi di nuovo contro la Suarez) e gli ottavi a Wimbledon, con tanto di prima vittoria in carriera contro una Top-10, ossia la nostra Sara Errani. Pochi a quel punto si sarebbero aspettati che mai, almeno fino ad oggi, sarebbe tornata a mettere piede in una seconda settimana dello Slam e che avrebbe avuto bisogno di più di tre anni prima di tornare ad ottenere lo scalpo di una Top-10. Dagli ottavi ottenuti a Wimbledon in poi infatti ha ottenuto più delusioni che gioie nel 2013: contro Mattek-Sands, Koukalova, Kleybanova (al rientro dopo il lungo stop in seguito alla guarigione dal tumore), King, Hercog e Nara si può perdere, ma non è stata sicuramente una sequenza di sconfitte che ci si aspettava da lei visto il rendimento nella prima parte di stagione e la sua crescita che pareva essere davvero convincente. Il suo 2014 è così cominciato con più di un punto interrogativo: a duri sorteggi nella prima parte della stagione, ha fatto seguire una splendida settimana in quel di Strasburgo, teatro del suo primo successo WTA in carriera. In quella settimana non ha perso un solo set e si è imposta su giocatrici blasonate quali Petkovic e Keys e in finale non ha dato alcuna chance alla spagnola Soler-Espinosa. Quando ci si aspettava da lei una nuova ripartenza, è di nuovo incappata in una spirale non proprio positiva: nel primo torneo dopo Strasburgo è stata dominata dalla Stosur al Roland Garros (doppio 61 per l’australiana) e le sconfitte contro Date-Krumm, Vickery, una Zheng nella fase calante della sua carriera, Yang, di nuovo Hercog e Hlavackova non sono state esattamente il viatico ideale per la stagione successiva. Il suo 2015 ha più o meno seguito lo stesso andamento del 2014: qualche sporadico acuto (quarti ad Acapulco, con altra vittoria sulla Errani, prima di compiere un suicidio tennistico contro la non irresistibile Karatancheva, semifinali a Pattaya perse contro la Tomlijanovic, con sconfitte, in entrambi i casi, dopo aver avuto match point a favore) e molte delusioni, come le sconfitte contro Erakovic, Falconi (non si contano le occasioni sprecate sul finale di un primo set letteralmente regalato alla statunitense), Arrabarruena, Doi, Hradecka e Govortsova. Non si tratta di giocatrici di basso livello, ma di tenniste che avrebbe potuto battere, specialmente dal momento che sembrava avere qualcosa in più in termini di gioco rispetto alle avversarie di fronte alle quali si è arresa. Si è presentata così al via del 2016 con la “solita” speranza di poter finalmente trovare la continuità nel suo tennis e di poter raggiungere vette ben più alte di quelle toccate nelle stagioni precedenti. Capace finalmente di mettere insieme i pezzi del puzzle del suo tennis, ha fino ad ora giocato una solida stagione che, prima del torneo olimpico, l’ha vista avvicinare le prime 20 della Race grazie a convincenti tornei disputati a Sydney, dove ha raggiunto la finale partendo dalle qualificazioni e battendo Stosur e Bencic lungo il percorso, prima di arrendersi facilmente alla Kuznetsova, agli Australian Open (terzo turno dopo buone vittorie su Linette e Krystina Pliskova), Roland Garros (terzo turno con successi su Govortsova e Goerges), Nottingham, Eastbourne e Florianopolis nella settimana antecedente le Olimpiadi. Nulla di quanto mostrato in quest’ultimo evento avrebbe fatto pensare ad un torneo pazzesco come quello da lei disputato a Rio: è infatti passata dall’affrontare Pivovarova e Savchuk ad infilare un filotto davvero impressionante nel corso dell’evento olimpico. A Rio ha dominato la Hercog (da cui era stata più volte battuta in passato) e ha riservato lo stesso trattamento ad una giocatrice fino ad allora più forte e titolata come la Pavlyuchenkova. Al terzo turno ha riservato un durissimo trattamento alla vincitrice del Roland Garros Muguruza, concedendole appena due game e tornando ad ottenere lo scalpo di una top 10 dopo più di tre anni dalla vittoria sulla Errani a Wimbledon. Nei quarti ha maltrattato l’emergente tedesca Siegemund, ma è in semifinale e in finale dove ha raggiunto picchi di rendimento mai espressi prima. In semifinale ha resistito al ritorno della Kvitova nel secondo prima di imporsi per 63 al terzo e, ormai sicura di diventare la prima donna “medaglista” della storia di Porto Rico, ha giocato a bracco sciolto per (quasi) tutta la finale olimpica contro la Kerber. Vinto con merito il primo set per 64, è risalita fino al 4 pari nel secondo, perdendo però gli ultimi due game del set dopo aver sprecato qualche occasione di troppo. Nel terzo però, caricata dal rumoroso tifo dei connazionali e di quei tifosi che si sono appassionati della sua storia e del suo tennis durante l’evento olimpico, è tornata a picchiare e a dettare con costanza il gioco, involandosi sul 50 prima di chiudere, non senza qualche patema di troppo, per 61. Da quel momento la sua vita è cambiata completamente, diventando un’eroina in patria e non solo: ci si chiede spesso quale sia il valore delle Olimpiadi nel mondo del tennis e la sua cavalcata da sogno ha senza dubbio dimostrato che solo l’evento a cinque cerchi è in grado di regalare certe emozioni e certe storie.

Rimane da capire se il livello di gioco dimostrato durante il torneo di Rio potrà essere di nuovo raggiunto con continuità dalla Puig: è probabile infatti che il fatto di giocare per la propria nazione abbia dato stimoli extra alla tennista classe 1993 che nei tornei “normali” del circuito non riesce a trovare. Nel corso degli anni infatti mai ha rinunciato a partecipare ai gruppi zonali di Fed Cup per rappresentare il proprio Paese, anche se non aveva di fianco a sé in squadra altre atlete competitive e si trovava spesso ad affrontare tenniste dal ranking e dal livello di gioco assai basso. Non si è nemmeno tirata indietro quando si è trattato di difendere i colori della propria nazione in occasione dei Giochi Paramericani, evento davvero di poco conto per quanto riguarda il mondo del tennis. Le Olimpiadi rappresentavano per lei un’occasione unica di rappresentare il proprio Paese in un evento invece di rilevanza assoluta, e ciò le ha senza dubbio fornito la giusta carica per arrivare in zona medaglia e per giocarsi il tutto per tutto con assoluta sicurezza nei propri mezzi. Il livello di tennis dimostrato in quell’evento non può però essere solo conseguenza della responsabilità di difendere i colori della propria nazione e quindi ci si può, anzi ci si deve aspettare che Monica riesca ad ottenere altri successi così prestigiosi e scalpi così importanti anche nei tornei WTA e negli Slam.

In seguito alla vittoria della medaglia d’oro è diventata una star nel suo Paese; molti sono stati i riconoscimenti ricevuti ed al suo ritorno a Porto Rico è stata accolta come solitamente si accolgono le squadre vincitrici ai mondiali di calcio, se non di più. Ha tuttavia faticato a riprendersi dalla “sbornia” post-olimpica, venendo eliminata all’esordio agli UsOpen dalla non trascendentale Saisai Zheng: è entrata centrata in campo salendo 41, ma da lì in poi ha completamente perso la bussola del suo gioco, sbagliando una quantità infinita di risposte di dritto e faticando moltissimo a trovare la giusta profondità con questo fondamentale. La conseguenza di ciò è stato un tracollo testimoniato dalla sconfitta per 64 62, ma gran parte di questa brutta prestazione è senza dubbio dovuta agli impegni post-olimpici ed al fatto di essere diventata una star non solo nella sua Porto Rico, ma nel mondo del tennis in generale. Se riuscirà a trovare quella continuità che il tennis moderno impone e quella solidità mentale che ha caratterizzato le fasi clou dei suoi match durante l’evento di Rio, sarà sicuramente un’atleta pericolosa per tutte e su tutte le superfici, non solo quando si tratta di rappresentare la sua amata Porto Rico. Il suo tennis infatti è basato su due fondamentali ben equilibrati: col rovescio è in genere più solida e perde meno campo, mentre col diritto spesso fatica a trovare la misura dei colpi e finisce per perderne il controllo. Il servizio è di alto livello, sia con la prima che con la seconda, mentre a rete tende a giocare troppi “schiaffi” in situazioni in cui sarebbe preferibili giocare invece le volé tradizionali. Non c’è dubbio però che il suo tennis sia perfetto per il tennis moderno e che sia in particolar modo l’aspetto mentale quello su cui deve maggiormente lavorare. Ad oggi si trova al numero 25 della Race del 2016 (che non tiene conto dei punti del torneo olimpico, in quanto quest’ultimo in questa edizione dei Giochi non assegnava alcun punto) e può nutrire grandi ambizioni già per quanto riguarda il finale di questa stagione. Il fatto di non aver vinto un solo punto durante la sua cavalcata a Rio può essere di enorme stimolo per lei: dopo quella vittoria deve partire da zero in molti sensi e quindi tutto ciò non può che motivarla a trovare quel livello di gioco appena tornerà a disputare tornei del circuito WTA e non appena avrà smaltito completamente la gioia per la vittoria olimpica. Molti si sono stupiti del fatto che la campionessa olimpica nel torneo di tennis femminile non fosse mai nemmeno entrata tra le prime 30 del mondo: siamo sicuri che Monica stessa vorrà dimostrare di valere molto più dell’attuale classifica di numero 35 del mondo e che il successo di Rio non è stata una casualità. Gli UsOpen per lei sono stati assai deludenti, ma in queste settimane sta anche imparando a gestire il successo ed una popolarità esplosa all’improvviso: di sicuro le feste a Porto Rico l’hanno un po’ distratta dagli allenamenti, ma non c’è dubbio che la Puig voglia portare a casa altri trofei “pesanti” per poter rivivere festeggiamenti simili insieme alla sua gente.

 

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