In un mese ha vinto le Next Gen Finals, il Challenger di Canberra e ha firmato un exploit all’Australian Open: un trittico che ha cambiato l’anno – e forse la vita – di Joao Fonseca. Dodici mesi dopo, il classe 2006 brasiliano è numero 24 del mondo e fa il bilancio di una stagione che lo ha consacrato come una delle promesse più luminose del circuito. Intervistato da ESPN, il giovane tennista ha ripercorso quanto vissuto nel 2025, tra grandi successi e l’adattamento a una nuova vita.
“La vita del tennista scorre di settimana in settimana, non abbiamo tempo per fermarci – spiega Fonseca – A volte mi chiedo: cosa ho fatto quest’anno? Cosa è cambiato? Ma poi giochi, ti alleni, torni in hotel e riparti. Non hai tempo per riflettere”.
La vittoria su Rublev all’Australian Open ha mostrato al mondo le reali potenzialità del sudamericano, che nella sua prima stagione piena nel circuito maggiore non sempre è riuscito a confermarsi con continuità. Eppure, in un tennis che corre sempre più veloce, i suoi sono risultati straordinari: basti ricordare l’inizio anno da numero 145 del mondo e i titoli ATP di Buenos Aires e Basilea che ne hanno consolidato l’ascesa. “Il primo boom è arrivato con le vittorie del 2024 a Rio de Janeiro: passai da 700 a 300. Ma il vero salto di popolarità è arrivato battendo Rublev in Australia. Io non me ne rendevo conto, perché in Brasile non cammino molto per strada… ma la mia famiglia sì: mi dicevano che stava cambiando tutto. I social sono esplosi. Mi sono accorto davvero della mia popolarità solo nelle ultime vacanze, quando ho camminato un po’ di più e ho visto quanta gente segue il tennis“.

I momenti difficili della stagione
Nonostante la crescita impetuosa, Fonseca non nasconde le difficoltà incontrate lungo il cammino: “La gente vede solo punti, ranking e titoli, ma ci sono stati momenti molto difficili. In primavera ho giocato pochissimo sulla terra: Estoril, Roma… due primi turni giocando male. A Båstad mi sono allenato così e così, ma lì sono riuscito a ritrovare un po’ di ritmo. Poi a Toronto non stavo bene, e nemmeno a Cincinnati. Allo US Open ho giocato benissimo il primo turno, e nel secondo ho avuto chance per allungare la partita. Però anche Alcaraz, nel suo documentario, racconta che alle Finals 2024 non stava bene. Succede a tutti“.
Le amicizie nate in Laver Cup
Il talento e l’improvvisa esposizione mediatica lo hanno portato a essere convocato per la sua prima Laver Cup, un’esperienza che ha aperto nuove relazioni e consolidato il suo status nel Tour: “Mi dicevo: ‘Sono il numero 50 del mondo, gli altri sono tutti top 10 o top 20. Sarò all’altezza? Ma è stata un’esperienza pazzesca. Mi ha insegnato tantissimo. Amicizie? Nel Tour sono amico di tutti, non litigo con nessuno. In squadra con De Minaur e Cerúndolo parlavo spagnolo, eravamo sempre insieme. Ma anche gli americani Opelka e Fritz: Fritz all’inizio non mi salutava nemmeno, era timido. Ora parliamo su WhatsApp. È stato fantastico”.
E poi l’incontro con due leggende come Andre Agassi e Patrick Rafter, che hanno lasciato un segno speciale: “Agassi è stato incredibile, ma credo di essere ancora più vicino a Rafter perché stavamo più tempo insieme in panchina tra una partita e l’altra. Parlare con lui è stato naturale. Alla fine mi ha persino invitato ad andarlo a trovare a casa”.