Claudio Grassi e la sua nuova carriera da coach

Claudio Grassi

di Stefano Berlincioni

Dopo 14 anni in giro per il mondo a rincorrere una pallina gialla, Claudio Grassi dice basta. Una carriera iniziata nel lontano 2001 in quel di Cala Ratjada (all’epoca esistevano ancora i tornei Satellite) e chiusa un paio di mesi fa nella sua Toscana al Futures di Piombino. Un lungo percorso che lo ha visto trionfare in due Challenger in coppia con Riccardo Ghedin (Astana 2013 e Casablanca 2013) ed una più che rispettabile carriera da singolarista in cui è riuscito ad arrivare nei primi 300 giocatori del mondo.

Per chi non lo conoscesse, Grassi è uno dei pochi giocatori ambidestri del circuito e non è stato raro vedergli  giocare durante un match il dritto sia con la mano sinistra che con la destra.

Come è maturata questa decisione?

Sono arrivato alla decisione di smettere, è una decisione inevitabile per tutti i tennisti. Negli ultimi due anni mi ero concentrato sul doppio con Riccardo Ghedin e sono riuscito ad arrivare 126 del mondo. Ho avuto la fortuna e la bravura di entrare a fare lo sparring al Foro Italico e parlando con Giorgio Galimberti è venuta fuori la possibilità di lavorare con lui (alla San Marino Tennis Academy) e non mi sono fatto sfuggire questa occasione. Giorgio è stato un grande giocatore, più forte di me e penso che la sua proposta possa essere un’ottima base di partenza per la mia carriera da coach; uno come lui non può che insegnarmi tanto.

Quali sono le tue prime impressioni su questo nuovo incarico?

Mi reputo un ragazzo equilibrato, che ha sempre fatto le cose giuste e come prima impressione  direi che mi sento portato. Curo i ragazzi dell’agonistica, che hanno 17-18 anni e sono nella fase di transizione da junior a pro, dove inizieranno a tentare le qualificazioni a livello Future. Io ho giocato tanti anni a quel livello anche se sappiamo che il tennis che conta è al livello superiore.

Con Galimberti com’è il rapporto?

Giorgio, da quel poco che abbiamo potuto lavorare insieme è contento del mio lavoro, mi vede bene nel ruolo e crede che come ha fatto lui stesso dopo qualche anno di “gavetta” anche io finirò col mettermi in proprio, ma al momento penso solo a crescere e ad imparare da lui a fare questo mestiere che è completamente diverso da quello del giocatore. Ho molti più pensieri ora di quando giocavo! Devi seguire molto i ragazzi e diventare quasi un secondo padre. Non sono ancora genitore ma ho preso molto a cuore i ragazzi che sto seguendo e sento che anche loro hanno una bella empatia nei miei confronti.

Un giornalista non può stare tutti i giorni a seguire il lavoro di un coach per cui giocoforza deve giudicare in base ai risultati, però nel caso di Galimberti si nota subito come abbia sempre un atteggiamento positivo.

Giorgio lo sto conoscendo adesso più da vicino, ha 39 anni e ha ancora tantissima voglia di tennis, si allena 2-3 volte a settimana con i ragazzi. Questa settimana mi ha chiesto di allenare lui ed i ragazzi, magari per mettermi un po’ alla prova per vedere se avevo polso e tutto sommato anche se magari non è in formissima i ragazzi sentono molto la sua presenza ed il suo esempio in campo. Si tratta di ragazzi che arrivati ad una certa età si trovano ad un bivio tra scuola e sport, ovviamente tanti ragazzi scelgono lo sport perché pensano che sia più facile e più divertente, ma per arrivare ad un certo livello si devono fare tante rinunce: andare a ballare o no, bere un drink in più o in meno, andare a letto presto, mangiare sano, fare stretching, tutto fa differenza. Tutte piccole cose che se fatte bene aiuteranno a sviluppare certe doti in campo.

Da parte tua è importante portare anche l’ esperienza di giocatore professionista che ha vissuto la prima parte della carriera, che è sempre complicata da tutti i punti di vista, soprattutto economico.

Quello è un problema di tutti ragazzi, delle famiglie ovviamente. Anche io quando ho iniziato ho avuto un aiuto dalla Federazione, ma la grande parte veniva dalla mia famiglia: tra allenamenti, viaggi, accompagnamento (un ragazzo giovane ha bisogno di una guida che lo faccia stare sulla retta via) sono necessari tanti soldi. Mi è capitato spesso di vedere in giro per i tornei ragazzi giovani che dopo aver giocato la propria partita erano un po’ smarriti senza fare un adeguato allenamento tecnico e fisico. Ora che sono dall’altra parte della barricata so benissimo quanto possa aiutare avere una guida, anche se ovviamente ha un costo economico. Per una famiglia l’investimento per l’avvio di una carriera di un giovane (una decina di tornei professionistici, con il coach al seguito) è sui 30-35.000 euro. Speriamo che l’ITF come pare aiuti i ragazzi da questo punto di vista almeno per l’ospitalità.

Certo che questo vale se giochi i tornei vicini, se poi vai a giocare in Messico…

Guarda a proposito del Messico, è il Paese a cui sono più legato avendo giocato lì l’unico Challenger in cui sono riuscito a fare i quarti di finale in singolo.

Visto che siamo a parlare di ricordi, quali suoi i tuoi più belli nel circuito? E c’è qualche rammarico?

Il più bel ricordo è sicuramente quel torneo in Messico: dopo 5 tornei Futures in cui non ero andato benissimo sono riuscito a fare i quarti nel challenger di Puebla partendo dalle quali e battendo un giocatore come Estrella Burgos che in quel momento era vicino ai 200. Ora è entrato nei 100 a dimostrazione che il lavoro alla lunga paga, discorso che vale anche per il mio carissimo amico Luca Vanni: gli voglio un bene dell’anima e dopo tutto quello che ha passato è veramente l’esempio che tutti i ragazzi dovrebbero prendere, cosi come Paolo Lorenzi. Con tanto lavoro prima o poi, chi più chi meno, le soddisfazioni se le toglie.

Altro ricordo bellissimo è la vittoria in doppio nel ricco Challenger di Astana: con Ghedin abbiamo battuto Golubev/Kukushkin che come abbiamo visto in Davis contro l’Italia in casa sono quasi imbattibili. Ovviamente l’atmosfera di Davis è diversa ma è stata comunque una bellissima soddisfazione.

Il rammarico più grande è non esser riuscito a giocare le qualificazioni nei tornei dello Slam.

Quale pensi sia stato il piccolo step che ti è mancato per giocarle?

L’aver giocato troppi Futures, avrei potuto rischiare e giocare più Challenger.

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