Quelli che… una botta e via (1/2)

di Sergio Pastena

Una botta e via. Senza sentimento, senza coccole, senza ulteriori telefonate. Anche nel tennis è possibile, come dimostrano i giocatori che hanno nel palmares un torneo Atp ma non sono arrivati a giocare nemmeno cento partite nel circuito maggiore. In totale sono una ventina, vedremo in due puntate i dieci casi più clamorosi: storie curiose, a volte purtroppo tristi. Cominciamo dalle prime cinque.

10) Dimitri Poliakov, il russo per caso

Nel 1991 Poliakov era la “quinta forza” dell’appena disciolta URSS. Già, perché la sua nazione, l’Ucraina, dichiarò l’indipendenza il 24 agosto e Poliakov vinse il torneo di Umago il 19 agosto: questione di giorni, ma decisivi perché negli annali la sua vittoria batte bandiera sovietica. All’epoca Dimitri aveva 23 anni e galleggiava nei primi 200 al mondo, ben dietro la “triade” Chesnokov-Cherkasov-Volkov e dietro anche il rincalzo Olhovskiy. A Umago arrivò da numero 169 del ranking e gli addetti ai lavori non lo calcolavano di striscio: cominciò battendo l’argentino Azar, poi ebbe la meglio su Gunnarsson. Tutti lo davano perdente contro Clavet, terraiolo ostico e in fase di lancio, ma il russo vinse in tre set guadagnandosi una semifinale “giocabile” contro Fleurian. Superato in tre set il francese, gli toccò Javier Sanchez, fresco vincitore su Korda: il più classico dei punteggi, 6-4 6-4, per il primo e unico trofeo in carriera. Sull’onda dell’entusiasmo Poliakov vinse subito un Challenger, poi a fermare la sua corsa fu uno spagnolo anonimo, Gorriz, che lo eliminò due volte di fila. Lo stesso Gorriz che, da coach, lancerà un’altra meteora di lusso come Carretero. Passato il momento di gloria, Poliakov è tornato nei ranghi senza avere altri acuti, con grande delusione degli ucraini che per avere un campione dovranno aspettare Medvedev.

9) Pieter Aldrich e l’anno perfetto

In questa classifica il tennista sudafricano stona, perché non è certo uno sconosciuto: era un eccellente doppista ed è stato numero 1 al mondo di specialità, vincendo due Slam in coppia con Visser. Eppure, a ben guardare, anche in doppio la sua gloria è durata lo spazio di un anno, il 1990: la sua stagione benedetta, nel corso della quale fece anche finale a Wimbledon e vinse a Stoccarda. Da quel momento in poi non vinse più nulla. Sempre al 1990 risale la sua unica vittoria in singolare: a Newport, e dove sennò? L’ultimo torneo depositario dell’erba vera ha lanciato molti “anonimi”: da Draper a Godwin, da Wessels a Pereira. Aldrich mise in fila Shiras e Rive per poi superare test più “probanti” come Weiss e il connazionale Gary Muller, battitore terrificante (pensando a Gilles, verrebbe da dire che il segreto è nel cognome). In finale trovò Darren Cahill, ex numero 22 del mondo, e lo superò in tre set. Da quel momento, praticamente, Aldrich si dedicò solo al doppio senza mai ottenere le stesse soddisfazioni del suo anno d’oro. E allora, a ben guardare, Aldrich in questa classifica ci sta bene nonostante sia il nome più noto: il suo è stato per antonomasia un giro di valzer dopo il quale si chiusero le danze.

8) Le sette giornate di Roberto Carretero

Abbiamo già parlato di lui in un pezzo “ad hoc”, perché è l’autore di una delle più grandi sorprese della storia del tennis. L’exploit occasionale, ogni tanto, ci sta: che questo avvenga in un Masters Series, però, è altamente improbabile. La pensava diversamente il licantropo spagnolo che, ad Amburgo nel 1996, a partire dall’esordio con Arrese giocò per una settimana sulle nuvole sbattendo fuori dal torneo tedesco il gotha del tennis mondiale: da Washington a Boetsch, da Kafelnikov a Corretja, partendo dalle qualificazioni per arrivare tra gli dei del tennis. Era il numero 143 al mondo, si ritrovò all’improvviso numero 58 e, quasi come se fosse appagato di ciò che aveva combinato, da quel momento in poi non fece più niente di buono. Giocare solo 68 partite pur avendo vinto un Masters Series, in fondo, è un’impresa alla rovescia, visto che per un anno hai l’accesso garantito a tutti i tornei del circuito maggiore e anche dopo le wild card fioccano alla grande. Il buon Roberto, però, aveva già dato e da quel momento in poi il massimo che arrivò a mettere in bacheca furono un paio di Challenger.

7) Carsten Arriens, il perdente-lampo

Il tennista tedesco in questione è entrato di diritto nella storia del tennis, anche se ne avrebbe fatto volentieri a meno. Nell’anno 1996 si ritrovò ad affrontare, nel secondo turno del torneo di Sidney, il bombardiere anglo-canadese Greg Rusedski: ne venne fuori il più crudele massacro che la storia del tennis ricordi. 6-0 6-0 il punteggio finale, 48 a 10 il conteggio dei punti per l’inglese, 29 minuti la durata del match, che resta tuttora il più corto della storia del tennis professionistico. Arriens, che al meglio è stato numero 109 del mondo, ha per fortuna anche un ricordo buono: nel 1992 vinse il torneo brasiliano di Guaruja. Non si parla del Roland Garros, certo, ma il suo cammino non fu semplice: nel corso del torneo si trovò a dover sconfiggere il tre volte vincitore Luiz Mattar, l’astro nascente Jaime Oncins e il finalista uscente Fernando Roese. Tre brasiliani, e noi italiani sappiamo bene quanto sia difficile giocare in trasferta da quelle parti. In mezzo alla tripletta Arriens infilò una vittoria con Arrese per poi battere in finale Corretja. Alex era notoriamente un buono: il fatto che abbia regalato l’unica gioia sia ad Arriens che a Carretero possiamo prenderlo come un segno del destino. Piccola parentesi: la sfiga, compagna fedele, voltò le spalle ad Arriens solo in quella occasione, se è vero che il tedesco non potè neanche difendere il titolo perché quella fu l’ultima edizione del torneo di Guaruja…

6) L’erba più verde di Rajeev Ram

E’ l’unico tennista ancora in attività che abbiamo inserito nella lista, ed il motivo è semplice: Ram ha quasi 28 anni ed ha alle spalle soltanto 62 match nel circuito maggiore. Considerando che al momento è numero 151 delle classifiche, è ben difficile che possa raggiungere la quota di 100 match giocati, anche se saremmo lieti di essere smentiti visto che è uno dei “desaparecidos” del serve & volley. Ora, ragioniamo: un tennista quasi sconosciuto che viene continuamente a rete e, nonostante l’altezza (193 cm) non fa della potenza un suo punto di forza. Dov’è che può vincere un tizio del genere? Avete indovinato, si parla ancora di Newport. Nel 2009 lo spilungone americano sfruttò alla grande un tabellone non irresistibile (anche perché è impossibile trovare tabelloni irresistibili a Newport) per spingersi dalle qualificazioni fino alle semifinali, dove si trovò di fronte un altro che non ha la mano quadra come Olivier Rochus. Superato il belga in due set, in finale pareva difficile l’impresa contro Querrey: l’erba della “Hall of Fame”, però, fa strani scherzi e dopo il primo set vinto da Zio Sam al tie-break, Rajeev gli rifilò un 7-5 6-4. Il suo 2011 è stato discreto, coi quarti ad Atlanta e due Challenger vinti: speriamo sia il preludio ad una risalita.

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