I ’92 azzurri: una giornata di gloria


Di Roberto Commentucci
Ok, va bene, lo so che in Italia non abbiamo un Ryan Harrison, un Bernard Tomic, un Grigor Dimitrov o un Milos Raonic. Uno come Harryson, americano, 19 anni appena compiuti, già 92 Atp e una completezza tecnica vertiginosa unita ad una grinta belluina. Né abbiamo un Tomic, australiano, che 19 anni li compirà solo ad ottobre ma che dopo una luminosa carriera giovanile guarda tutti dall’alto in basso dal suo 68 Atp, costruito su un incredibile quarto di finale sull’erba di Wimbledon. Per non parlare dei Dimitrov o dei Raonic, appena un pò più stagionati (20 anni il primo, 21 il secondo), ma che già da tempo bussano alle porte del grande giro, provvisti come sono di un arsenale tecnico e fisico di prim’ordine. Predestinati, sicuri top 10, gente che probabilmente potremo solo  invidiare e guardare da lontano.
Però qualcosa inizia a muoversi anche in quella palude stagnante che è stata negli ultimi 3 anni il nostro tennis giovanile. A distanza di quasi 4 anni dall’ingresso nei primi 100 di Fabio Fognini e di Sara Errani, classe ’87, qualcosa pare che si stia finalmente muovendo anche per le nostre giovani promesse. Segnali ce n’erano stati. I buoni risultati di Alessandro Giannessi, mancino spezzino classe ’90, la crescita di Stefano Travaglia, potente marchigiano del ’91, (quasi ’92, è di dicembre), l’ascesa tumultuosa della talentuosa italo argentina Camila Giorgi, anche lei nata nel dicembre ’91 e che ormai si  sta affacciando alle soglie del circuito Wta.
In questo quadro generale di cauto ottimismo, ecco che arriva la giornata di ieri, dove contemporaneamente ben 3 azzurri, tutti nati in quel 1992 così prodigo di giovani promesse, hanno fatto registrare exploit davvero inaspettati, e perciò particolarmente piacevoli. Per tutti e tre, infatti, si tratta del miglior risultato della loro carriera. Ma vediamo cosa è successo, iniziando dalle donne.
Nel torneo ITF da 50.000 dollari di Olomuc, Repubblica Ceka, in uno dei tanti challenger femminili che si disputano in questo periodo in Europa, la romana Nastassija Burnett, la Sharapova dei Parioli, dopo aver superato le qualificazioni sorprende la testa di serie n. 1 della manifestazione, la ceka Sandra Zahlavova, n. 126 Wta ma ben dentro le top 100 fino a pochi mesi fa.
Nastassija, 1.80 di tecnica e potenza, un po’ monocorde negli schemi e un filo macchinosa negli spostamenti, una mamma forse un po’ ingombrante e con fama di “mangia-coach”, ha vinto 75 46 64, dopo una durissima battaglia. La speranza è che la romana, ora seguita dall’ex pro Vincenzo Santopadre, con questo exploit si lasci alle spalle due anni molto difficili, in cui ha cambiato un numero esagerato di guide tecniche e in cui, complice anche qualche infortunio, non ha compiuto i progressi che si attendevano da lei, dopo le grandi speranze suscitate dalle prime apparizioni nel circuito ITF.
Qualche ora dopo, nel bel torneo challenger di Recanati, un 30.000 dollari molto ben frequentato, la wild card Federico Gaio, 400 e rotti Atp, si impone alla distanza su Paolino Lorenzi, ex top 100, testa di serie n. 3 e tipo tostissimo a questi livelli. Vittoria vera, di spessore, 64 al terzo recuperando un break nel set decisivo. Nel caso di Gaio per la verità il grosso risultato era nell’aria. Il faentino, già finalista al Bonfiglio un paio di anni fa, ha talento da vendere, nell’ultimo anno è cresciuto tantissimo sul piano fisico, ha vinto un paio di futures e sta piano piano iniziando a mettere insieme i tanti pezzi del suo variegato repertorio tecnico.
La sorpresa più grossa della giornata, tuttavia, è quella che va in scena qualche minuto dopo, sempre a Recanati, su un campo secondario. Giacomo Miccini, lo yankee delle marche, l’ex pupillo di Nick Bollettieri, fino a tre anni fa il gemello italiano di Bernard Tomic, che dopo un tremendo infortunio all’anca sembrava perduto per il tennis professionistico, e che lo scorso anno aveva preso la via del college USA, ormai senza ranking Atp, accetta la wild card del circolo di casa sua e trova il modo di fare fuori, tra lo stupore generale, l’australiano Brydan Klein, 300 e rotti Atp, per giunta mettendo in mostra un ottimo tennis d’attacco.
La doppia vittoria di Miccini e Gaio è affascinante. Coetanei, entrambi di talento, già campioni del mondo a squadre under 14, hanno seguito percorsi diversi (centro federale di Tirrenia per Gaio, Bollettieri Academy e poi il team di Umberto Rianna per Miccini), ma hanno parecchi punti in comune: la predilezione per le superfici veloci, un gioco aggressivo e potente nonché – cosa rara al giorno d’oggi –una notevole propensione per la rete, dove se la cavano benissimo. I due, tra l’altro, si sfideranno nel secondo turno in un suggestivo derby.
Gaio e Miccini (ma anche l’ascolano Travaglia) sono insomma giocatori da veloce. Tennisti un po’ anomali, in questo paese a cultura di terra rossa, e forse a volte, solo per questo, guardati e valutati nell’ambiente con una certa diffidenza…
Ma non sono certo i primi casi. Tennisti da campi rapidi ne abbiamo avuti tanti: Pescosolido, Caratti, Camporese, Pozzi, Nargiso, Sanguinetti, Navarra, Martelli, e via elencando. Purtroppo, in molti casi questi giocatori non sono riusciti a veder valorizzate in pieno le loro caratteristiche, soprattutto a causa di una programmazione troppo conservatrice e terracentrica. Insomma, anziché andare a giocare sul veloce, molti di loro restavano impantanati sul rosso, dove le loro qualità offensive venivano puntualmente mortificate da peones e pedalatori spagnoli e argentini. Gli Arrese, i Carbonell, i Gumy, i De La Pena, e via elencando.
In chiusura, quindi, consentiteci una piccola provocazione. Il challenger di Recanati si gioca su un sintetico piuttosto veloce, che sicuramente ha dato una grossa mano a Gaio e a Miccini. Senza dubbio, si fosse giocato sulla sempiterna terra rossa del nostro circuito challenger (sono su terra 20 tornei italiani su 24) queste affermazioni, che danno punti e morale ai nostri giovani, non ci sarebbero state.
Non sarà che uno dei problemi storici del nostro tennis è la preferenza per una superficie, come la terra battuta, che richiede ai giovani abnegazione, disciplina, costanza e sacrificio, che mortifica magari un po’ il talento puro, e che in conclusione poco si attaglia alle caratteristiche – anche caratteriali – della nostra attuale gioventù?

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