Ernesto Escobedo – il futuro del tennis USA è anche dei latinos


Per sentirsi cittadini di un Paese nel quale non si è nati, membri di una nazione della quale non si è sempre fatto parte, l’identificazione simbolica è fondamentale. In un paese come gli Stati Uniti d’America, che dei propri simboli nazionali va particolarmente orgoglioso, questo discorso vale ancora di più. E chissà se quando i signori Escobedo, messicani trapiantati in California, registrarono all’ufficio anagrafe la nascita del loro figlio Ernesto il 4 luglio 1996 si resero conto di aver messo al mondo un pargolo nato su territorio americano nel 220esimo anniversario dell’Indipendence Day.
Ernesto Escobedo, a vent’anni e una manciata di settimane da quel giorno, è una delle più promettenti young guns del tennis a stelle e strisce, ma non rinnega le sue origini messicane. D’altronde perché dovrebbe? Condivide le speranze di una generazione, tra gli altri, con l’originario saudita Michael Mmoh, il figlio di ivoriani Frances Tiafoe e il russo nato a Skopje ma trapiantato a Penkrope Pines Stefan Kozlov, una genealogia radicata nel New England non serve poi tanto, a dispetto di certi malumori sul razzismo linguistico dell’USTA.
La storia di Ernesto Escobedo non è poi differente dalle tante agiografie di giovani campioni che leggiamo e scriviamo in giro, parla di un bambino che già intorno ai quattro anni aveva una certa confidenza con racchetta e pallina e di un padre con un brevissimo passato da professionista che non sognava affatto per il figlio una carriera nei pro, faticosa, dispensiosa e piena di sacrifici. Talento e abnegazione del ragazzo hanno voluto evidentemente il contrario visto che Ernesto Escobedo è formalmente un tennista professionista dal 2014, sotto contratto con la AthleticDNA che lo aveva seguito già nei suoi anni da junior.
La carriera juniores di Escobedo, sotto la guida del coach di allora Ricardo Coronado, è stata relativamente atipica, più focalizzata all’interno del circuito nazionale USTA che su quello internazionale ITF dove le apparizioni sono rimaste piuttosto sparute e senza risultati di particolare rilievo. Va detto inoltre che le prime apparizioni nei tornei ‘dei grandi’ per Escobedo erano già arrivati nel 2010 quando il ragazzo messican-californiano aveva ancora 14 anni.
Anche la sua finora breve carriera pro’ appare piuttosto atipica con un solo titolo all’attivo, con un palmares più povero di colleghi di scuderia pur più giovani di lui (Mmoh – 4 Futures, Tiafoe – 1 Futures, 1 Challenger, Kozlov – 4 Futures, Fritz – 3 Challenger), ma il dato per ora più interessante delle apparizioni di Escobedo nel circuito professionistico è che l’unico titolo conquistato finora (nel Challenger di Lexington dello scorso luglio) è arrivato alla settima finale disputata e aggiungendo al computo quella ottenuta e persa nel Challenger di Cary il 18 settembre scorso il bilancio per il ragazzo di LA parla di una finale vinta su otto disputate, cinque a livello Futures e tre a livello Challenger, dato che non può passare inosservato. Visto che varia il livello dei tornei disputati e il peso degli avversari affrontati, l’unica costante rimane l’atteggiamento nei confronti dell’atto finale del torneo e si sprecherebbero le analisi da bar sul “braccino” e le implicazioni emotive di un match che può valere un titolo, per quanto di medio-bassa caratura.
Chi l’ha visto in campo, avrà colto in Escobedo una certa tendenza a giocare con coraggio: ama spingere, muovere l’avversario, cerca spesso le righe, pratica in sostanza un tennis piuttosto offensivo che è difficile immaginare diventi timido e poco proattivo in finale, semmai è più verosimile che la scioltezza mentale necessaria a perseguire un gioco del genere venga meno quando la posta si fa più alta.
È interessante per questo motivo andare a rivedere l’unica finale finora vinta, quella del Challenger di Lexington contro Frances Tiafoe dove Escobedo ha giustamente approfittato dei vari errori di estro dell’avversario ma ne ha anche compiuti tanti “simili”, ovvero arrivati nel momento di colpire con un eccesso di sicurezza e forse di fretta, specie quando la palla scotta di più e nelle partite che valgono titoli e punti. Un peccato veniale per ogni giocatore d’attacco che si rispetti, ma anche un margine di miglioramento che può essere colmato e dare continuità a un tennista dalle qualità indubbie.
Con la vittoria a Lexington Escobedo si è guadagnato una wild card per gli US Open dove ha anche ottenuto la sua prima vittoria major dopo quattro set tirati e il ritiro di Lukas Lacko e si è fermato invece di fronte al poco più anziano ma più navigato Kyle Edmund. La scorsa settimana invece ha partecipato al challenger di Cary, in North Carolina, dove ha messo a sedere in fila tre pupilli USTA come Ryan Shane, Stefan Kozlov e Frances Tiafoe prima di perdere l’ennesima finale contro un lupo di mare del circuito challenger del rango di James McGee, per altro al primo titolo in carriera.
https://www.youtube.com/watch?time_continue=1&v=e57pGqaVcXc
La strada è stretta, ma è quella giusta, con la top-100 ormai non lontana e l’ambizione di poter tornare a Flushing Meadows dalla porta principale è più che legittima.

Leggi anche:

    None Found