Tommy Paul, il giovane yankee che ama il rosso

Tommy Paul Roland Garros

di Alessandro Mastroluca

“Tommy Paul sa come vincere. Crede davvero in se stesso, e la fiducia si vede nei momenti importanti”. Così parlava l’anno scorso il coach USTA Jay Berger, e le ultime settimane hanno più che confermato l’affidabilità del ritratto.

Perché Tommy Paul, dopo aver battuto Bemelmans (n.101) al Challenger di Savanna, e aver vinto il suo secondo titolo Futures a Lecco, in finale su Lorenzo Sonego, ha chiuso un mese indimenticabile con il trionfo al Roland Garros junior. Testa di serie numero 13, a Parigi ha sconfitto Yamasaki, Cunha-Silva, Karimov, Pena Lopez e Mmoh (tds 6), prima di battere 76 26 62 l’amico Taylor Fritz (testa di serie numero 2) nella prima finale tutta a stelle e strisce nella storia dello Slam parigino under 18.

Paul, che ha cenato con lui la sera della vigilia ma senza parlare di tennis, l’aveva già sconfitto nella semifinale del Futures in Spagna che ha lanciato il suo mese quasi perfetto, prima di subire l’unica sconfitta in 20 partite, in finale dal 22enne francese Maxime Chazal. Fritz, che non aveva concesso nemmeno una palla break nella semifinale contro il francese Corentin Denolly, ha perso subito il servizio in finale. Paul ha servito per il set sul 5-4 ma ha subito il controbreak a zero; al tiebreak, poi, si è trovato sotto 1-3 ma ha vinto 6 dei successivi 7 punti. Perso il secondo set, Paul ha evitato subito che il match potesse girare. Ha strappato il servizio all’avversario alla prima occasione e non ha fronteggiato nemmeno una palla break in tutto il terzo set. Si è così aggiunto a Bjorn Fratangelo, John McEnroe, Cliff Richey, Butch Buchholz e Ham Richardson nell’élite degli statunitensi capaci di conquistare il titolo junior al Roland Garros. E a segnalare l’orgoglio e l’amicizia con Fritz, ha concluso la cerimonia di premiazione avvolto nella bandiera a stelle e strisce con l’avversario appena battuto.

Era difficile ipotizzare che Paul potesse aggiungersi ai vincitori di Slam junior della leva tennistica della classe ’97 (Zverev, Rublev, Jasika e Safiullin). Aveva giocato solo due volte agli Us Open, prima del Roland Garros, e non aveva vinto mai nemmeno una partita, anche se si era trovato di fronte prima Borna Coric, poi lo stesso Safiullin: non proprio due sorteggi fortunati.

Va veloce, ma senza affrettare troppo i tempi, il ragazzo del North Carolina che ha compiuto 18 anni proprio durante la prima edizione del Future di Lecco, che gli ha permesso di salire al numero 452 del mondo. Giocatore completo, con due fondamentali solidi e puliti a rimbalzo, che non disdegna le variazioni, i tagli in back e le discese a rete, Paul ha un repertorio tecnico interessante e una maturità nella gestione mentale della partita non proprio comune fra i teenager.

E la USTA, non a caso, punta davvero molto su di lui. Da più di un anno, si allena a Boca Raton, seguito dall’argentino Diego Moyano, specialista della terra batutta che ha seguito Guillermo Coria, Fernando Gonzalez, Robby Ginepri, Paul Capdeville, Diego Hartfield, e Carlos Berlocq, e lavorato con Ryan Harrison e Denis Kudla come capo tecnico nazionale della federazione. Paul è uno dei talentini seguiti più da vicino, come Tiafoe e Fritz. “Questa situazione ci motiva di più” ha spiegato, “i successi di uno spronano gli altri a migliorare, ed è un vantaggio che le generazioni passate non avevano. Comunque adesso siamo tutti molto più cauti, non ci montiamo la testa dopo le vittorie da junior, perché abbiamo visto quello che è successo a un sacco di americani che erano indicati e attesi come i futuri campioni. Abbiamo imparato tutti da quegli errori a fare un passo alla volta”.

Proprio a Boca Raton, l’anno scorso, Paul ha vinto i National Clay Court Championships under 18, battendo in finale sempre Reilly Opelka, che aveva sconfitto anche nel 2013 nel match per il titolo under 16 e nel frattempo è diventato il suo compagno di camera allo USTA Training Center.

Tutti indizi che fanno una prova. Paul, campione nazionale under 12 sulla terra battuta nel 2010 e finalista all’Orange Bowl under 16 due anni dopo, è uno di quegli statunitensi atipici che sul rosso si sentono a casa. “Quando ho cominciato a giocare” ha raccontato, “mi allenavo in un club che aveva solo campi in terra, per cui mi sono abituato presto. Mi è piaciuta da subito, per me è bellissimo giocare sulla terra rossa”. Anche perché il suo topspin di dritto rende decisamente bene su questa superficie. In più, aggiunge, non è nemmeno così vero, non più almeno, che il tennis made in Usa renda così male sulla superficie tradizionalmente meno favorevole agli yankees. “Non sono d’accordo con chi dice che andiamo male sulla terra. Intanto, io e Taylor siamo arrivati in finale al Roland Garros, e nel 2011 Fratangelo ha vinto qui. Non mi pare che stiamo andando così male no? Stiamo migliorando, credo”.

Corre Tommy Paul, che sogna di diventare professionista da quando ha 12 anni ma adesso non vuole prendere decisioni affrettate. “Per ora giocherò Wimbledon e Us Open junior” ha spiegato, “poi deciderò cosa fare”. Ha già un accordo verbale per iscriversi alla University of Georgia, dove ha studiato e giocato John Isner, ma non è escluso che possa scegliere la strada del professionismo. Perché Tommy sa come vincere.

Leggi anche:

    None Found