Sergio Gutiérrez-Ferrol: dal tennis alla montagna, andata e ritorno


Nel 2007, mentre Nadal batte Federer a Parigi e conquista il terzo Roland Garros, un giovane di belle speranze, Sergio Gutiérrez-Ferrol, emerge nel panorama del tennis spagnolo vincendo il campionato nazionale juniores. I campionati nazionali iberici continuano ad avere il loro peso, soprattutto quelli delle categorie inferiori e, data la quantità di buoni giocatori che popolano campi e accademie, proclamarsi campione di Spagna non è cosa da poco: bisogna uscire indenni da un insidioso tabellone di 64 giocatori, molti dei quali già semiprofessionisti, e in sostanza non è proprio lo stesso che diventare campione delle Bahamas o dell’Albania. Sergio, “Guti” per gli amici, nato ad Alicante nel 1989, intimo amico di Roberto Bautista, non sarà di sicuro il nuovo Nadal – che alla sua età aveva già vinto un titolo Atp ed era entrato fra i primi 50 del mondo – ma nel giro se ne parla bene e tutti gli augurano un buon futuro come professionista.
La sua crescita è lenta e progressiva (il che non è in sé un male) e, sin prisa pero sin pausa come si dice in spagnolo, dopo qualche stagione raggiunge un buon ranking e un discreto bottino di risultati, fra cui spiccano i quarti di finale dell’Atp di Casablanca nel 2011, ai quali approda partendo dalle qualificazioni. A fine 2012, a 23 anni, è numero 173 del ranking, ha vinto 11 Futures (più 6 finali) e ha combinato qualcosa di buono anche a livello Challenger. Ok, alla sua età Nadal era il numero uno del mondo e dovremmo metterci a contare quanti tornei aveva vinto (Wimbledon compreso), ma è come mettere a confronto Bach o Picasso o Dostoevskij con tre ottimi artigiani che vivono onestamente della musica, della pittura e della letteratura. Scusate il parallelo insistente con Nadal, ma ha qualcosa a che fare, anche se è può sembrare una lettura forse un po’ superficiale, con i problemi che cominciano ad attanagliare la mente del nostro protagonista.
All’inizio del 2013, quando tutte le carte sembrano in regola per il salto di qualità che lo può portare a stabilizzarsi senza troppi problemi fra i primi cento del mondo, qualcosa infatti si inceppa. Comincia ad avere crisi di ansia, che a volte gli impediscono letteralmente di terminare i match, e lo sport che aveva rappresentato il sogno della sua vita, si trasforma in un incubo, come spiega in una lunga intervista rilasciata l’anno scorso sulla rete privata di Alicante 12TV. Innanzitutto parla delle difficoltà, economiche, logistiche ed umane per riuscire ad emergere, anche per lui che appartiene ad una famiglia in cui il tennis è molto presente, in particolare grazie al fratello maggiore, suo coach e maestro nel Club Deportivo 40/15 di Alicante. Poi si riferisce all’errore tattico di prefiggersi obiettivi troppo ambiziosi, con il sogno di “farcela” a diventare un grande, soprattutto dopo i quarti di Casablanca. Anche se non lo dice esplicitamente, forse è proprio qua che la presenza di Nadal (con il quale tra l’altro si allenava spesso), può essersi trasformata in un ostacolo, in un’asticella posizionata ad un’altezza insormontabile per un comune mortale. Fatto sta che, complice anche una lesione, il primo semestre del 2013 è un disastro, pochissimi risultati e soprattutto un malessere crescente, che alla fine diventa insostenibile. A soli 24 anni, l’età che per molti giocatori segna l’inizio della maturità, dice basta e, per purificare la sua mente, si mette a correre. Beh, già lo faceva prima, ma diventa la sua attività principale, anche se collabora con il fratello nella scuola di tennis, segue qualche ragazzino nell’attività agonistica e, ogni tanto, si iscrive a qualche torneo Open o a qualche campionato a squadre. Ma il tennis professionistico è un capitolo chiuso.
Corre senza sapere esattamente dove vuole arrivare, un po’ alla Forrest Gump. Poi però scopre la corsa in montagna ed è un’autentica rivelazione, che gli permette davvero di ritrovarsi e di essere felice. Un bellissimo filmato lo ritrae in azione, in completa solitudine e armonia, niente a che vedere con le vanità tennistiche, con gli aeroporti affollati, con i sogni di grandezza: “Il segreto della mia felicità non sta nello sforzarmi di piacere, ma nel trovare piacere nello sforzo”, recita la frase di André Gide che apre il video. Ma attenzione, non tutto è misticismo, non stiamo parlando di amene gite in montagna a caccia di funghi, genzianelle e muschio per il presepe. No. Stiamo parlando di roba da veri duri, tipo maratone di 42 chilometri in montagna con pendenze de capogiro, tanto che viene da chiedersi se lo stesso Nadal riuscirebbe a stargli dietro.
Piano piano, l’attività “terapuetica” si trasforma in qualcosa di più importante, riaffiora lo spirito competitivo e Guti decide di fare le cose sul serio, trova addirittura un paio di sponsor che gli permettono non certo di fare il professionista, ma almeno di pagarsi l’attrezzatura e coprire un  po’ di spese. Nell’intervista dice di essere felice, non rinnega nulla del suo passato tennistico, anzi è stato parte di un processo di maturazione che lo ha portato ad essere quello che è. Non ci sono frustrazioni né rimpianti, solo serenità. L’intervistatore gli chiede se mai tornerà a giocare, ricorrendo ad un’ardita metafora automobilistica:“Il freno a mano si può tirate, ma nulla impedisce di toglierlo, è sufficiente schiacciare un bottone. Pensi un giorno o l’altro di schiacciarlo quel bottone? O il freno a mano è definitivamente bloccato?”. La risposta di Guti è meno arzigogolata e molto più diretta, e la pronuncia con un bel sorriso: “È bloccato”. Però…. mai dire mai, vero? E infatti poco fa è riapparso nel circuito Futures, non so bene (ma forse non lo sa neanche lui) se per un esperimento, per nostalgia o per una seria volontà di riprovarci, fatto sta che dopo una paio di sconfitte al primo turno, ha fatto una serie di buoni risultati, culminati con una vittoria in Tunisia, seguita da una finale in Spagna, che lo hanno portato intorno ai primi 700 del mondo e, naturalmente, con zero punti da difendere.
Insomma Guti c’è. C’è un grande atleta, forte fisicamente e mentalmente, c’è un uomo maturo e rinnovato, e continua ad esserci un ottimo tennista (con un gioco, un dritto in particolare, molto pesante) che, a solo 28 anni, potrebbe benissimo ritornare in carreggiata. Io voglio pensare di sì, perché il suo percorso mi piace e mi sembra un ragazzo profondo e sensibile. In Spagna si dice che un torero, anche quando si ritira, continua ad esserlo, che non si “fa” il torero, ma lo si “è”. A me piace pensare, romanticamente, che debba essere così anche per i giocatori di tennis.

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