Gatto-Monticone e il Circuito Itf

di Giulio Gasparin

Quando si pensa alla vita del tennista è facile farsi abbagliare dall’immagine che arriva spesso sui teleschermi di una vita di lusso, tra hotel a cinque stelle e resort mozzafiato, pagati per giocare a tennis. Un sogno praticamente.

Ma se questa immagine già sembra erronea solo osservando l’alto livello più da vicino, quando si scende anche solo leggermente si nota come il dipinto sia completamente diverso.

Giulia Gatto Monticone, decima giocatrice d’Italia – per fare un paragone calcistico sarebbe titolare in nazionale – e appena fuori dalle prime 200 al mondo, ci racconta come è veramente la vita del tennista emergente, tra viaggi, alberghi e conti sempre al limite.

“La vita del circuito ITF è faticosa. Ti sposti ogni settimana e fai dei viaggi-avventura, poi arrivi al torneo ed hai un solo giorno per allenarti. Essendoci pochi tornei in Italia devi anche viaggiare tanto, devi stare attento a cosa mangi… Per esempio l’alimentazione è molto importante, ad esempio a me è capitata un’intossicazione alimentare durante il torneo di Bath alcuni anni fa. Ero in finale e non sono nemmeno potuta scendere in campo da quanto stavo male.”

Non c’è rabbia o rassegnazione nelle sue parole, Giulia è una ragazza molto intelligente e determinata, quindi sa che se si vuole puntare in alto, questi sono passi indispensabili. Piuttosto si può capire la fermezza data dall’esperienza che risuona nella sua voce:

“Sia dentro che fuori dal campo bisogna sempre stare attenti, perfino a come dormi. Io soffro di allergie e devo stare attenta agli hotel per la moquette, devo portarmi sempre il cuscino antiallergico e tutte queste cose sono complicate. Certo, poi quando entri nel torneo la vita è bella. Ad alti livelli è tutta un’altra cosa, ma è una vita di sacrifici.”

Con gentilezza risponde a tutte le domande in maniera accurata e del tutto non banale, mostrando una grande consapevolezza di tutto ciò che la circonda.

“Anche organizzare i viaggi è complicato. Girare con l’allenatore poi ha un costo molto elevato perché si è in due. Se si ha la fortuna di potersi organizzare con altre ragazze lo si fa; poi dipende molto anche dal proprio carattere. Io se capita, anche solo con la compagna di doppio, cerco di organizzarmi e risparmiare il più possibile perché i tornei sono tanti e bisogna tenere conto di tanti aspetti.”

Ovviamente le ragazze nel circuito non fanno tutto da se, anche se spesso è il caso.

“Quando può anche l’allenatore dà una mano, anche solo per i voli. Bisogna organizzarsi bene settimana per settimana e questo dà molto stress in più.”

Il problema dei viaggi si è fatto poi maggiormente sentire negli ultimi anni, quando a seguito della crisi economica diversi tornei italiani hanno dovuto chiudere o comunque ridimensionarsi, obbligando così le azzurre a muoversi sempre di più al di fuori dei confini nazionali.

“Penso che fino a due o tre anni fa [l’Italia] era la nazione con più tornei. Ora purtroppo di tornei alti ce ne sono pochissimi: dopo la cancellazione di Palermo ci sarà solo il Foro [Internazionali d’Italia a Roma] e dopo il Foro c’è solo un torneo da $50.000 e poi più niente, solo qualche  $25.000. Tornei che comunque faticano tanto, perché l’organizzazione deve cercare molti sponsor soprattutto tra i negozi e le industrie cittadine e visto il periodo non è facile, e perché la Federazione aiuta molto poco. È una situazione pesante per tutti”

In aggiunta al numero di tornei sempre più esiguo, anche la poca varietà nelle superfici spinge alcune ragazze a giocare all’estero, dove cemento e sintetico sono più diffusi. Negli ultimi anni la FIT ha lanciato il progetto campi veloci, ma questo è ancora lontano dal raggiungere i risultati sperati.

“I tornei in Italia sono tutti sulla terra, tutti ma proprio tutti. [Nel circuito] la maggior parte dei tornei sono sul veloce, ma noi siamo e rimaniamo un paese di terraioli. È importante saper giocare su tutte le superfici, quindi penso [che questo progetto] sia giusto, ma essendo poi i tornei sulla terra, si cerca di allenarsi lì. Io penso di essere una delle poche se non l’unica a giocare in un circolo dove ci sono campi solo sul veloce o sul playit. Sono un po’ atipica.”

In aggiunta alle difficoltà economiche, il minor numero di tornei rallenta le possibilità di trovare spazio in tornei dal montepremi più cospicuo e quindi di migliorare il proprio ranking.

“Io mi ricordo che quando cercavo di fare le qualificazioni dei $25.000 giravo tantissimo, andando anche a fare i tornei in Spagna oltre a quelli che c’erano in Italia. I tabelloni delle qualificazioni erano a 64 o 128 e si aveva la certezza di entrare. Ora le ragazzine che stanno attorno alla 500esima-700esima posizione non provano nemmeno ad organizzarsi per andare a fare queste qualificazioni e la stessa cosa i ragazzi.”

Non tutto, per fortuna, è peggiorato negli anni. Sempre più località turistiche hanno iniziato ad organizzare serie consecutive di tornei nella stessa location, aiutando i giocatori nell’ammortizzare almeno i costi di trasporto e soggiorno.

“Ora ci sono questi tornei come a Sharm El Sheikh, Antalya o Lanzarote che si svolgono nei villaggi [turistici] ed è più facile organizzarsi e stare là.”

Le ho quindi chiesto se crede che l’alta competitività dei field in Europa sia un ostacolo maggiore per le giocatrici emergenti, più di quanto non lo sia in Asia e Australia, dove invece da sempre c’è minor competizione. Giulia però non è completamente d’accordo:

“Rispetto a tanti anni fa si gira molto di più, ma ovviamente se un’europea vede tornei a lei vicini cerca di restare in Europa. Sicuramente [la differenza del livello del player field tra Europa e Asia o Australia] penalizza le europee, perché si ritorna al discorso dei costi: quanto tempo restare là, quali tornei giocare, con chi andare. Bisogna pianificare molto bene.”

Poi ovviamente c’è chi se lo può permettere, oppure fa anche scelte di altro tipo:

“Se si vuole provare a fare un’esperienza al di fuori, si può ad esempio andare in America ad inizio anno o in Asia quando ce ne sono due o tre vicini, ma se non si è mai andati e non si conosce, spesso si preferisce restare in Europa.”

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