Eugenie Bouchard, fu o sarà vera gloria?

Eugenie Bouchard
di Alberto Cambieri

Spesso si dice che il potenziale di un campione si vede non nell’anno dell’exploit ma in quello successivo, ossia quello in cui si è attesi a confermare le ottime sensazioni della stagione precedente. Non sempre è così, ma non c’è dubbio che “la sindrome dell’anno dopo” abbia colpito Eugenie Bouchard: dopo un 2014 da incorniciare, condito da una finale e due semifinali Slam, dal primo titolo WTA a Norimberga e l’ingresso in top 5, il 2015 è stato il suo annus horribilis. I quarti a Melbourne persi nettamente contro la Sharapova avevano fatto ben sperare per il proseguo della stagione, ma da lì in poi il suo anno tennistico è stato un disastro: una sconfitta dopo l’altra, avversarie che non vedevano l’ora di incontrarla sapendo che ormai era entrata in una spirale tale da farla partire sfiduciata contro qualunque avversaria e cambiamenti di coach che non sono sembrati per nulla sortire gli effetti desiderati. Come se non bastasse, proprio quando pareva dare segnali di ripresa, agli UsOpen è stata protagonista della “famosa” caduta negli spogliatoi che ha compromesso il suo finale di stagione e aperto una diatriba non ancora conclusa con la USTA, ma questa è un’altra storia. Si è così presentata al debutto della nuova stagione con pochissime certezze e molti dubbi, nonché con il peso di dover difendere subito i punti dei quarti degli Australian Open: non ce l’ha fatta, è uscita addirittura dalle prime 50 ma non per forza questo è stato un male per la tennista di Montréal. Ha imparato in fretta che la popolarità e il numero di fans possono esplodere all’improvviso, ma anche ritorcerti contro non appena le cose vanno male. Poco prima di Wimbledon 2015, in cui difendeva la finale dell’anno prima persa nettamente contro la Kvitova ma in cui si è arresa subito in due set al primo turno alla semi-sconosciuta cinese Duan, rilasciò un’intervista in cui lei stessa sottolineava come, non appena le sconfitte era iniziate a diventare sempre più frequenti e deludenti, gli haters non si erano fatti attendere. Questo capita specialmente se non sei solo una tennista, ma una anche e soprattutto una celebrità internazionale del mondo dello sport che fa notizia non solo per i risultati sul campo (positivi o negativi). Non c’è dubbio che il 2015 sia stato un anno in cui la tennista del Quebec ha imparato tanto, fuori e dentro il campo e quegli insegnamenti possono rivelarsi preziosissimi per la stagione 2016 che sta entrando nel vivo.

Si è presentata così s Shenzhen senza troppe aspettative, visto soprattutto il lungo stop di fine 2015: primo turno insidioso vinto sul filo di lana contro l’eterna incompiuta Donna Vekic e poi comoda vittoria sulla statunitense Gibbs. La sconfitta ai quarti contro una convincente Babos l’ha comunque vista uscire ottimista per il proseguo della stagione; il torneo di Hobart ha infatti confermato le buone sensazioni della prima settimana dell’anno. Nettissima vittoria al primo turno contro la Mattek-Sands, giocatrice da cui era uscita sempre battuta nei due precedenti, nonostante si fossero giocati nel suo anno di gloria, il 2014, convincente successo contro la Van Uytvanck, con tanto di super punto vinto per mettere a segno il break decisivo a fine secondo set, e ottimo match nei quarti contro la nostra Giorgi. Il sesto gioco del secondo set contro l’italiana è stato esaltante per la tennista canadese classe 1994: sotto 40-0 sul servizio dell’azzurra, ha messo a segno un parziale di cinque punti di fila spettacolare, condito da vincenti da ogni lato del campo contro una giocatrice che non è solita a lasciare troppo spazio e tempo alle sue avversarie per dettare il gioco. Il primo set della semifinale contro la Cibulkova ha seguito la falsariga di quel sesto game: parziale devastante vinto contro la slovacca, prima di un naturale calo che non le ha però impedito di imporsi in tre set e guadagnare la finale del torneo australiano di Hobart, persa in malo modo contro la Cornet. Si è comunque presentata a Melbourne con buone sensazioni, uscendo vincitrice in due set contro l’insidiosa Krunic al primo turno prima di incappare in un pessimo sorteggio: contro la futura semifinalista e quarta testa di serie Agnieszka Radwanska ha sì perso in due set, ma ha mostrato, specialmente nel primo set, di essere ancora (o di nuovo?) capace di esprimere un livello di gioco non così lontano da quello delle migliori. Ha sì perso, specialmente a causa della capacità della polacca di giocare i punti importanti meglio della tennista del Quebec, ma non ha di sicuro demeritato. Il torneo di Doha ci ha offerto una giocatrice il cui livello di gioco non è assolutamente ancora lo stesso che le permise di arrivare in finale a Wimbledon nel 2014, ma ha se non altro mostrato la capacità della canadese di lottare durante il corso di tutto il match e di vincere soprattutto “di testa”. E’ proprio quella ritrovata forza mentale, che sembrava permetterle di rendere al meglio negli eventi più importanti nel 2014 ma che pareva averla del tutto abbandonata nel 2015 (quando si scioglieva puntualmente nel momento in cui si trovava a giocare i punti più delicati del match), che risulta essere la nota più positiva del suo 2016 fino ad ora. I due match point annullati alla Sevastova (contro la quale era sotto 5 a 2 nel terzo prima di imporsi al tie-break decisivo) e la vittoria in due lottatissimi parziali contro la tignosa Allertova al secondo turno ci hanno mostrato una Bouchard che ad oggi non vale ancora le top 20, ma che di sicuro ha voglia di lavorare per tornare ad essere quella del 2014. La sconfitta al terzo turno contro la sorpresa Zheng ha un po’ deluso, ma forse meglio per ‘Genie’ essere protagonista di una risalita lenta ma consapevole piuttosto che di una scalata rapida verso la top 10 come quella del 2014, in cui ebbe a malapena il tempo di capire l’importanza e la ragione dei suoi (tanti) successi, tra un intervista, un torneo dello Slam, un servizio fotografico e l’altro.

E’ proprio da un’attenzione rivolta a capire la ragione dietro a ogni successo (ma anche ogni sconfitta), da un approccio più disteso ai match e anche da una maggior umiltà in campo e fuori che la Bouchard può ripartire per una rincorsa alle migliori: la strada pare essere ancora lunga, ma rispetto ad altre giovani tenniste lei l’ha già percorsa e questo non può che rappresentare un gran vantaggio. Se inoltre le sue avversarie torneranno a temerla piuttosto che a volerla affrontare, la sua fame di vittorie potrà tradursi ancora più facilmente in successi sul campo. Non pare infatti essere un bluff (anche perché sono pochi i bluff che hanno raggiunto una finale Slam e la top 5 WTA), ma possono esserci dubbi sul suo reale valore: tanti, fin dal 2013, sua prima vera stagione completa sul tour, hanno manifestato dubbi riguardo al suo reale livello e pochi pensavano potesse arrivare davvero in top 10. Tuttavia ha già dimostrato di poterci arrivare, di poter lottare alla pari con le migliori facendo leva su un gioco molto costruito ma efficace e soprattutto su una forza mentale da fare invidia a quasi tutte le colleghe. Chiudere la stagione in top 20 o top 15 potrebbe già essere un successo ed è un obiettivo che può raggiungere, ma non c’è dubbio che la canadese aspiri a molto di più. Non c’è allora sfida più interessante per lei stessa e per noi appassionati di tennis del vedere di cosa sarà capace l’orgoglio ferito di un’aspirante campionessa Slam: gli haters e i fan vanno e vengono, ma la tigna e la voglia di arrivare in alto, nonostante le batoste dello scorso anno, restano ben salde nello spirito della tennista di Montreal. Non rapirà tutti gli appassionati per simpatia, ma si vincono i match e i tornei che contano con i colpi e la capacità di giocare bene i punti importanti, no?

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