Born(a) to be Coric?

Coric Roland Garros 2015
 

Di Lorenzo Andreoli

Nello sport, l’etichetta più difficile da scrollarsi di dosso è quella di “predestinato”. Un macigno pesantissimo con cui convivere, soprattutto quando si ha la piena consapevolezza di avere tutti i mezzi a disposizione per poter fare bene.

Nel tennis, in specie quello moderno, quanto appena detto ha il valore di una sentenza. Basta poco, a volte troppo poco, per suscitare l’enfasi generale: dal semplice appassionato, al giornalista, al dirigente federale. Sembra oramai un hobby, quello di mettere pressione, un hobby di cattivissimo gusto e terribilmente controproducente.

Era un’afosa sera di luglio di due anni fa, quando a Umago il nostro Fabio Fognini faticava non poco per avere la meglio su Borna Coric. Oltre due ore di battaglia con cui l’allora diciassettenne croato si presentava al tennis che conta. Esplosivo, con un gioco moderno basato su scambi da fondo e pochissime variazioni, il tennista di Zagabria alterna sassate al servizio e un rovescio al fulmicotone, sia incrociato che lungo linea (il suo colpo preferito).

Dopo l’ottima prestazione nel torneo di casa, nello stesso anno arrivano anche un primo turno a Flushing Meadows, la vittoria al Challenger di Izmir, in Turchia, e la ciliegina sulla torta rosso-crociata ai quarti di finale di Basilea: 6-2 7-6 a Rafael Nadal e premio “ATP Star of Tomorrow” (riservato al più giovane top 100 della stagione). I miglioramenti e una rapida arrampicata nel ranking sono esponenziali: è ancora negli occhi di tutti il 6-1 6-3 rifilato ad Andy Murray nella semifinale di Dubai, all’alba di un 2015 dalle prospettive d’oro, le prospettive di un “predestinato”.

Alt! Solo a pronunciarla di nuovo, la parola magica sembra trascinarsi dietro nuvoloni forieri di pioggia, che sui campi da tennis si traducono in risultati che vedono sontuose prestazioni alternarsi in modo preoccupante a impronosticabili debacles.

La stagione scivola via senza alcuno squillo di tromba: primi e secondi turni nei vari tornei ATP (spesso, però, frutto di sconfitte maturate contro numerosi top 20 come Kevin Anderson, David Goffin o Roberto Bautista Agut) , terzo turno al Roland Garros, secondo a Wimbledon (dopo essere stato avanti per due set a uno contro Andreas Seppi) e primo a New York (dopo aver comunque tolto un set ad un Rafa Nadal non proprio arrembante).

Il 2016, esclusa la parentesi indiana di Chennai (fermato solo in finale dal numero 4 al mondo, Stan Wawrinka) è iniziato come era finito il 2015, al di sotto delle aspettative, le maledette aspettative.

Cosa sta succedendo al ragazzo che aveva fatto stropicciare gli occhi a mezzo mondo?

Sicuramente ha un carattere non facile, come dimostra la propensione a cambiare spesso allenatore (prima Zelijko Kardan, che lo seguiva dal novembre 2014, poi Thomas Johannson e da dicembre Miles Maclagan). Il talento, invece, è indiscutibile, ma non è quello il punto su cui focalizzarsi. Chi vive il tennis da dentro conosce benissimo l’importanza di quei numerosi fattori collaterali che fanno di un ottimo giocatore un campione. No, qui non si parla solo di migliorare il dritto o la seconda palla di servizio. E’ il sistema ad essere affetto da un vizio di fondo.

Se c’è un allarme a dover suonare, non è e non deve essere quello dei risultati. Tv, web e carta stampata sembrano non perdere mai l’occasione per manifestare la loro crudeltà, sottoponendo le nuove leve ad un bombardamento mediatico incessante che non può non riflettersi sulle loro prestazioni. Se vinci, sei un Dio. Se perdi… beh se perdi vuol dire probabilmente che ci eravamo sbagliati tutti sul tuo conto. E così, Borna, un giorno è il nuovo Djokovic, il giorno dopo farebbe bene a ripartire dal circuito Challenger.

Tirare ora le somme è quanto di più assurdo si possa fare. L’età media del tennista professionista si sta decisamente allungando negli ultimi anni, indice del fatto che probabilmente non c’è più spazio per enfants prodige come Nadal, Murray & co. Pazienza, allora, se il 2016 di Borna non è iniziato come tutti si aspettavano. Avrà sicuramente tempo per smentirci, con la speranza che sia la volta buona per iniziare a fare della critica un’arte e non viceversa

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