Winning madly

tomic malisse

di Piero Emmolo

Qualunque appassionato legga i nomi di Tomic e Malisse non può non avere reazioni miste tra il rimorso e la rabbia di chi vede scialacquare clamorosamente un talento sportivo immenso. E ciò specie per le innumerevoli vicissitudini, in buona parte extratennistiche, alle quali questi giocatori ci hanno deliziato nel tempo. Se poi vien fuori che i due hanno trovato un accordo per un periodo di collaborazione pro-tempore, allora l’incredulità suddetta diventa quasi riluttanza nel credere che l’uno possa essere d’effettivo ausilio tennistico all’altro.

Le affinità caratteriali, ben s’intende, fra i due ci sono. E sono anche tante. Ma hanno in buona parte una connotazione negativa e riguardano soprattutto l’esterno del rettangolo di gioco. Malisse ha appeso la racchetta al chiodo solo un anno fa. Tra infortuni e una dedizione al sacrificio non proprio ineccepibile, il belga sembra anzi essere il prototipo del perfetto non-allenatore per Bernard. Fisico longilineo fino all’anca, adipe addominale sempre prorompente negli ultimi anni di carriera e capelli rigorosamente tirati in un codino saltellante, sono le uniche credenziali, stante la sostanziale inesperienza come coach a questi livelli, con le quali Xavier si candida a questa nuova “avventura” (nel senso non lato del termine).

Su Bernard sono stati versati fiumi di inchiostro. Dal divorzio dall’IMG per la sua immagine non proprio degna di rappresentazione da parte del colosso di management americano, agli approcci comunicativi di matrice boxistica dell’irrequieto padre. Dopo un inizio d’annata quasi disastroso, parzialmente salvato dalla finale a Sydney persa con Del Potro, Tomic é riuscito a trionfare all’ATP di Bogotà. Un torneo un pò anomalo, caratterizzato da diverse defezioni inaspettate e dall’altura di gioco ben oltre i duemila metri. Condizioni però che non hanno proibito all’altalenante nativo di Stoccarda di tenere a bada i furori agonistici della pertica croata di Zagabria, al secolo Ivo Karlovic. Nonostante tutto, il ranking latita. Adesso veleggia attorno alla posizione ATP numero 76; poca cosa per un gioiellino additato sin da junior d’avere i crismi sportivi per un ricambio generazionale al sempiterno Rusty.

Come si diceva, l’accordo ha una durata limitata e sarà condizionato risolutivamente dai risultati che il teutonico di nascita maturerà a Stoccolma, ATP 250 al quale Bernard è iscritto ed approdato al secondo turno. I miglioramenti saranno anche da valutare in chiave Davis Cup. Il Paese downunder, nella persona di coach Rafter, sembra considerare ancora Hewitt pilastro più affidabile del team, tanto per carisma quanto per esperienza. Lleyton ha pur sempre vinto due titoli ATP quest’anno, si badi. E con un Kyrgios ancora acerbo e un Kokkinakis rimasto leggermente indietro rispetto alla tabelle di marcia prefissate ad inizio stagione, sembra proprio Tomic il predestinato capofila nell’immediato futuro aussie della massima competizione tennistica per nazioni.

Legame particolare che accomuna i due è anche una certa dimestichezza con l’erba di Church Road. Semifinalista a sorpresa nel 2002 il belga; ai quarti nel 2011 l’australiano, che proprio sui prati londinesi ha raggiunto il suo miglior risultato in un torneo dello Slam. Ma, ironia della sorte, i componenti di uno dei connubi collaborativi più istrionici della storia del tennis, si incontrarono proprio a Wimbledon quell’anno. E a prevalere fu l’appena diciannovenne australiano, lodato a gran voce nella press conference dall’avversario. All’impresa, destinata ad esser eguagliata quest’anno dal “coetaneo” connazionale, d’origini greco-malesi, Kyrgios, venne dato risalto dai media, che considerarono quel risultato glorioso proscenio di una rising star quasi pronta al salto di qualità nel firmamento professionistico. Sappiamo bene che così non è stato. Tra una figura paterna eccessivamente ingombrante, e del quale il pur dissennato Bernard sembra essere incolpevole vittima; e una vita a dir poco sgregolata, dedita ai piaceri e poco avvezza ad un professionismo sempre più esigente e meticoloso nei minimi dettagli di conduzione della vita off-court. Vedremo se Malisse saprà forgiare una mentalità vincente e un approccio sportivo più di sacrificio. I dubbi sono tanti. Le certezze poche. Anche perchè andando a spulciare gli Annales ATP, si scopre un feeling non proprio eccelso con le finali del fiammingo. Su undici finali disputate, solo tre i titoli in bacheca. Il sospetto che anche Tomic ( lo stiamo sopravvalutando? ) sappia che la stagione è oramai volgente al termine senza particolari velleità di risultati è ben vivo. E magari lo ha spinto proprio a questa strana decisione. Ma chi vivrà vedrà. Mutuando Brad Gilbert, questi qui propenderanno per un “winning madly”.

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