Indian Wells: quando il tennis è musica

indian wells shadows

di Luca Brancher

Indian Wells è un nome che per gli appassionati di tennis avrebbe una valenza unica, che non staremo qui a ricordare. Ma se oltre alla passione per la racchetta unisci quella per la musica elettronica, in particolare italiana, allora si associa anche ad altro. E’ infatti questo lo pseudonimo scelto da un producer italiano ed utilizzato inizialmente per la produzione di un album del 2012, Night Drops, acclamato non solo nel Belpaese, ma anche oltreconfine, tanto che definirlo un gioiello tra le produzioni nostrane di questi ultimi anni è tutto meno che un’esagerazione. Il dubbio, sul motivo di quel nome, decade quando ci imbattiamo in una traccia dal nome “Wimbledon ‘80”, creata utilizzando campioni e suoni risalenti proprio alla finale del torneo di quell’anno. Troppi indizi, a questo punto non ci è rimasto che contattarlo per avere qualche delucidazione in merito, soprattutto dal momento che a breve uscirà la sua seconda fatica.

Ciao, come molte interviste che ti riguardano, cominciamo dal tuo nome, avendo tu deciso da subito di nasconderti dietro anonimato. Il nostro interesse è però rivolto alla scelta: perché Indian Wells, ti suona solo bene oppure c’è qualcosa che ti lega a questo torneo?

Entrambe le cose. Da un lato ho sempre creduto nella “magia” del suono delle parole oltre che del suono in generale. Dall’altro volevo fare un disco concettualmente legato all’immaginario del tennis. La solitudine sul campo, la grande disciplina, i sacrifici, le rivalse, sono stati tutti concetti dai quali prendere spunto. Poi, ovvio, il tennis è uno sport che mi ha sempre affascinato. L’ho praticato da adolescente, c’è stato un periodo della mia vita che mi alzavo in piena estate alle 6 e 30 del mattino per andare a fare lezioni, ero letteralmente ossessionato.

Ti definisci un amante del tennis passato, non a caso il brano con cui ti ho conosciuto, Wimbledon ’80, ci riporta a quell’epoca, poi dici di aver avuto un momento di disincanto e di esserti appassionato a Djokovic. E’ corretto? C’è’ un motivo prettamente tennistico?

Essendo nato negli anni ‘80 è ovvio che i miei primi ricordi siano legati a quel periodo. Ricordo ancora mio padre giocare con le racchette di legno, o con le prime in grafite, aveva una Dunlop “firmata” proprio da McEnroe, pesava quanto me. Poi è iniziata l’ascesa di Agassi e Sampras, Ivanisevic, c’era ancora Boris Becker, seguivo tutti i tornei. In seguito negli anni sono subentrati altri interessi, tra cui la musica, e l’interesse verso il tennis è andato a scemare fino all’ascesa di Djokovic che ha iniziato ad appassionarmi, mi sembrava un elemento di rottura verso l’eterno scontro Nadal – Federer, rendeva tutto molto più interessante.

A prescindere dai suoni, il tennis è per te uno sport che si potrebbe definire musicale, oltre al banale ed ovvio motivo risalente al rumore della palla che esce dalle corde? Lo deduco dal fatto che hai definito la tua musica Tennistronica…

E’ uno sport molto ritmico. C’è ritmo negli scambi, nelle pause. Nel linguaggio utilizzato per i punti. Non sono l’unico a pensarla così, James Murphy e l’IBM hanno da poco realizzato un progetto proprio allo scopo di “sonorizzare” le partite di tennis. E poi aggiungi che vista l’impossibilità per me di diventare tennista, credo di essere riuscito comunque ad avvicinarmi abbastanza a quel mondo, pur arrivandoci da un’altra strada. Ho visto il video di Wimbledon 1980 finire sul Twitter della ESPN, è stata una grandissima soddisfazione.

Nel tennis i nuovi giocatori hanno dei modelli, nei tennisti contemporanei come nel passato. Nel tuo primo disco te stesso riconosci come si possano trovare riferimenti ad interpreti come Four Tet e Burial, ma suppongo che più che modelli che involontariamente uno cerca di imitare, qui si tratti di musica che, quasi automaticamente, ti suona in testa nel momento in cui elabori delle tue tracce. Mi piacerebbe capire la tua evoluzione nelle ispirazioni musicali, e se prevedi già quali potrebbero essere le tue influenze future, o se sei interessato a sperimentare qualcosa di particolare – mi incuriosisce il tuo lavoro su Holocene di Bon Iver, musica concettualmente distante dalla tua.

E’ vero, ci sono delle volte in cui la musica che ascolti suona automaticamente in testa e influenza il modo di comporre una traccia, o magari è di ispirazione per nuove direzioni. In generale ascolto di tutto, non mi pongo limiti per genere musicale, ma ammetto che ci sono determinati artisti che devo ascoltare con il contagocce perché il rischio è che mi influenzino molto, anche se in modo del tutto involontario. Generalmente sento la necessità di sperimentare nuove strade: sono uno che si annoia molto facilmente. Il remix di Bon Iver, essendo appunto un remix, mi ha dato la possibilità di fare cose che normalmente non farei, con i remix lo faccio spesso, mi sento più libero, inoltre Bon Iver per me richiede una certa delicatezza, mi sarebbe riuscito difficile fare una base techno.

L’altro giorno mi sono dedicato all’ascolto di una traccia di William Basinski. Non so perché te l’ho detto, ma al di là di quello che può ritrovarsi nella tua musica, cos’altro ti piace ascoltare, e quanto di quello che ascolti genericamente “in giro” ti aggrada?

William Basinski è tra i miei ascolti, la serie di Disintegration Loops è tra le mie cose preferite di sempre. Insieme ad Arvo Part. Sono entrambi artisti che mi ispirano pur essendo molto distanti dalle cose che faccio. Per il resto la noia è sempre dietro l’angolo, a volte capita che mi piaccia un pezzo o due del disco di un artista nuovo ma subito dopo l’effetto magico svanisce. In un anno in media riesco ad apprezzare e ad ascoltare con continuità senza che mi stanchino massimo un paio di dischi. Credo che sia il segno dei tempi, c’è tantissima musica in giro, molte cose belle magari te le perdi pure.

Vale secondo te il parallelismo tra la scena elettronica italiana e quella tennistica, se rapportata ai “prodotti” internazionali? Direi che la scena musicale elettronica ha varie realtà interessanti da noi, sicuramente quantitativamente siamo messi meglio che in ambito maschile, però rispetto a questi ultimi anni di tennis femminile, insomma è una bella lotta, no?

Scena o no, ci sono molti bei progetti in giro. M+A, Populous, Clap Clap, Jolly Mare, Vaghe Stelle, Yakamoto Kotzuga e altri. Non abbiamo stelle affermate come nel tennis femminile (del maschile meglio non parlare) ma diciamo che è un movimento in forte crescita.

Nel tennis si parla di come e quanto l’evoluzione degli strumenti (racchette, ma anche palline) abbiano mutato lo sport stesso, tanto da essere molto diverso da quello della finale del 1980 di Wimbledon. Si dice che, ad oggi, il talento e la fantasia siano sì importanti, ma non come all’epoca, a scapito del fisico e dell’atletismo. L’ampliamento degli strumenti con cui fare musica, computer e non solo, non ha invece permesso alla musica di garantire una molteplicità di sonorità da aiutare in maniera ancora più sostenuta gli artisti dotati di ingegno e fantasia, una sorta di percorso inverso?

Non so esattamente dove l’ho visto, ma ricordo benissimo di un articolo che mostrava l’evoluzione del gioco del tennis dagli anni 80 a oggi.  E mostrava le parti di campo più utilizzate, negli anni ‘80 ben distribuite, ora praticamente solo fondo campo. Inutile che dica che preferisco il “serve&volley” agli scambi di otto minuti da fondo campo. Parallelamente potremmo dire che sì, la tecnologia ha quasi rivoluzionato l’ambito musicale ed è stata di aiuto a molti, me compreso, però la qualità generale è andata a scendere, sicuramente anche in virtù dell’aumento della proposta musicale, esponenziale. Insomma, c’è più tennis, ma molti meno McEnroe.

Trovi il tempo per giocare, oppure le tue velleità da piccolo, in cui volevi diventare un campione di tennis, sono state definitivamente riposte nel cassetto?

Si, gioco ancora, non molto spesso in verità, tra lavoro e musica è difficile trovare il tempo, ma ogni tanto con un vecchio amico di infanzia facciamo qualche partita, rigorosamente su terra rossa.

E’ bello svelare, dove possibile, anche i dietro le quinte che portano alla realizzazione di queste interviste. C’eravamo sentiti un mese fa – ed è clamoroso che in quel giorno avessi visto John McEnroe, quasi un preludio a quanto sarebbe capitato di lì a poche ore – e tu mi avevi detto che il tuo nuovo lavoro era prossimo all’uscita. Puoi parlarcene? Rispetto a Night Drops, il tuo acclamatissimo disco del 2012, cosa ci dovremo attendere?

Il nuovo disco è ormai pronto, manca davvero poco. Si chiamerà “Pause” e si tratta di qualcosa di diverso da Night Drops anche se la mano resta quella. Sarà decisamente più ritmico e ispirato da più temi/concetti. C’è anche un pezzo cantato da Matilde Davoli, la cui voce già appariva in Night Drops sotto forma di campione, ora invece si tratta di una canzone vera e propria, sono molto soddisfatto del risultato. Uscirà anche questa volta per Bad Panda Records, etichetta romana con cui mi trovo benissimo.

E’ curiosa questa predilezione per McEnroe, sai? Per due motivi, in fondo. 1) Perché nella finale di Wimbledon ’80 John veniva sconfitto da Bjorn Borg, che era una sorta di Nemesi, magari non completa visto che il suo avversario reale era Connors, però come stile di gioco, e 2) Perché proprio John era un personaggio totale, uno a cui piaceva esporsi in maniera particolare, abusando un’espressione tanto cara al nostro numero 1, Fabio Fognini, ci metteva la faccia, mentre tu preferisci mantenere l’anonimato.

Di McEnroe mi sono sempre piaciute le contraddizioni. Per il tennis ha sempre rappresentato “l’errore”, in uno sport considerato da tutti molto formale, da benestanti. A me piace il concetto di errore, lo cerco nella musica che faccio, non sono mai stato un amante del suono perfetto. L’errore è dannatamente umano. E vista la tecnologia con cui facciamo musica l’assenza di umanità è dietro l’angolo. Comunque era un personaggio sul campo, ma molto riservato nella vita privata. Il suo modo di giocare era entusiasmante, attaccava sempre, era un gioco più creativo e meno fisico, poi sì, perse la finale di Wimbledon 80 ma preferisco di gran lunga narrare di un’epica sconfitta che di un’epica vittoria. Fognini è di sicuro un buon giocatore ma non ha il talento necessario per compensare gli atteggiamenti che ha in campo. Quanto al mio anonimato poi è di facciata, nel senso che non è un mistero chi ci sia dietro Indian Wells, semplicemente mi interessa proporre quello che faccio, sono meno attento a tutto il resto.

Domanda a bruciapelo, Pete Sampras o Andre Agassi, John Cage o Brian Eno?

Sampras è uno dei tennisti più grandi di tutti i tempi ma ho sempre preferito Agassi, il secondo “errore” del tennis. Per il resto Brian Eno, che è Dio.

A proposito di John Cage, c’è un aneddoto risalente al 1959 che lo riguarda, rispetto ad una sua esibizione a Lascia o Raddoppia, che quasi certamente conosci, ma che cito per chi legge quest’intervista. Presentatosi come esperto di funghi, si esibì in un concerto in cui utilizzava vari “strumenti” – come una vasca da bagno o cubetti di ghiaccio – lasciando sbigottito Mike, tanto che il dialogo si concluse così: “Bravo signor Cage, ora torna in America o resta qui?”.  “Torno, ma la mia musica resta”  “Ah, quindi lei va via e la sua musica resta: sarebbe stato meglio il contrario, che la sua musica se ne fosse andata e lei fosse rimasto.” Sono passati più di 50 anni, secondo te la scena “convenzionale” italiana è più pronta ad uno spettacolo del genere? O siamo ancora ancorati al passato?

Questo episodio non lo conoscevo, è abbastanza “sintomatico” di situazioni che vedo spesso. E’ difficile proporre sperimentazione in questo paese, siamo il paese di Vasco e Ligabue, è difficile che uno che suoni con una vasca da bagno, una pentola a pressione e dei cubetti di ghiaccio possa suscitare interesse. Al massimo suscita qualche risata, una pacca sulla spalle e via, come nel caso che hai descritto. In altri paesi determinati artisti finiscono direttamente sulla BBC per fare un esempio. Ma qui nessuno ha interesse a proporre varietà di contenuti, ma è un discorso che comprende la cultura e l’istruzione in generale. Siamo il paese dove un telegiornale nazionale massacra il primo atterraggio di una sonda su una cometa, caso unico nel mondo penso. Difficile aspettarsi qualcosa di diverso.

Congediamo Indian Wells e lo ringraziamo, per il punto di vista originale che ci ha dato e che ci ha permesso di avvicinare due mondi apparentemente molto distanti. E così, oltre che attendere la nuova stagione tennistica, non ci resta che aspettare anche la sua ultima opera, convinti che in entrambi casi non rimarremo delusi.

 

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