Federer, l’orgoglio e la rabbia

Federer IBI 2015

da Roma, Alessandro Mastroluca

Una chiamata tardiva. Una palla lanciata troppo vicina al campo visivo del giudice di sedia per essere casuale. E’ il momento che cambia definitivamente il finale di una partita già ben incanalata. Roger Federer domina Berdych per la quattordicesima volta su 20 partite,  la quarta su 4 sul rosso, ma dopo le lamentele per il circo e i clown aggiunge qualche altro elemento alla sua lista nera.

Sul 3-2 30 pari nel secondo set, fa punto con lo schema servizio-dritto, che oggi ha funzionato come nei giorni migliori. Ma il ceco chiede, alla fine del punto, la verifica del segno sulla prima di servizio dello svizzero, che in effetti è fuori. Moscarella cancella il punto e gli fa giocare la seconda. Vedere Federer che gli lancia una palla, non è una pallata rabbiosa, ma è eloquente, tanto morbida quanto simbolica, non è certo usuale. Il gesto, che arriva dopo un’altra discussione perché l’arbitro gli ha fatto ripetere un punto già vinto a causa dell’obiettivo di un fotografo caduto in campo con Berdych comunque lontanissimo dallo smash vincente dello svizzero, dà un altro sapore al finale di Federer.

E’ un gesto che ha il valore del “No more layups in this gym!”, una delle frasi e degli aneddoti più noti di Wilt Chamberlain, l’unico giocatore NBA a superare i 100 punti in una sola partita, che in un’amichevole, a oltre 44 anni, finisce per stoppare sistematicamente un Magic Johnson ancora nel clou della carriera. Negli ultimi game dello svizzero c’è una voglia di rivalsa, quella luce strana dentro gli occhi che qualcuno ha chiamato cattiveria. E il 63 63 finale lo proietta, dopo aver toccato le 200 vittorie sulla terra rossa, alla possibile semifinale con Rafa Nadal e alle suggestioni di quella finale che avrebbe potuto cambiare la storia della rivalità che ha scandito l’era moderna.

E il “Save Geronimo”, che il deejay sceglie per accompagnare l’uscita trionfale dal campo dello svizzero, può suonare particolarmente evocativa. Perché si può identificare lo svizzero con il condottiero di un tennis neoclassico e minoritario, o si può pensare a Berdych come a un giocatore condannato a sperare in una giornata no di Federer per poterlo battere, anche se si avvicina al clou della sua migliore stagione in cui, in 11 tornei, non ha mai perso prima dei quarti, e mai da un giocatore fuori dal top-10. Ma forse, come insegna Bennato, sono solo canzonette.

Il primo break, al quinto gioco, illude Berdych, comunque bravo nella prima metà del set a muovere gioco col dritto. Tuttavia il controbreak immediato e il successivo game a zero invertono da subito, e definitivamente, l’inerzia del match. Lo schema servizio esterno-dritto nell’angolo aperto è “una banca” per Federer, che tiene anche in risposta e nello scambio rovescio contro rovescio, soffre solo un po’ sui servizi esterni del ceco ma controlla benissimo le prime centrali. Così Berdych, al servizio nell’ottavo gioco, incassato il notevole passante in cross del 30-15, non fa più un punto e si arrende su un tentativo di dritto a sventaglio su una palla bassissima e vicina al rettangolo di battuta, un colpo con un coefficiente di difficoltà altissimo e una possibilità di riuscita troppo bassa per essere rischiato con successo in un momento così.

Il secondo set segue per grandi linee l’andamento del primo. Berdych tiene fino al 3-3, ma incide sempre meno nei turni di risposta. E dopo il lancio della palla in zona Moscarella, Federer va in una zona che Berdych non conosce: volée in allungo, passante lungolinea di rovescio con pochissimo spazio, break e 4-3. Nella sostanza è gioco, partita, incontro. Per la certificazione formale bisogna aspettare solo un paio di game.

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