“Non possiamo perdere per questo Paese”. Flavio Cobolli l’ha riassunta con la schiettezza e la lucidità di chi ha in testa un sogno sin da bambino, ma l’eroe di questa Coppa Davis è solo un esempio di quanto l’atmosfera particolare di Bologna sia stata evidente. La ‘nuova’ Coppa del Mondo di tennis, riproposta ormai da qualche anno in un formato condensato in una settimana denominato Final Eight, ha incontrato ben pochi sostenitori tra capitani e giocatori. Nonostante questo l’ITF (che dal 2026, sempre nel nome della modernità, si chiamerà World Tennis) ha già ribadito che per il momento non si torna indietro. Ma la famosa “atmosfera da Davis” si è percepita nella prima fase finale organizzata in territorio italiano?
EMOZIONI DA DAVIS
Quando dopo la sconfitta in semifinale il Belgio di Steve Darcis si reca dal Campo Centrale di Bologna Fiere alla sala conferenze, i volti dei ragazzi dicono tutto. Soltanto qualche ora prima, Raphael Collignon aveva raccontato le sue emozioni alla stampa: “Non mi sono goduto la partita. L’atmosfera che il pubblico ha creato mi ha sopraffatto, e non sono riuscito a reagire”.
Il ragazzo è scosso, sia per la sconfitta che gli ha appena rifilato Matteo Berrettini sia per le sensazioni vissute, ma forse il suo connazionale Zizou Bergs sta ancora peggio. Ha lottato e spaventato Flavio Cobolli, che alla fine ha sfruttato l’energia degli spalti per metterlo k.o. dopo oltre tre ore di incontro. Ha gli occhi lucidi e ammette: “Se questa fosse stata una partita del circuito ATP non l’avremmo mai vissuta in questo modo, gli spettatori hanno fatto la differenza”. 14 match point per decidere un incontro, che non è stato l’unico pieno di pathos.
A questa lista è quasi superfluo aggiungere il secondo singolare della finale tra Italia e Spagna, già nella storia, con una crescita progressiva di “Cobo” spinto da 10.500 italiani che volevano quanto lui che la coppa rimanesse a casa. L’atmosfera di questa settimana a Bologna è stata unica e ha inciso sullo svolgimento delle partite, intaccando lo stato d’animo dei giocatori e dando energie a chi non pensava di averne più o probabilmente non ne aveva proprio. “A Malaga pensavamo di giocare in casa, ma disputando la competizione in Italia ci siamo resi conto della differenza”, ha chiosato il capitano azzurro Volandri. Chi dice che l’energia della Coppa Davis sia svanita ha già la risposta dagli stessi protagonisti.
Visualizza questo post su Instagram
SERVE UN COMPROMESSO
Il problema annoso della questione è che l’Italia è stata praticamente l’unica nazionale a beneficiare di uno spostamento degli equilibri portato dal tifo. Tra le altre squadre, sicuramente Spagna e Repubblica Ceca (come raccontato dallo stesso presidente della Federtennis Angelo Binaghi) hanno avuto una buona rappresentanza di sostenitori, comunque imparagonabile rispetto alla muraglia azzurra. E qui si torna al punto di partenza: che partite sarebbe stata Munar-Cobolli a Valencia? L’Argentina avrebbe trovato un guizzo in più se il doppio decisivo giocato contro la Germania da Molteni/Zeballos contro Krawietz/Puetz si fosse disputato a Buenos Aires?
Domande a cui non avremo risposta, perché la competizione è già in archivio. Resta il dubbio e il ricordo di una Davis che ha cambiato vestito provando ad adattarsi ai tempi che corrono, offrendoci un surrogato di una competizione, questo va detto, di una kermesse che era fuori dal tempo. Accontentare tutti è difficile, perché ogni parte coinvolta ha i propri interessi: questa volta a divertirsi sono stati soprattutto gli spettatori italiani, che si sono goduti un’impresa tra le mura amiche. Ma per evitare altre rinunce e ritrovare il lustro di un tempo, sarà necessario un compromesso non facile da trovare.