Jannik Sinner come Federer, Nadal e Alcaraz: le sue scelte, seppur dolorose, vanno rispettate

A. Nizegorodcew
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Jannik Sinner - Photo Courtesy of China Open

Il tennis è una cosa seria. Non ci si improvvisa esperti da un giorno all’altro. È uno sport con delle dinamiche molto precise, sottili, molto diverse da quelle di altre discipline. Il tennis nasce molto prima di Jannik Sinner, ma solo oggi è divenuto mainstream. Da sport di nicchia è passato, quasi all’improvviso, a questione nazional popolare; con tutti i suoi ‘pro’ e i suoi ‘contro’. Tutti parlano di Jannik, tutti guardano Jannik, tutti giudicano Jannik. E fin qui, nulla da dire. È inevitabile. Chi ne scrive, però, dovrebbe lasciar spazio a chi padroneggia la materia da anni (soluzione migliore) o quantomeno informarsi in maniera dettagliata (soluzione accettabile). Non è un caso che i pezzi più equilibrati, anche se alcuni in parte critici, siano arrivati da chi scrive di tennis da tutta la vita. Nelle ultime 48 ore, dalla rinuncia ufficiale di Jannik Sinner alla Final 8 di Coppa Davis, si è scatenato di tutto: ingratitudine verso la Nazione, assenza da Mattarella, la residenza a Montecarlo, il patriottismo di Alcaraz che vuole tatuarsi la Coppa Davis e tanto altro ancora.

Partiamo dall’inizio. O, almeno, da undici mesi fa. Jannik Sinner conquista da protagonista, insieme ai suoi compagni, la seconda Coppa Davis consecutiva. Un traguardo storico per l’Italia, seppur l’insalatiera sia cambiata così tanto a livello di format che si fa fatica a chiamarla Davis. Jannik a fine novembre supera Tallon Griekspoor in finale (in quella che fu la sua partita numero 87 in stagione tra singolari e doppi) e, dopo aver alzato la coppa al cielo, fa capire a tutti un concetto piuttosto chiaro: l’anno prossimo io non ci sarò. Come è normale che sia per un top player. È stato così per i Fab4. Nadal ha vinto la Davis quattro volte ma molto spesso non ha partecipato. Federer ha giocato in Nazionale tantissimo a inizio carriera, per poi limitare le proprie presenze e, di fatto, abbandonare la Svizzera dopo il successo del 2014 (disputò solamente gli spareggi nel 2015 come ultima apparizione in maglia elvetica); stesso discorso dicasi per Djokovic, Murray e tutti quei (più o meno) grandi giocatori che hanno scelto di gestire con attenzione e professionalità le proprie priorità. Un caso eclatante fu quello di Juan Martin Del Potro, che nonostante avesse grande attaccamento alla Nazionale argentina rinunciò in più di una circostanza (o diede priorità ad altro arrivando in scarsa forma) scatenando l’ira, all’epoca, del compagno di squadra David Nalbandian.

Si potrebbe obiettare che la formula sia cambiata più volte e che ora l’impegno sia meno ingente rispetto al passato. Il caso di Carlos Alcaraz però è eloquente. Lo spagnolo ha giocato finora soltanto 8 match in Nazionale (contro i 19 incontri disputati da Jannik che, va ribadito, ha vinto la Davis due volte) e in più circostanze ha rinunciato alla convocazione. Fa sorridere notare come Alcaraz sia utilizzato dai critici di Sinner come eroe e patriota, quando poche settimane fa ha (giustamente, visto che era distrutto post US Open) negato la propria presenza a capitan David Ferrer per i ‘qualifiers’ della Spagna, impegnata in casa contro la Danimarca con in palio un posto alla Final 8 di Bologna. Sulla terra di Marbella Rune aveva sconfitto Carreno Busta e Moller si era imposto su Munar portando i danesi sul 2-0. Il doppio spagnolo aveva accorciato le distanze ma Rune, il giorno successivo, è arrivato al match point contro Pedro Martinez per chiudere il ‘tie’ in favore della Danimarca. Gli uomini di Ferrer si sono salvati, qualificandosi in maniera miracolosa per la Final 8. E lì, comodo comodo, arriverà a giocare Alcaraz, che ha anche dichiarato di volersi tatuare la Coppa Davis (senza averla praticamente mai giocata). Nota: anche Davidovich Fokina scelse di non partecipare alla sfida tra Spagna e Danimarca. Non si tratta di un appunto ad Alcaraz, anzi. In patria è arrivata qualche timida critica, ma nulla a che vedere nemmeno lontanamente con ciò che sta accadendo con Sinner in Italia. Lo spagnolo ha scelto di partecipare alla Davis nelle circostanze che, per la sua carriera, ha ritenuto adeguate alla programmazione. Programmazione che, nel tennis, è una sorta di scienza, fondamentale per il positivo esito di una stagione. Una singola scelta sbagliata può portare a una serie di eventi/risultati negativi, infortuni, stop forzati. È, questo, uno degli argomenti che solamente chi vive e respira tennis può comprendere pienamente.

E arriviamo dunque al concetto di priorità. Claudio Mezzadri, ex capitano svizzero di Coppa Davis e già Top 30 ATP, intervistato da Lorenzo Ercoli per Spazio Tennis ha dichiarato: “un giocatore come Jannik Sinner, di questo livello, è libero di fare le sue scelte. Da questo punto di vista è paragonabile a Federer. Si tratta di comprendere le decisioni di un giocatore di questo valore, che ha delle priorità. C’è la Nazionale, ma ci sono gli Slam, oltre che contratti importantissimi firmati”. Per Sinner la Davis è stata priorità per due anni di fila. Filippo Volandri ha ricordato più volte i sacrifici di Jannik nell’edizione 2024, che l’attuale numero 2 del mondo arrivò a giocare acciaccato, reduce dal successo di Torino, senza provare il campo di allenamento, subito costretto a disputare singolare e doppio contro l’Argentina. Qualcun altro, anzi molti altri avrebbero detto ‘no’. Jannik la maglia azzurra l’ha portata con grande fierezza, ha lottato, ha vinto. Per due edizioni consecutive.

Il fatto che parli anche tedesco (a proposito, forse non è noto che anche tra Austria e Germania viene preso in giro bonariamente perché la sua pronuncia è tutt’altro che perfetta), oltre che inglese, non è nemmeno da prendere in considerazione, qualifica semplicemente chi lo scrive. Mentre sulla residenza a Montecarlo, scelta dalla maggior parte dei tennisti professionisti, andrebbe aperto un vaso di Pandora (che comprende un ampio discorso sulla tassazione italiana) che non è il caso di scoperchiare in questa sede.

Capitolo esibizioni. Jannik Sinner per anni ha detto ‘no’ a qualsiasi evento che non facesse parte del circuito ATP. Nel corso del tempo ha scelto di accettare, ovviamente per soldi (quanti rinuncerebbero a 1,5 milioni per la presenza e 6 per la vittoria di un torneo su tre giorni due set su tre?), il Six Kings Slam, e a inizio gennaio sarà in Corea in una tappa di avvicinamento (tecnica, fisica e geografica) agli Australian Open. C’è un concetto però molto basilare che sfugge ai più. I tennisti che disputano queste esibizioni milionarie hanno meritato la possibilità di esserci. Hanno lavorato per anni, sin da bambini, per diventare i più forti del mondo. Non si tratta di dollari regalati, bensì guadagnati sul campo. Ma non oggi o ieri, e nemmeno l’altro ieri; grazie a tutta la carriera. Inutile quindi mettersi a contare i dollari vinti al minuto, se non per un mero esercizio di stile. È tutto guadagnato quando si fa parte del gotha di uno sport sempre più mainstream come il tennis. Paragonare inoltre le energie spese per un’esibizione che si disputa a braccio sciolto, senza ansie e stress, a quelle lasciate per strade in Coppa Davis, è semplicemente farsesco. Che si leggano solamente le parole di conosce il tennis e scrive per informare; che si lascino cadere nel dimenticatoio gli articoli di chi, senza saper nulla di questa disciplina, ha deciso di giudicare.

La scelta di Jannik Sinner va rispettata e, se possibile, compresa. Ciò non toglie che possa/debba esserci dispiacere per la sua assenza, che toglie ai tanti appassionati italiani la gioia di una competizione disputata a Bologna con l’idolo di casa. La Coppa Davis, però, si svolgerà a Bologna anche nel 2026 e nel 2027. Sinner avrà la possibilità, se lo vorrà, di parteciparvi nelle prossime due stagioni. Ora, però, va lasciato in pace. Anche perché un tennista che vince Slam, arriva sempre in finale, domina il circuito insieme a un altro grande campione come Alcaraz, conquista due Davis (l’Italia ne aveva vinta solamente una nel 1976) e in campo è di una correttezza disarmante, appare un regalo troppo bello per essere vero. Soprattutto per chi il tennis lo ha seguito negli anni in cui l’unico italiano in Top 100 era Davide Sanguinetti e oggi è semplicemente senza parole per un sogno da cui nessun vero appassionato di questo sport vorrebbe svegliarsi.

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