WTA: i risultati smentiscono i calendari sempre più asiatici

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di Michele Galoppini (@MikGaloppini)

Tutti gli occhi sono puntati sugli UsOpen e su Serena Williams e la sua corsa al Calendar Grand Slam. Ci si domanda quali possano essere quelle avversarie che possono, clamorosamente, mettere i bastoni tra le ruote alla numero 1 incontrastata del tennis femminile da parecchi anni. L’elenco delle papabili guastafeste non può prescindere dall’elenco delle teste di serie, entro le quali si nascondono le insidie maggiori.

Ma virando leggermente dal discorso e studiando la lista delle prime 32 giocatrici al mondo, si scoprono alcune curiosità, una delle quali mi piacerebbe possa essere oggetto di questo pezzo. L’argomento non è nuovo e non c’è pretesa di far troppo scalpore, ma poiché la stagione si sta portando verso la sua conclusione e tante analisi sono già proiettate verso il 2016, nasce la piccola necessità di riparlare di tornei WTA in Asia e soprattutto Cina, quando mancano, in primis, giocatrici che possano realmente rappresentare nel mondo del tennis femminile questa parte di pianeta.

Il primo dato da cui si vuole partire, come detto, riguarda le teste di serie di Flushing Meadows, che trattandosi dell’ultimo slam rappresentano anche quelle che sostanzialmente si sono meglio comportate all’interno dell’intero 2015. Delle 32 giocatrici, 4 sono statunitensi, 1 è canadese così come 1 è australiana, e ben 26 sono europee, cioè più dell’80%! Ciò che colpisce è la totale essenza dell’Asia e di conseguenza nemmeno della Cina.

Questo è certamente dovuto alla carenza generale di tenniste asiatiche e cinesi tra le posizioni che contano, teste di serie a parte. La prima asiatica è Zarina Diyas, giovane kazaka che ben si sta comportando nelle ultime due stagioni: sempre vicina alle prime trenta del mondo, con una miglior classifica al numero 31, occupa ad oggi la trentacinquesima posizione mondiale; la prima cinese è addirittura 70esima, ed è Zheng Saisai, 21enne che sebbene ben si sia spesso comportata a livello ITF, ma sempre in tornei asiatici, ancora deve dimostrare di valere la sua classifica a livello WTA. È vero, ci sarebbe Peng Shuai alla numero 38, ma ferma da tempo per grossi problemi alla schiena scivolerà oltre la 100esima posizione dopo gli UsOpen, dove è semifinalista uscente. Nella top100 ci sono ulteriori 2 kazake e 2 giapponesi, ma oltre la posizione della Zheng, e nessun’altra asiatica.

E come la Peng, la sorte delle cinesi che negli ultimi anni hanno portato al paese della Grande Muraglia qualche soddisfazione non è stata troppo favorevole: Li Na si è ritirata lo scorso anno e Zheng Jie è da tempo scomparsa dal tennis giocato e mancano addirittura reali informazioni sul suo stato di forma (sembra che, come la Peng, il ritiro sia quasi scontato). La Li, peraltro, è stata l’unica giocatrice asiatica ad essere testa di serie per i primi tre Slam del 2014, “sostituita” da Shuai Zhang, 32esima testa di serie agli ultimi Us Open, affiancata dalla giapponese Kurumi Nara, 31esima. Quest’anno, nei primi due Slam, sono state Peng e Diyas a guadagnarsi una testa di serie per rappresentare l’Asia, ma da Wimbledon hanno perso questo status.

Proprio partendo dalla Nara, è utile anche ricordare come il Giappone possa recriminare qualcosa della situazione attuale: il paese del Sol Levante è stato per tanti anni un paese con una più che buona tradizione tennistica. Tanti si ricorderanno Ai Sugiyama (ultima grandissima rappresentante, ex top10 e detentrice del record di 62 main draw consecutivi negli Slam), ma anche Shinobu Asagoe, Akiko Morigami, Ayumi Morita (tuttora attiva). l’inossidabile Kimiko Date-Krumm e tante altre. Nonostante ciò, un’attuale mancanza di giocatrici di livello ha portato il Giappone a scomparire quasi del tutto dal calendario WTA. Resta Tokyo, come Premier (non più Premier5), ma è scomparso Osaka, che probabilmente verrà però sostituito da un secondo International sempre a Tokyo.

Tornando al discorso principale, così come dimostrato dalle teste di serie, anche all’interno di tutto il tabellone degli UsOpen la distribuzione per continente delle giocatrici ammesse di diritto (quindi escludendo qualificate e wild card) è riconducibile ad un dominio europeo accompagnato da presenze nordamericane: 77 europee, 13 nordamericane, 3 sudamericane, 5 asiatiche (di cui 2 cinesi) e 6 oceaniche. Lo stesso ragionamento lo possiamo estendere alle qualificazioni, dove però c’è un elemento di forte differenza, causato da una massiccia presenza asiatica: 68 europee, 15 nordamericane, 4 sudamericane, 32 asiatiche ed 1 oceanica. La distribuzione torna però consueta se si guarda alle 16 qualificate al tabellone: 12 europee, 3 statunitensi ed 1 giapponese.

Cercando di fare un brevissima analisi ed un po’ di ordine, dati i tanti numeri forniti nel paragrafo precedente, ne consegue che:

  • L’Europa è in tutti i casi elencati in presenza massiccia, tra il 60% e l’80% circa.
  • Il Nordamerica è la seconda forza, sebbene in mole minore rispetto al passato, con presenza tra il 10% ed il 15%.
  • Asia e Cina sono una categoria residuale e l’unica presenza importante la si ritrova, come numero partecipanti, nelle qualificazioni, ma non nelle qualificate (dal 27% di presenti in tabellone al 6% di qualificate).

La motivazione di questo “fallimento” nelle qualificazioni è anche facile da trovare:  il vero benchmark tra il tennis di massimo livello e quello di alto livello si trova attorno alla top60-top70, perché fino a quel punto ci si può arrivare affidandosi ai tornei ITF, ma oltre non si può andare se non grazie a buoni risultati a livello WTA, e quindi contro le più forti. Una massiccia presenza asiatica nella fascia di ranking tra la top70 ed il limite per entrare nelle qualificazioni degli UsOpen è quindi dovuta a costanti buoni risultati di tante giocatrici cinesi, e non, a livello ITF. Il “problema” si riscontra nel fatto che davvero numerosi sono i tornei ITF nella parte orientale del mondo, ma sono davvero pochi quelli il cui livello è paragonabile al montepremi che offrono. A titolo di esempio, non si è troppo lontani dal paragonare il generale livello dell’entry list di un 75k o 100k asiatico con quello di buona parte dei 25k europei, dove la concorrenza è altissima ma comunque non può spostarsi in Asia per la necessità di fondi che i montepremi bassi dei 25k non concedono. È un sistema che si autoalimenta: tanti sono i tornei importanti, tante sono le asiatiche iscritte che possono sfruttare l’occasione, ma bassa è la reale concorrenza di alto livello perché alti sono i fondi necessari da spendere per americane ed europee per una tournée in Asia; sono in questo modo tante le giocatrici asiatiche che salgono il ranking, fino a quando, nel momento dell’entrata nel circuito maggiore e di paragone con europee ed americane di pari classifica, interrompono la crescita bruscamente. E 31 eliminazioni su 32 iscrizioni sono un chiaro e palese esempio di questo fenomeno.

E purtroppo la situazione contorta non si esaurisce qui. Da anni, ormai, la WTA capeggiata da Stacy Allaster, si sta trascinando sempre più in terre asiatiche ed in particolare cinesi, disintegrando nello specifico la tradizione europea dei piccoli tornei WTA, che tentano una strenua resistenza ma sempre più vanno a scomparire, soprattutto se si parla di quella che era la grande stagione europea dei tornei WTA indoor. Resistono Linz, Lussemburgo e Mosca, sulla quale ogni anno pende un’avversa spada di Damocle; Anversa, appena tornata, è già stata nuovamente tolta dai futuri calendari, il torneo di Katowice è posizionato in una zona di calendario poco felice. Ed allo stesso modo Linz, Lussemburgo e Mosca sono in una zona di calendario sfavorevole, poiché i grandi appuntamenti di quei mesi sono tutti in Asia, così come in Asia sono anche i due Master, poiché anche il Master “B” è stato tolto all’Europa per essere consegnato alla cinese Zhuhai.

I numeri sono quasi scioccanti. Nel 2016 saranno addirittura 16 i tornei che saranno giocati in Asia, 8 dei quali nello specifico in Cina, con due kermesse nuove di zecca, cioè gli International di Nanchang e di Kaohsiung. E nella maggior parte dei casi, questi tornei vengono giocati in una tristissima atmosfera di desolazione, causata dall’assenza imbarazzante quasi totale del pubblico negli stadi: si è più volte parlato di Baku, di Tashkent, ma quando perfino il Premier Mandatory di Pechino si gioca a sostanziali porte chiuse, quasi nella nebbia dell’inquinamento della capitale cinese, bisognerebbe porsi importanti questioni. Evidentemente, si preferisce cancellare ufficialmente il torneo di Portorose, poiché il centrale era troppo piccolo, seppur costantemente pieno ed in una cornice paesaggistica invidiabile, per agevolare International cinesi dagli stadi giganteschi, immersi nello smog, ma costantemente vuoti e in cui regna l’eco delle palline.

Sebbene al pubblico cinese il tennis femminile interessi davvero poco, la WTA continua ad ostinarsi nella sua campagna asiatica: purtroppo, la motivazione è decisamente economica. Ci sono sponsor, ci sono fondi e quindi ci sono tanti soldi, sostanzialmente quasi unico plausibile motivo di tale scelta strategica. Come detto non c’è pubblico, non ci sono giocatrici che possano sostenere il movimento e così facendo si sta disintegrando la tradizione tennistica di altre zone, molto più interessate (seppur forse non economicamente) al tennis.

In conclusione, buono US Open a tutti. Almeno a New York, siatene certi, il pubblico risponde in massa al richiamo del nostro sport, che speriamo non si autodistrugga alla ricerca di meri dollari a scapito di passione e tradizione.

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