Matteo Berrettini e Flavio Cobolli, dai ‘Rodeo’ alla Coppa Davis

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Vincenzo Santopadre, Matteo Berrettini, Stefano Cobolli, Flavio Cobolli, Guglielmo Cobolli, Matteo Santopadre

Non sono solito scrivere un pezzo in prima persona ma questa volta, per la Coppa Davis, Flavio Cobolli e Matteo Berrettini, sento di dover fare un’eccezione. Non solo per loro. Anche per tutte quelle persone che, quasi sempre stando in silenzio e in disparte, ho accompagnato match dopo match, stagione dopo stagione, in questo sport così bello, assurdo, emozionante e odioso che si chiama tennis. Parlo ad esempio di Stefano Cobolli e Vincenzo Santopadre, di cui Matteo ha parlato ricordando le stagioni in cui, quattordicenne, faceva da babysitter a Flavio e al fratellino Guglielmo, mentre Stefano e Vincenzo organizzavano quelli che, nel Lazio, sono eventi che hanno fatto la storia: i tornei Rodeo. Si giocava due set su tre a 4 game (con tie-break sul 4-4). Tutti, nella Regione, assolutamente tutti, sono scesi in campo in quei tornei. Stefano e Vincenzo erano ancora forti, districandosi tra Serie A, Assoluti, e altre manifestazioni. Il piccol(issim)o Flavio era spesso presente, così come Berrettini, con cui ho avuto il piacere di giocare ogni tanto al Circolo della Corte dei Conti. Ciò che mi rimane di quegli anni è la capacità di Matteo di migliorare, crescere, essere un tennista diverso (in meglio) a distanza di pochi mesi.

E poi il Lemon Bowl, che ricordi il Lemon Bowl. Quel video di Matteo e Flavio, che ormai credo sia stato pubblicato anche su Social indonesiani, groenlandesi e forse marziani, racconta benissimo quel periodo. Non erano gli anni dei sogni, non era ancora il momento. Erano gli anni in cui i ragazzi giocavano le partite under 10, 12, 14, e io le raccontavo, senza pensare davvero al domani. Per il solo piacere di farlo. Per formarsi, chi dentro al campo e chi fuori; quando il tempo scorreva lento, non come oggi. Flavio lo ricordo da under 10 già con una grinta fuori dal comune, stava nella partita con gusto (come oggi con Bergs), la lotta era (ed è) il suo habitat naturale. Ho pensato sin dai suoi inizi (ho decine di testimoni) che sarebbe diventato giocatore perché, da giocatore, ha sempre avuto la testa. Non la professionalità, che è arrivata negli anni, ma proprio la testa; quella che ti fa vincere i punti più importanti. Dovevate vederli gli occhi di Flavio e di Matteo, in campo.

E per arrivare a giocarsi una finale di Davis così, senza Jannik Sinner (e Lorenzo Musetti), Matteo e Flavio sono riusciti in una piccola impresa: non cambiare mai. Sia loro che chi gli era accanto. Quando parlano di Coppa della Province, Lemon Bowl, tornei Rodeo, a Matteo e Flavio si illuminano gli occhi. Le radici non rappresentano solo il punto di partenza di un campione. È come se fossero l’approdo giornaliero di ogni allenamento. Inizio e fine. E in mezzo c’è tutta una carriera, c’è la maglia azzurra, le vittorie, le sconfitte, la vita in campo e soprattutto quella fuori. Matteo ha detto una cosa importantissima. Il senso era questo: ‘bisogna fermarsi, rendersi conto dei momenti, goderseli, comprenderli, non farli passare così in fretta’.

E io alcuni momenti di questi ragazzi li ho in effetti ben fissati nella mia mente, e con questi, in maniera randomica, voglio chiudere. Una delle prime interviste, all’epoca per il quotidiano ‘Il Tempo’, a Matteo dopo un Australian Open junior in cui era già incredibilmente maturo; la prima vittoria a livello ATP di Flavio Coboll nell’ATP di Parma contro Marcos Giron, ovviamente 3-6 7-6 7-6 in tre ore di match (e come te sbagli, Fla!). O quando Matteo vinceva nelle Prequali del Foro Italico e la gente mi diceva ‘vabbè, ma è del 1996, ormai dove vuole andare?’. E dove vuole andare, forse a fare finale a Wimbledon? E anche Berretto, il primo match ATP, lo vinse in un match combattutissimo con Troicki a Doha. E chiudo con la parte forse più incredibile: la capacità di reagire. Nei match e agli eventi. Matteo si fece male alla caviglia contro Mager in quelle Prequali, sembrava non poter camminare. Il giorno dopo vinse con Arnaboldi. Le lacrime di Flavio dopo la sconfitta con Nardi a Roma. Crisi? No. Vittoria dell’ATP 500 di Amburgo. Non sono e non saranno mai Sinner o Alcaraz, Federer o Nadal, ma questi ragazzi rappresentano pienamente questo sport così bello, assurdo, emozionante e odioso che si chiama tennis. Dai torneo Rodeo alla Coppa Davis.

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