Robby Ginepri, 100% Yankee


Il tennis americano è una storia nella storia. Dalle parti dello zio Sam, il concetto di campione è onnicomprensivo. Meglio vincere, vincere tanto, sia chiaro. Ma campione e uomo-simbolo sono due idee che non sempre hanno punti in comune. Lì hanno bisogno di icone, che sappiano fare sport e intrattenere il pubblico. Pensare ai vari McEnroe, Connors, Sampras, Agassi e Roddick ci fa subito rendere conto che così male non sono stati abituati. Se possibile, cinque campioni con cinque caratteri completamente diversi ma con una personalità di quelle con cui la Terra delle Opportunità va a nozze dopo tre giorni. Guai, però, ad immaginarsi un vuoto dietro alle leggende. C’è chi, con meno talento e più lontano dalle copertine, è riuscito comunque a lasciare un bel ricordo e a tratti ha anche fatto spellare le mani agli spettatori in tribuna.
Uno di loro è Robert Louis Ginepri, per tutti “Robby”. Nato a Fort Lauderdale, città di oltre 170.000 abitanti nel sud-est della Florida, il 7 ottobre 1982, Robby Ginepri non è il protagonista della solita filastrocca “a 5 anni aveva già la prima racchetta in mano”. Ne ha praticati molti di sport (hockey su ghiaccio, basket, baseball) prima di rendersi conto, all’età di 12 anni, da che parte andare. Papà Rene, lussemburghese, è un informatico, mentre mamma Nancy è un’insegnante. Robby va da solo, e si diverte, senza padri padroni.
Le prime soddisfazioni nel mondo del tennis non tardano ad arrivare. Agli Us Open Juniores del 2000 va in scena una finale tutta americana dopo ben quindici anni. Contro il futuro numero 1 del mondo, Andy Roddick, Robby Ginepri può ben poco (6-1 6-3) ma gli addetti ai lavori iniziano a conoscerlo meglio. In quegli anni arrivano anche una finale allo US Super National Boys, la vittoria nella Sunshine Cup (la Coppa Davis junior) ai danni della Spagna e il record di imbattibilità (23-0) nelle competizioni USTA under 16.
Il 25 luglio del 2001, a Los Angeles, Ginepri vince il suo primo match ATP, 6-4 al terzo set, con il francese Sebastien Laureau. Poche settimane dopo, assaporerà la gioia della prima vittoria in un torneo dello Slam, quello di casa, frutto di un 6-3 7-5 6-4 all’israeliano Harel Levy, per poi fermarsi contro Roger Federer al turno successivo.
Dopo una finale Challenger persa ad Urbana per mano del gigante croato Ivo Karlovic, nel 2002 arrivano i primi due titoli a Rocky Mountain e a Burbank, oltre alla prima semifinale ATP a Newport.
Il 2003 è l’anno della svolta. Oltre al primo titolo ATP a Newport (6-4 6-7 6-1 con l’austriaco Jurgen Melzer), Robby Ginepri raggiunge i quarti di finale nei tre Master Series Americani di Indian Wells, Miami e Cincinnati. Un intervento in artroscopia non gli consentirà di scendere in campo per quasi tre mesi, ma nulla da impedirgli di chiudere la stagione da numero 30 del mondo. Mondo che ora ha capito di non essere di fronte ad un carneade. Per alcuni giorni, alcune settimane, sull’infuocato cemento statunitense, è difficilissimo battere Ginepri. Ottimo servizio, gran dritto e poche discese a rete. Si respira tantissimo aria di America.
Dopo la svolta, è il momento della consacrazione. Nel 2005, l’allora numero 3 d’America è protagonista di una stagione strepitosa, con ben 37 vittorie. Secondo titolo ATP sul duro di Indianapolis, dove ai quarti di finale arriva l’unica vittoria della sua carriera ai danni di Andy Roddick (4-6 7-6 7-5), dopo oltre due ore di tennis di altissimo livello e tre match point salvati dal primo giocatore della storia capace di presentarsi a Wimbledon con uno smanicato. Poi quarti di finale a Los Angeles, terzo turno a Washington e semifinale a Cincinnati. E’ l’antipasto al capolavoro di Flushing Meadows, dove arriva da numero 46 ed infila tre vittorie consecutive al quinto set con Tommy Haas, Richard Gasquet e Guillermo Coria prima di arrendersi, sempre al quinto, al futuro finalista Andre Agassi, in semifinale. Il salto alla posizione numero 21 gli consente di affrontare alcuni tornei dell’ultima parte dell’anno da testa di serie, come ad esempio l’ATP Master Series di Madrid (ancora su cemento indoor), dove raggiunge la semifinale. Dopo lo 0-4 di partenza, un 5-7 nei testa a testa con i top 10 dice sempre di più su Robby Ginepri. A dicembre è best ranking (n.15).
Tanto è difficile raggiungere certi livelli quanto lo è di più confermarsi. Il 2006 di Ginepri è solo un lontano parente dell’anno passato. Primo turno a Parigi e Wimbledon, secondo a Melbourne, terzo agli Open degli Stati Uniti, dove Tommy Haas ha la sua rivincita. La posizione numero 51 con cui chiude l’anno non è nulla in confronto a quella di dicembre 2007 (n.134), fuori dalla top 100 per la prima volta dal 2002.
Va meglio nel 2008, quando curiosamente chiude ancora n.51 grazie a 14 vittorie in più del 2007. Due le semifinali ATP, a Delray Beach (sconfitto da Blake) e a San Jose (fuori per mano di Radek Stepanek).
Nel 2009 c’è spazio per il terzo ed ultimo titolo ATP in carriera, ancora una volta ad Indianapolis, nella finale fratricida con Sam Querrey (6-2 6-4).
Le fiammate, ora, sono sempre meno e per Ginepri inizia un lento ed inesorabile declino. Pochi Challenger, tanti Futures e due operazioni. Nel 2010 al braccio, dopo un incidente in bicicletta e nel 2013 al cuore, per curare un’aritmia. Nel 2014, a Parigi, c’è spazio per l’ultima apparizione Slam, grazie ad una wild card. Quella più attesa di wild card, però, non arriva. Niente US Open 2015 ed ecco, un po’ su due piedi, la decisione di chiudere. Il 28 agosto.
Oggi Robby Ginepri è ancora nel mondo del tennis. Ha fondato la Ginepri Performance Tennis Academy, con sede a Marietta, in Georgia. Dal 2012 è sposato con Josephine Stafford. E’ tifosissimo degli Atlanta Falcons, squadra di South Division della NFL. Ama pescare e la atmosfere silenziose. Chissà, allora, se in attesa di un pesce che abbocchi, ripensa a quello che è stato e a quello che sarebbe potuto essere se fosse riuscito ad esprimersi ovunque come raramente gli è capitato sul cemento del Nord America. Quando gli applausi non bastavano. Quando davvero non ce n’era per nessuno.

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