Renzo Furlan: “Il mio tennis di oggi e di domani”

 

Renzo Furlan da Conegliano Veneto, classe 1970, è stato un indiscusso protagonista del boom del tennis italiano degli anni 90: un best ranking di numero 19, due titoli ATP in bacheca, quarti di finale al Roland Garros, due finali di Davis sfiorate sono solo alcuni dei suoi numeri da giocatore. Appena appesa la racchetta al chiodo, viene chiamato nel 2004 a dirigere il neonato centro federale di Tirrenia, esperienza durata 6 anni, per poi diventare coach privato (attualmente lavora con Jasmine Paolini) e poi nuovamente responsabile degli under 20 per la Federazione serba. Abbiamo fatto una bella chiacchierata con lui, tra passato e futuro delle sue due patrie tennistiche.

Allora Renzo, partiamo dal presente. Come è arrivata la chiamata della federazione serba?
“Nel 2015 sono stato contattato dal manager di Novak Djokovic, Dodo Artaldi che peraltro già conoscevo personalmente. In Serbia sino a quel momento non esisteva un programma per i giovani tennisti, che erano quindi costretti ad allenarsi privatamente. Nole, che chiaramente ha un peso importante nelle scelte della sua federazione, sapeva della mia esperienza a Tirrenia, e così è arrivata questa proposta che ho accettato con entusiasmo”.

Dal 2016 ti dividi tra Italia e Serbia. Com’è lavorare all’estero?
“Si lavora e si vive molto bene. Seguiamo i migliori giocatori serbi di età compresa tra 12 e 20 anni e facciamo base a Belgrado, dove ci serviamo di una parte del centro sportivo di Djokovic, il “Novak Tennis Center”, una struttura davvero all’avanguardia con 14 campi. Il mio staff non è molto numeroso, cosa che permette di prendere decisioni velocemente e di concentrarci sul campo. Una volta al mese, poi, facciamo un report della programmazione e del lavoro svolto ai vertici della federazione”.

Differenze e similitudini col ruolo che ricoprivi a Tirrenia?
“Il lavoro grossomodo è lo stesso anche se molto facilitato da una questione “geografica”. In Serbia ci sono solo 8 milioni di abitanti e il centro di tutto è a Belgrado: quasi tutti i migliori tennisti sono nativi della capitale, e anche chi non lo è (ad esempio Krajinovic) vi si è trasferito in giovane età e lo stesso vale per i giovani talenti. In Italia Tirrenia rappresenta solo una parte del vivaio e il decentramento dell’attività in altre sedi se da un lato mi consentiva un controllo più capillare del territorio, dall’altro mi impediva un rapporto diretto con atleti e tecnici”.

Che differenze hai notato tra i giovani italiani e quelli serbi? E’ vero che all’estero hanno più fame?
“No, questa è una leggenda. Però devo dire che in Serbia c’è una cultura sportiva straordinaria e i ragazzi assimilano e mettono in pratica i concetti con una rapidità sorprendente. Poi sono tutti belli alti e robusti, il che non guasta assolutamente”.

A questo punto facci qualche nome. Chi dobbiamo tenere d’occhio in futuro?
“Un nome che sicuramente hai già sentito è quello di Miomir Kecmanovic, 18enne, che è da poco entrato nei primi 200 Atp. Altri tre ragazzi di grande prospettiva sono Marko Miladinovic, 2000, Hamad Medjedovic, 2003, e Branko Djuric, 2005. Tra le ragazze ti dico di dare uno sguardo ad Olga Danilovic, classe 2001, figlia dell’ex giocatore di basket della Virtus Bologna ed Nba Predrag Danilovic: mancina, tennista d’attacco, un gioco davvero gradevole, ha già vinto dei titoli Itf ed esordito in Fed Cup (con 3 vittorie su 3 battendo tra le altre la Sevastova, ndr)”.

Predrag Danilovic è un idolo assoluto da quelle parti. E’ una figura invasiva per la crescita della figlia?
“Assolutamente no, anzi non lo vediamo quasi mai. Di recente è diventato Presidente della Federazione di Basket serba e penso che sia una carica che lo tiene molto impegnato”.

Parliamo di Jasmine Paolini, che segui personalmente da un paio d’anni nelle settimane in cui sei in Italia. Punti di forza, dove si può migliorare, obiettivi per la stagione.
“Non so dirti che posizione ricoprirà Jasmine a fine anno ma mi aspetto un bel salto di qualità da lei. Diritto e rovescio sono due buonissimi colpi e anche nei pressi della rete si destreggia bene; certamente possiamo migliorare al servizio, negli spostamenti e nella gestione dei momenti della partita. Per quanto riguarda la programmazione cerchiamo di essere più ambiziosi possibile rispetto all’attuale classifica (151 WTA), senza preoccuparci di prendere qualche schiaffo: andremo a fare le quali dei WTA in Messico e Colombia, poi Fed Cup (in caso di convocazione), qualificazioni WTA di Praga, infine Roma e qualificazioni al Roland Garros. In base ai risultati tireremo le somme e programmeremo il resto della stagione”.

Situazione giovani e giovanissimi italiani. Come è messo il nostro tennis?
“In campo femminile partiamo dal presupposto che i risultati degli ultimi dieci anni con Slam e Fed Cup vinti dalle nostre non sono certo facilmente replicabili. Detto ciò, oltre Jasmine, abbiamo Chiesa, Brescia e Pieri che sono tutte ottime giocatrici con ampi margini di crescita e non dimentichiamo Elisabetta Cocciaretto (2002) che ha fatto semifinale tra le Junior in Australia. Tra i ragazzi ce ne sono vari su cui puntare: Berrettini ha un servizio ed un diritto devastanti ed è già una realtà, poi ci sono Moroni, Napolitano e Pellegrino. Inoltre mi stupirei molto se Donati, ma soprattutto Quinzi, non tornassero ai livelli che gli competono. E poi voglio farti i nomi di altri due classe 2002 da tenere d’occhio, Anita Bertoloni e Lorenzo Musetti”.

Abbiamo citato la Fed Cup. Raccontaci qualcosa del tuo rapporto con la Davis e delle due semifinali raggiunte con la maglia azzurra.
“Intanto ti dico che nella prima fase della mia carriera non davo alla Davis chissà quale importanza, ritenevo prioritario fare bene nei tornei e scalare la classifica. Poi un giorno il capitano Adriano Panatta mi prese da parte e mi disse: “Renzo magari ancora non te ne rendi conto, ma la Coppa Davis è fondamentale per la crescita di un tennista. Ti aiuterà molto giocarla, e vivrai dei momenti e delle situazioni che ti saranno utilissimi in futuro, soprattutto nei tornei dello Slam.”. Così è stato e da quel momento non ho più saltato una convocazione. Le due sconfitte consecutive in semifinale bruciano solo un po’, anche perché realmente non abbiamo mai avuto una chance di spuntarla. Nel ’96 ci siamo ritrovati avanti 2-0 in Francia, ma poi abbiamo vinto solo un set nella altre 3 partite, il secondo della mia partita con Cedric Pioline, che ai tempi era in Top 10. Nel ’97 ho fatto il punto dell’1-1 battendo un gran giocatore come Thomas Enqvist poi però, dopo la sconfitta in doppio, Jonas Bjorkman (con cui in carriera non ho mai vinto) mi ha battuto 3 set a 1 chiudendo i conti”.

La vittoria con Enqvist la consideri la più bella della tua carriera da giocatore?
“Sicuramente fu una grande soddisfazione batterlo sul suo campo al quinto set, ma al primo posto metto il mio primo titolo ATP vinto a San Jose nel ’94 contro Michael Chang, che in quel momento era numero 7 del mondo: batterlo in rimonta, per 7-5 al terzo set e in casa sua fu davvero fantastico”.

Quando hai vinto a San Jose avevi 24 anni, e hai ottenuto il tuo best ranking a 25. Come mai oggi i giovani faticano sempre di più a farsi largo?
“Perché le carriere si sono allungate moltissimo, consentendo ai più esperti di non cedere il passo. Pensa all’evoluzione dei materiali: si tira sempre più forte e quasi non ci sono infortuni alla spalla, tanto per fare un esempio. E poi i metodi di allenamento, la fisioterapia e l’alimentazione di cui anni fa non si sapeva praticamente nulla. Tutti settori in cui si sono stati fatti passi avanti enormi a vantaggio degli atleti”.

Insomma i vecchietti terribili domineranno ancora?
“Beh, con questo Federer la strada mi sembra abbastanza segnata in campo maschile, almeno per quest’anno, e credo che anche Nadal tornerà alla grande sul rosso. In attesa che anche gli altri big recuperino, sono curioso di vedere Del Potro che gioca una stagione per intero: all’argentino in carriera non è mancato nulla, se non la salute, per stare al passo coi così detti “fab four”. In campo femminile le Williams hanno segnato un epoca, e la leadership dipende sempre dalla voglia che avrà Serena dopo la gravidanza. Se lei non sarà al massimo, non vedo un’altra tennista dominante e penso ci saranno ancora tanti avvicendamenti al vertice del ranking, come già nel 2017”.

E i next gen come li vedi? Chi sono i più pronti e i tuoi preferiti?
“Zverev, anche classifica alla mano, è già una realtà, ma stando alle dichiarazioni del suo ormai ex coach Juan Carlos Ferrero ha ancora qualche problema disciplinare che lo frena. Chung ha la testa e i mezzi fisici giusti e si avvicina a grandi passi alla top ten. Borna Coric, poi, ha fatto un ottima scelta mettendo nel suo angolo Riccardo Piatti, ex coach di alcuni top 10 come Ljubicic, Raonic e Gasquet ed i recenti risultati ad Indian Wells sono lì a testimoniarlo. Io ho un debole per Daniil Medvedev, un giocatore estroso e potente che, se in giornata, è capace davvero di tutto”.

Per chiudere, visto che ormai sei di casa a Belgrado, ti chiedo un parere sull’infortunio di Djokovic e sulle sue possibilità di un rientro ad altissimi livelli.
“Non pensare che anche se ci alleniamo sui suoi campi, trapeli molto sulle sue condizioni o sulla sua vita privata, e d’altronde è anche giusto così. Nole è certamente uno dei mostri sacri del nostro sport, non posso dimenticare i livelli di gioco che ha raggiunto nel 2015 e nella prima metà del 2016, periodo in cui non perdeva praticamente mai. Dopo lo stop forzato per i problemi al gomito e il lieve intervento cui si è sottoposto di recente, ha sicuramente voluto bruciare le tappe e questo non è stato un bene. Da lui comunque mi aspetto un ritorno ai massimi livelli e che lotti per vincere i tornei più importanti, così come hanno fatto Federer e Nadal, perché questa è la mentalità dei fuoriclasse e non c’è alcun dubbio che lui lo sia”.

Grazie per la chiacchierata Renzo
“Grazie a te e un saluto a tutti i lettori di Spazio Tennis. Alla prossima”.

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