Djokovic: la verità di un uomo che ha vinto tutto, ma non ha mai perso se stesso

Daniele Testai
12 Min Read
Novak Djokovic - Foto Netflix

Ha suscitato grande interesse — e non poco scalpore — l’intervista che Novak Djokovic, 24 volte campione Slam, ha concesso al giornalista e conduttore britannico Piers Morgan nel programma Uncensored.
Un incontro sincero e senza filtri, che ha riportato alla luce uno dei capitoli più discussi della carriera del fuoriclasse serbo: la sua esclusione dagli Australian Open 2022 per la mancata vaccinazione contro il Covid-19.

L’intervista si è aperta in modo sorprendente, con le scuse pubbliche di Morgan, che ha ammesso di aver mantenuto in passato un atteggiamento “censorio” nei confronti del tennista. Il giornalista ha spiegato come le sue posizioni, durante la pandemia, fossero dettate da esperienze personali dolorose: “Ho perso amici, colleghi e parenti a causa del virus. Il mio atteggiamento era dettato dalla paura e dalla rabbia. Ma con il tempo ho capito che, con o senza vaccinazione, il virus poteva comunque essere trasmesso”.

Un cambio di prospettiva profondo. “Una volta che è diventato chiaro che se tu fossi vaccinato o no, non faceva alcuna differenza nella trasmissione del virus, per me è diventata una scelta personale”. Riflettendo su quella vicenda, Morgan ha aggiunto: “Quando sono emerse più informazioni — che tu avevi avuto il Covid settimane prima di entrare in Australia e non avevi commesso alcun errore nei moduli — è apparso chiaro che fosse diventata una decisione politica, basata sulla rabbia popolare. Ti devo delle scuse per il linguaggio aggressivo che ho usato”. Un momento di riconciliazione che ha mostrato il lato umano di entrambi. Un dialogo che va oltre lo sport, toccando libertà, responsabilità e potere dell’opinione pubblica.

Libertà di scelta

Djokovic ha accolto le parole di Morgan con calma e fermezza, ribadendo il principio che lo aveva guidato allora: la libertà personale. “L’umanità ha attraversato un periodo infernale, tutto il mondo è stato coinvolto. Non sono mai stato un anti-vax o un pro-vax, sono sempre stato un sostenitore della libertà di scelta. Essendo un atleta e una persona che si prende cura del proprio corpo, dopo aver fatto le mie ricerche ho concluso che non ero una minaccia per nessuno e nemmeno per me stesso. Ho avuto il Covid due-tre volte in un anno e mezzo, quindi avevo gli anticorpi”.

Il migliore di tutti i tempi

Nel corso della conversazione, Piers Morgan affronta il tema del “Migliore di tutti i tempi”. Per il giornalista, Djokovic è il migliore. “Non spetta a me dire che sia il migliore di tutti i tempi e sarebbe irrispettoso verso tutti quei giocatori che mi hanno spianato la strada: Nadal, Federer e tutti gli altri. È difficile paragonare le ere. Il nostro sport è cambiato enormemente negli ultimi 50 anni: tecnologia, superfici, allenamenti, tutto è diventato più professionale. Le persone oggi hanno accesso ai dati e alla scienza sportiva, e sanno come migliorare prestazioni e tempi di recupero”.

 

Il migliore su tutte le superfici

Morgan incalza: nessuno ha vinto tanto quanto Djokovic su ogni tipo di superficie. Il serbo riflette sull’evoluzione del tennis: “Negli anni ’80 la maggior parte dei tornei si giocava sull’erba, tre Slam su quattro erano su quella superficie. Ora è quella su cui si gioca di meno. Il tennis si è evoluto: si è passati dal serve and volley al gioco da fondo. Dalle racchette di legno alla grafite e poi ai materiali più leggeri. Le racchette di una volta ti permettevano di servire bene, ma non di imprimere tanti effetti”.

E conclude con serenità: “Non mi considero il più grande, ma mi considero uno studente di questo sport”.

I sacrifici del campione e il richiamo della famiglia

Morgan chiede a Djokovic cosa significhi, in termini di sacrifici, restare competitivo ai massimi livelli e al tempo stesso essere padre. “Ho avuto di recente questa discussione con alcuni membri della mia famiglia. Sto entrando nell’ultimo capitolo della mia carriera, dove devo con tranquillità essere in grado di mantenere quella rabbia e quella competitività e al contempo dover avere a che fare con alcune realtà che in questo momento non solo facili da accettare per me, ovvero essere un giocatore il giocatore dominante per più 20 anni della mia carriera ad essere dominato specialmente da Alcaraz e Sinner negli ultimi anni”.

La nuova generazione e la fatica di cedere lo scettro

Alla domanda su come viva l’ascesa dei nuovi campioni, Djokovic risponde:
“Sapevo che sarebbe accaduto. Sinner e Alcaraz sono grandiosi per il nostro sport. La loro finale al Roland Garros è stata incredibile. Non volevo guardarla, perché quando perdo in uno Slam cerco di staccare, ma mio figlio e mia moglie sono grandi appassionati e mi hanno convinto. L’ho guardata per due ore e li ho ammirati, cosa che mi è successa poche volte nella vita”.

Quando la forza del pensiero non basta più

“Sono consapevole che questi ragazzi… se confrontiamo il loro miglior livello e il mio, oggi loro sono migliori. Ho sempre creduto nell’impossibile, sono sempre stato ottimista. La mia famiglia ha creduto in me più di quanto io credessi in me stesso. Mi sono sempre sentito un Superman, ma negli ultimi due anni ho dovuto affrontare la realtà”.

La povertà e l’importanza di essere umani

Morgan cita Cristiano Ronaldo e gli chiede se anche lui abbia conosciuto la fame. Djokovic non si sottrae: “Abbiamo avuto l’embargo in Serbia dal 1990 al 1995. Ricordo quando aspettavamo in fila per un tozzo di pane. Queste esperienze sono reali. Mi hanno insegnato ad apprezzare la vita e ciò che Dio mi ha concesso. Quando non sai se domani mangerai, affrontare un match-point in uno Slam non è una grande cosa. È importante che quello a cui vai incontro sia un’esperienza reale e non superarla non ti fa diventare debole, ma ti rende un essere umano. La gente pensa che gli idoli dello sport siano dei semidei, ma io ho una percentuale leggermente superiore al 50% di finali slam vinti e questa non è una grande percentuale. Quando scendo in campo sono Novak Djokovic, la persona e non il giocatore, e devo fronteggiare tutto quello che succede nella mia vita”.

 

Il carburante del campione: tristezza o felicità?

Il giornalista chiede a Djokovic se lui abbia giocato meglio nella sua carriera quando si sentiva triste o molto felice: “Direi entrambi. Ho trasformato le difficoltà in carburante, soprattutto all’inizio della mia carriera. Ma ad un certo punto ti stanchi di prendere energia da emozioni negative. Oggi cerco un’energia costruttiva. Una delle mie più grandi motivazioni è stata quella di avere i miei figli abbastanza grandi da ricordare il loro padre essere un campione slam e sono riuscito a farlo più volte”.

18 mesi d’oro: la più grande onda surf di sempre

Parlando del suo periodo di imbattibilità, Djokovic racconta: “Non molti atleti hanno vissuto un’esperienza simile. Nessuno, in nessuna era, mi avrebbe battuto in quel periodo. Quello stato mentale che chiamiamo ‘zona’ è il più difficile da raggiungere, ma anche il più facile da perdere. Io l’ho mantenuto per 18 mesi: è stata la più grande onda surf di sempre”.

Essere un atleta d’élite ha un prezzo

Il giornalista chiede al tennista di Belgrado cosa significhi essere uno sportivo di alto livello: “Se il tuo ego cresce e credi di essere invincibile, arrivano i problemi. Nel 2016, a Wimbledon contro Querrey, ho perso dopo due interruzioni per pioggia. Quella è stata la prima volta in cui mi sono sentito vuoto. Ho dovuto riguadagnare la passione per questo sport”.

Dieci marchi sul tavolo della famiglia Djokovic

Morgan ricorda la famosa frase sui dieci marchi tedeschi lasciati sul tavolo.
“Ricordo bene. Mio padre mi chiedeva di maturare in fretta, di essere il secondo uomo di casa. C’era tanta tensione per la guerra, ma sono grato per tutto ciò che mi è successo. Mi ha reso ciò che sono”.

I soldi non sono tutto… ma contano

Il giornalista britannico chiede a Djokovic quale sia il suo valore economico ma Djokovic preferisce non andare nello specifico: “Valgo più di un milione di dollari. Ma non voglio parlare di cifre o dare informazioni a Forbes. I soldi sono importanti, ti danno sicurezza, ma la mentalità vale di più. Ho rifiutato sponsor importanti: non accetto di pubblicizzare bevande che io o i miei figli non beviamo”.

Come trasmettere la fame di gloria ai figli

Morgan gli chiede come trasmettere la stessa fame di successo alle nuove generazioni.
“Vogliamo creare per i nostri figli un ambiente sano, ma dobbiamo lasciarli andare. È il loro viaggio. Mio figlio sembra aver scelto il tennis, ma non potrò essere il suo coach. Gli sto mostrando il mondo del tennis, lo supporterò in ogni modo. Ma sì, come il figlio di Ronaldo, avrà una montagna da scalare a causa delle persone intorno”.

Quando il sipario si chiuderà

Alla domanda su come vorrebbe essere ricordato, Djokovic risponde con semplicità: “Amerei essere ricordato per i risultati, ma soprattutto per aver toccato il cuore delle persone. Al funerale del mio primo allenatore ho visto come la gente lo ricordava non per ciò che aveva vinto, ma per come li aveva fatti sentire. Sulla mia tomba vorrei fosse scritto: Novak Djokovic, l’uomo che ha toccato il cuore delle persone”.

Share This Article