Remy Bertola: “Ho cambiato mentalità, ora mi godo tutto. Il no di Sinner in Davis? Rinunciava anche Federer”

Pietro Corso
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Remy Bertola - Foto David Emm:Action Plus:Shutterstock

L’avventura di Basilea è stata un sogno a occhi aperti per Remy Bertola, ma un po’ per il carattere e un po’ per una mentalità del tutto nuova nei confronti del tennis, lo svizzero non l’ha ancora metabolizzata del tutto. L’elvetico dallo splendido rovescio a una mano ha ottenuto la scorsa settimana una wild card per le qualificazioni dell’ATP 500 di Basilea, dove ha sconfitto (da n. 258 ATP) Adrian Mannarino e Quentin Halys, entrambi Top 100, per debuttare nel main draw. Accompagnato da Gianluca Santagostino, preparatore atletico e unico elemento del suo staff, Bertola sta firmando una seconda parte di stagione importante, con un nuovo best ranking alle porte (è virtualmente in Top 250 da lunedì prossimo) e il grande obiettivo delle qualificazioni Slam che si avvicina sempre più. Intanto Remy, che tra 2024 e 2025 si è tolto la soddisfazione di debuttare con la svizzera, vincendo due match su due in Coppa Davis, si gode il momento.

Remy, partiamo dalla settimana che l’ha portata a Basilea. Cosa è successo?

Dopo tanti match sul cemento, ho scelto due settimane fa di giocare un ITF su terra a Santa Margherita di Pula, ma onestamente la testa era a Basilea perché sapevo della possibilità di una wild card. Nella giornata di giovedì scorso, dopo la sconfitta contro Gianmarco Ferrari, è arrivata la telefonata da parte della federazione svizzera e venerdì mi sono ritrovato a ‘casa’ per il primo allenamento con Quentin Halys, che avrei poi battuto. Mi sentivo da dio, come se non avessi mai smesso di giocare sul veloce. Mi usciva tutto facile e ho portato quelle sensazioni in partita. Giocare contro lo stesso Quentin e Mannarino mi ha aiutato, perché avevo tanto materiale per studiarle e li avevo visti molto”.

In Svizzera oltre 6.000 persone nella St. Jakobshalle per vederla. Che effetto fa?

Dipende da che persona sei. Io sono abbastanza calmo, anche nella vita, e quel supporto mi ha semplicemente gasato, me la sono goduta. Ho utilizzato questa energia in modo positivo. Non ho mai pensato al tabellone principale, solo quando ho servito sul 6-4 5-4 contro Halys ho pensato ‘se vinco questo sono in main draw’. Tra l’altro nel primo allenamento in Svizzera ci avevo vinto un set proprio 6-4…sai il destino”.

Un inizio di stagione in salita, poi degli ottimi risultati. Cosa è cambiato?

Ho semplicemente capito che devo godermi il presente. A Basilea mi sono goduto l’occasione di poter giocare un torneo in casa. A inizio anno pensavo ad altre cose ma non a quello che avevo realmente davanti agli occhi, e mi divertivo molto meno. Dopo la sconfitta con Munar ho deciso di restare un giorno in più e mi sono allenato con Sonego, senza ansie. Ora sono più rilassato e soprattutto in controllo del presente, mentre in campo ho imparato che devo essere più propositivo e meno attendista. È così che si può fare un salto di livello”.

Lei sostiene che i tre titoli ITF valgano meno dei buoni risultati Challenger. Cosa intende?

A volte mi innervosisco perché si giudica la stagione di un professionista secondo i titoli vinti. Anche con la costanza si può arrivare a giocare, ad esempio, le qualificazioni Slam. Onestamente, sono più felice di aver raggiunto dei quarti di finale Challenger che non di aver vinto tre ITF, senza nulla togliere al circuito Futures. Prendiamo Van Assche, che fino a qualche settimana fa non trovava una quadra e ora ha vinto a Olbia. Significa che prima era scarso? E se avesse concluso la stagione con zero titoli? Non è solo con quello che si deve valutare un percorso”.

Tra il 2024 e il 2025 sono arrivate tre convocazioni con la Svizzera in Coppa Davis. Com’è stato?

La prima convocazione in Davis è quella che ancora preferisco, anche se in quell’occasione contro l’Olanda non ho giocato. È stata totalmente inaspettata, mi hanno chiamato pochissimi giorni prima di partire con la nazionale e ho amato ogni momento dentro e fuori l’arena. Ricordo che c’era un’atmosfera pazzesca, lì hanno una grande cultura dello sport. Anche dalla panchina è stato snervante e faticosissimo, pur senza toccare palla. Naturalmente porto nel cuore le due vittorie contro Bueno e Landaluce. Nel mio esordio contro il Perù ho scoperto di dover giocare 20 minuti prima dell’inizio perché il capitano Lüthi si era scordato di dirmelo. È stato esilarante ma mi ha permesso di migliorare anche l’aspetto del pre-partita”.

In questi giorni si parla tanto della scelta di Sinner, ma anche Federer saltò spesso la Coppa del Mondo. Che ne pensa?

Chissà, forse nella nazionale svizzera di allora giocare non era così impossibile proprio perché uno come Federer ogni tanto rinunciava. La sua presenza nella vittoria del 2014 non fu un caso, così come non sono un caso le due vittorie azzurre con Sinner. A livello personale, rappresentare il mio Paese in Coppa Davis, o ancor di più ai Giochi Olimpici, è qualcosa a cui non rinuncerei mai. Dobbiamo però pensare a come cambiano le dinamiche da numero uno del mondo, perché forse non ce ne rendiamo conto abbastanza”.

Con i recenti risultati Melbourne è ora nel suo mirino. Ci pensa ogni tanto?

So di avere quasi la classifica per giocare le qualificazioni Slam e in Australia potrei riuscirci per la prima volta. Se posso dire la verità, non ci sto pensando e non è un’ossessione. Sono lì, prima o dopo il momento arriverà e mi farò trovare pronto”.

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