Trentacinque anni e una vita passata in giro per il mondo a giocare a tennis con l’obiettivo di centrare grandi vittorie e arrivare tra i primi 100 almeno una volta. Marco Trungelliti quella top 100 non l’ha mai raggiunta, semmai solo sfiorata nel marzo del 2019 quando si arrampicò fino alla 112^ posizione del ranking mondiale, eppure quel sogno lo culla ancora. Lo ha racconta in un’intervista concessa a Punto de Break nella quale ripercorre le tappe principali e i maggiori momenti di difficoltà vissuti in carriera.
LA SCINTILLA DELLA COMPETIZIONE
Dalle parole del tennista argentino appare subito chiaro il motivo principale che lo spinge a scendere in campo: “Ho trascorso tutta la vita giocando a tennis, l’unica differenza è che adesso lo faccio con maggiore consapevolezza – racconta Trungelliti – Ammetto però di avere più passione per la competizione che per il tennis in sé. Se mi iscrivo a un torneo è perché penso di poterlo vincere, ma ciò che mi importa di più è essere competitivo e sapere di aver dato tutto ogni volta che esco dal campo”.
IL RAPPORTO CON LA SCONFITTA
Il tennis, si sa, è uno sport che costringe costantemente i giocatori a rapportarsi con la sconfitta. Trungelliti mostra come col passare del tempo questo rapporto sia migliorato: “Credo di aver capito come convivere con le sconfitte solo tre anni fa, ora sono maturato. Perdere un’opportunità importante mi lasciava abbattuto per un mese.
Quando ho subito la sconfitta contro Pablo Llamas nell’ultimo turno di qualificazioni degli US Open mi sono reso conto di aver perso una grande occasione ma, rispetto al passato, sono riuscito ad analizzare quella sconfitta ed essere in campo per allenarmi solamente tre giorni più tardi.
Quando ho conosciuto mia moglie ho iniziato a trovare la pace e quando è nato mio figlio ho iniziato a guardare le cose da un’altra prospettiva perché vedevo lui come la cosa più importante di tutte. Mi piace l’idea che possa andare al circolo e vedere suo papà che gioca”.
LE DIFFICOLTÁ ECONOMICHE
E le sconfitte spesso vengono accompagnate dalle difficoltà economiche: “Quando ho vinto il mio primo Challenger a Barletta avevo zero euro sul mio conto corrente – confida Trungelliti – Sarebbe bello per tutti poter avere accesso a delle risorse economiche: se sei un top 100 puoi, sotto quel livello è tutto più difficile.
La PTPA sta provando a cambiare le cose in tal senso ma il fatto è che spesso a certi livelli si gioca per sopravvivenza e fino a che non cambieranno le cose in molti saranno costretti a soffrire questa situazione. Credo che un numero 150 del mondo, quindi facente parte dell’élite se rapportato a ogni professione, non debba accontentarsi di sopravvivere”.
L’IPOTESI RITIRO E I SOGNI FUTURI
Un misto tra consapevolezza e speranza di poter ancora raggiungere grandi traguardi sembra essere l’atteggiamento di Trungelliti immaginando il proprio ritiro dal tennis giocato: “Sono stato più volte sul punto di smettere perché mi sentivo stanco dentro. Quando vivevo in Argentina le stagioni mi sembravano lunghissime e invidiavo molto i giocatori europei che riuscivano più facilmente a tornare a casa.
Adesso so che il mio ritiro dipenderà da una semplice questione biologica, ma non sarei contento se dovessi ritirarmi adesso. Questa voglia mi aiuta a mantenere viva la fiamma. Penso a Marin Cilic e Andrej Martin come due esempi da seguire. Cerco inoltre di mantenere il mio corpo con la fisioterapia sperando che possa aiutarmi a sbloccare il mio massimo livello”.
Infine, gli è stato chiesto se preferirebbe vincere un match in un Masters 1000, uno sui campi in erba o battere un top 5. Il tennista argentino risponde così: “Sicuramente battere un top 5 sarebbe memorabile, meglio ancora se fosse il numero 1 e in uno Slam perché se lo fai al meglio dei cinque set dimostri il tuo livello di competitività”.