C’era una volta lo Slam delle sorprese

Australian Open 2015
di Federico Mariani

Col Day 8 di Melbourne appena passato agli archivi, il tabellone del primo Slam stagionale si allinea ai quarti di finale. Tra gli ultimi otto che si contenderanno la fase decisiva del torneo troviamo ben sette delle prime otto teste di serie, un notevole dimostrazione di regolarità e strapotere gerarchico dei più forti rispetto al resto della compagnia.

L’unico a mancare l’appuntamento è paradossalmente Roger Federer, sconfitto al terzo turno da Seppi. A prendere il suo posto ci ha pensato senza troppi complimenti Nick Kyrgios che, in barba ad un’età solo post-adolescenziale, si presenta ai quarti di finale di un Major per la seconda volta in carriera. La suddetta regolarità mostrata una volta di più nel maschile ci fornisce un’ideale assist per smentire la convinzione secondo la quale gli Australian Open sono considerati inclini alle sorprese. E’ indubbio che in passato tale affermazione si è avvicinata alla realtà e ne sono esempi le clamorose vittorie di Johansson e, se vogliamo, di Wawrinka, ma anche le finali raggiunte da Clement, Schuttler, Baghdatis e Gonzalez, ma ora i risultati sono più che mai stridenti con tale ipotesi.

Il trend degli ultimi anni, in effetti, impone di non considerare più l’Open australe come “il torneo delle sorprese”. A testimoniarlo sono dati numerici e statistici che spiegano, quasi clamorosamente, il contrario. Prendendo, infatti, in esame gli ultimi sette anni per un totale di 29 prove dello Slam (28 più il torneo in corso) è evidente come Melbourne si sia distinto addirittura come l’appuntamento più regolare se paragonato agli altri tre Major. L’intervallo temporale preso in considerazione è relativamente breve, ma decisamente significativo. Il 2008, infatti, è l’anno in cui gli organizzatori degli Australian hanno deciso di cambiare la superficie di gioco passando dal Rebound Ace all’attuale Plexicushion. Questo è un elemento che, a ben vedere, può risultare significativo per spiegare la maggiore regolarità dell’andamento del torneo. La regolarità che vede nell’uniformazione delle superfici (e nel rallentamento di queste) un alleato assai fedele. La ricerca di standardizzazione delle superfici è un argomento tanto inflazionato quanto, tuttavia, capace di giustificare il perché è in costante aumento il margine tra i primi della classe ed il resto dei professionisti.

Per trovare meno di sei delle prime teste di serie agli ottavi di finale a Melbourne, occorre risalire al 2008 dove solo quattro dei primi riuscirono a centrare l’appuntamento. Se, invece, calcoliamo la percentuale di successo delle prime otto teste di serie fino ai quarti di finale, i numeri cominciano a parlare per noi: a New York questa si attesta attorno al 62%, contro il 59% del Roland Garros, per finire col 53% di Wimbledon fanalino di coda in questa particolare graduatoria. Percentuali abbastanza simili e vicine tra loro che, invece, stridono col netto 77% di Melbourne.

Analizzando l’andamento generale, invece, un altro elemento pare evidente: la regolarità in tutti i tornei è andata sistematicamente aumentando a scapito delle sorprese (sempre più sporadiche ed isolate) e dei tanto cari upset con un crescendo di tornei sempre più orfani di sorprese e coi primi della classe sempre più infallibili. Basti pensare che prendendo in considerazione le ultime 13 prove dello Slam, troviamo solamente cinque giocatori che da non teste di serie sono riusciti nell’impresa di centrare almeno i quarti di finale. O, meglio, questo fenomeno è avvenuto cinque volte, ma i giocatori protagonisti sono solo quattro perché Nick Kyrgios compare due volte. Il giovanissimo tennista australiano, infatti, si è reso protagonista delle ultime due cavalcate da non testa di serie bissando nel torneo di casa il risultato ottenuto a Wimbledon la scorsa estate.

Restando in tema di giocatori non testa di serie arrivati almeno ai quarti, è interessante registrare come per vedere tale fenomeno a New York sia necessario andare a ritroso fino al 2008 dove riuscirono ad imporsi ben due giocatori, Fish e Muller. In contrapposizione a New York, Wimbledon è il torneo più favorevole per chi non è tra i primi 32 del mondo con ben 12 presenze ai quarti in sette anni (e con tanto di record di quattro non teste di serie sempre nel 2008).

Vuoi per la collocazione temporale che li vede ad inizio stagione, vuoi per le particolari ed uniche caratteristiche ambientali climatiche, vuoi perché nell’immaginario collettivo gli Australian Open tendono ad essere considerati (erroneamente) un gradino sotto agli altri tre appuntamenti in calendario. Se tutte queste motivazioni potevano ritenersi più o meno condivisibili fino a qualche anno fa, ora i risultati parlano chiaro regalando allo Slam down under la migliore regolarità generale da quasi un decennio a questa parte. Non che questo sia necessariamente un bene (anzi), ma adesso a Melbourne vincono sempre o quasi i più forti.

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