Stéphane Houdet si racconta…

Intervista di Gianfilippo Maiga

Stéphane Houdet è il numero 1 al mondo del tennis in carrozzina. Veterinario e gran tennista, la sua carriera come normodotato è stata stroncata da un incidente di moto che gli ha tolto l’uso di una gamba, rendendogliela completamente rigida. Stéphane è però un numero 1. I numeri 1 si riconoscono anche e soprattutto per il coraggio che sanno dimostrare nei momenti di difficoltà e Stéphane non è certo stato da meno. Non si è pianto addosso. Non si è perso d’animo, anzi. Non solo non ha rinunciato allo sport, ma ha compiuto un gesto eccezionale, di fronte al quale chiunque di noi probabilmente  avrebbe vacillato, per umanissima paura, per istinto di conservazione: si è fatto amputare la gamba offesa, perché percepiva il suo handicap come un limite di cui liberarsi, come un ostacolo da sorpassare. Potenzialmente grande golfista, Houdet (rappresentato dal manager italiano Fabrizio Caldarone) ha scelto di essere un grandissimo tennista. In questo  momento sta disputando le Olimpiadi 2012 ed è giunto vittoriosamente ai quarti del torneo.

Com’è avvenuto il passaggio al tennis “wheelchair”?
Non conoscevo il tennis in carrozzina. Sono però uno sportivo e, dopo il mio incidente, non ho rinunciato allo sport. La mia scelta era caduta sul golf, inizialmente. Avevo però una gamba rigida, che mi causava non pochi problemi di mobilità. L’incontro con un giocatore di golf che usava una protesi  è stato decisivo. Ho preso allora spontaneamente la decisione di farmi amputare una gamba, perché mi rendevo conto che, dopo 8 anni, la mia gamba era un vero e proprio peso morto e che con una protesi sarei stato molto più libero di muovermi. Un secondo incontro “fatale” è stato con un altro giocatore nelle mie condizioni, con il quale avevamo il progetto di lanciare il golf per portatori di handicap a livello mondiale. Un’organizzazione molto più avanti su questa strada era quella del tennis in carrozzina e qui è nato il mio rapporto con questo sport. Quando nel 2005 ho saputo che ci sarebbero state le Olimpiadi a Londra nel 2012 e che il tennis, a differenza del golf, sarebbe stato sport olimpico, ho scelto il tennis, che peraltro mi entusiasma.

Qual è tecnicamente parlando, la cosa più difficile nel t.w. e in che modo lo confronteresti  con il tennis in piedi? Le differenze non sono poche. Nel tennis che tutti conosciamo gli occhi sono sempre puntati sulla palla, mentre nel tennis in carrozzina occorre fare i conti con il nostro mezzo di locomozione. Qui stanno le difficoltà maggiori. La carrozzino non si sposta da sinistra a destra e quindi occorre “pivotare” sovente per cambiare lato: ci si trova quindi spesso con la schiena alla palla, una  situazione che non si presenta nel tennis tradizionale. Inoltre, occorre essere sempre in movimento, perché se la carrozzina si ferma è poi pesante da rimettere in moto.  L’uso della carrozzina rende quindi particolarmente duro questo sport. Anche nei colpi ci sono differenze significative, sebbene naturalmente i gesti siano analoghi a quelli del tennis “in piedi”. Si pensi che per poter colpire la palla lateralmente, cosa necessaria per avere la corretta distanza dalla palla stessa, nel dritto e nel rovescio si usa  lo stesso lato della racchetta, un po’ come faceva Berasategui, per citare un giocatore a suo tempo famoso. Negli scambi è infine importante trovare angoli, per impedire all’avversario di arrivare comodamente sulla palla.

 

Com’è organizzato il circuito Wheelchair?
Ci sono molte similitudini con il circuito ATP. Abbiamo i tornei del Grande Slam, i tornei della Super Serie (un po’ come i Masters 1000), un Master e tornei ITF di grado 1, 2 e 3. Ci sono 700 professionisti che girano i tornei, ma molti più praticanti. Possono partecipare tutti coloro che non possono correre per ragioni mediche. Il nostro ambiente, come tutti gli ambienti sportivi, è di amici e avversari. C`è chi tra noi non ha superato il suo handicap e porta con se un forte spirito di rivalsa, ma sono una minoranza: la maggior parte – e certamente i migliori –  sono veri sportivi, non handicappati che fanno sport per dimostrare qualcosa.

Come avviene la preparazione per il tennis in carrozzina?
Le analogie con il tennis professionale di tipo tradizionale sono notevoli. La giornata-tipo di allenamento prevede 2-3 ore di tennis e la preparazione fisica. Una componente essenziale è l’allenamento tecnico con la carrozzina: gli esercizi comprendono lo slalom, l’accelerazione e lo spostamento.

Come ci si può avviare al tennis in carrozzina e quali sono i costi?
Esistono in alcuni paesi scuole di tennis wheelchair, anche se a mio parere conta molto di più avere una buona guida dotata di passione e di voglia di insegnare. Un aiuto viene dalle Federazioni locali e dalle Associazioni, più che dagli sponsor, che si interessano naturalmente di più alle punte di eccellenza. Un aiuto riguarda quasi sempre l’acquisto della carrozzina, ma non solo. Una organizzazione che fa molto per i praticanti è l’associazione sudafricana, fra le più attive.

Cosa ti dispiace di più per quanto riguarda il tuo sport?
Ci sono due aspetti su cui insisto da tempo: vorrei che il tennis in carrozzina diventasse uno sport aperto a tutti, non solo a chi ha problemi medici e fisici. Il mio sogno è che chiunque voglia misurarsi con le numerose difficoltà tecniche di questo sport possa farlo. Il secondo è in realtà un messaggio che lancio agli sponsor. Avvicinarsi al nostro sport – e intendo non solo alle punte – significa dare di sé una bella immagine, quindi invito gli sponsor a prendere coscienza maggiore della nostra realtà e ad avvicinarcisi.

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