“1976, Storia di un trionfo”: un film su carta stampata

Sarebbe facile cadere nella retorica volendo parlare dell’unico successo italiano in Coppa Davis, lo è ancora più facile se la pubblicazione di un libro a riguardo cade con un anniversario importante come quello dei 40 anni. “1976, storia di un trionfo” (ed. Ultra Sport), invece, parla di quell’evento con il distacco imparziale dei due giornalisti che la finale a Santiago non l’hanno vissuta direttamente, riempiendo le pagine di questo lavoro di ricerca con le emozioni dei protagonisti, i loro punti di vista, le loro parole e le loro memorie. Se non fosse per il tennis come fil rouge di questa storia, lo sport sarebbe quasi secondario, tanto che l’indagine sembra quasi redatta da un appassionato di storia, più che da uno di sport.

Il libro parla di tennis, ma guarda a tutto quello che c’è stato attorno a quell’annata incredibile del tennis azzurro: non si ferma ai ricordi dei quattro moschettieri del tennis azzurro, ma racconta le parole del grande sconfitto di quella finale Jaime Fillol e soprattutto dei giornalisti che hanno viaggiato fino a Santiago per vivere in presa diretta quell’evento. Così, come in un film in cui riviviamo la stessa storia da diversi punti di vista, anche con “1976, storia di un trionfo” ci sembra di rivedere la vicenda dei protagonisti di quella Coppa Davis con gli occhi sempre diversi di chi c’era e ha vissuto quell’impresa. Così la storia si arricchisce di dettagli, di aneddoti, frammenti di vita e opinioni contrastanti: i due autori si sono così eclissati dietro ai veri protagonisti riportandone fedelmente le idee, talvolta opposte, su questo giocatore o quella partita.

Ne è esempio lampante la città di Santiago, capitale di un Cile stretto dalla dittatura di Pinochet: la città ne esce così diversa da ciascuno dei racconti, perché diverso era l’occhio di chi l’ha vissuta. Per i giocatori Santiago si mostra come l’Estadio Nacional e poco più, nei giornalisti è invece vivida la memoria dei palazzi marcati ancora dalle ferite del golpe militare. Ma se questo è l’esempio più lampante, in molti altri casi le contraddizioni che arricchiscono questo racconto sono più sottili e mostrano la diversità di carattere di ciascuno dei suoi protagonisti.

In questo sono stati maestri Lucio Biancatelli e Alessandro Nizegorodcew: hanno saputo creare una storia che si arricchisce di volta in volta, capitolo dopo capitolo, di nuovi punti di vista, riproponendo sempre la stessa narrazione, ma in chiave diversa. Il lettore così diventa parte integrante del processo di comprensione di una lettura in cui non si vuole trovare una verità, non si vuole idolatrare e nemmeno strumentalizzare un evento che spicca come un leopardo delle nevi per la sua rarità nella storia del tennis azzurro. Il libro punta invece a mostrare la realtà per quello che è: un cozzare di emozioni e opinioni diverse.

Coppa Davis

I dettagli si tingono di tante tonalità diverse e ognuna è importante quanto la precedente. Il pathos non è dato dalla tensione per conoscere l’esito della finalissima, eppure il lettore è coinvolto dalla prima all’ultima pagina e se potesse andrebbe oltre, perché il protagonista del libro è la vita e per questo potrebbe andare avanti all’infinito con le storie del tassista che portò Gianni Clerici in giro per la città, con quella del carabiniere che scortò Corrado Barazzutti all’aeroporto, o delle femministe pronte a prendere a sassate gli azzurri al loro ritorno e così via.

Il libro ha fatto centro e può essere letto dagli appassionati di tennis, come da quelli di storia, ma avrà il suo impatto anche su chi non si interessa di queste discipline, perché la realtà è qualcosa che tocca tutti, anche quella passata da quarant’anni.

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