Andy, siamo alla frutta?

di Sergio Pastena

Era nell’aria, viste le prestazioni disastrose nella World Team Cup, ma l’eliminazione al primo turno di Andy Roddick al Roland Garros ha lo stesso un sapore triste.

L’americano ha perso in quattro set da Nicolas Mahut, col punteggio di 6-3 6-3 4-6 6-3, firmando una delle sue peggiori performance di sempre a Parigi. E’ la quinta volta che A-Rod esce al primo turno nello slam francese, nel quale ha raggiunto al massimo gli ottavi: nel 2002 fu battuto in cinque set da Arthurs; nel 2003, il suo anno d’oro, fu eliminato da Sargsian; nel 2006 era mezzo infortunato e si ritirò contro Beto Martin dopo due set; nel 2007 fu Andreev a fermarlo, in quattro parziali. Insomma, le delusioni sul rosso francese sono una routine per Roddick.

Non è mai stato un terraiolo, si dirà. Vero, eppure qualcosa sul rosso lo ha combinato: oltre agli ottavi in Francia vanta due semifinali a Roma e quattro titoli Atp (tre a Houston, uno a St.Polten). Il problema, però, è che Roddick oggi giocava contro Mahut, uno ancora meno terraiolo di lui. Tanto per dire, Arthurs non era certo un amante del rosso ma vantava comunque gli ottavi al Roland Garros e a Monte Carlo. Sargsian sulla terra se la cavava, Andreev ci ha vinto due tornei e disputato cinque finali. In quanto a Beto Martin… era un terraiolo duro e puro.

Per immaginare cosa sia Mahut sul mattone tritato, invece, basta un paragone: lui sta alla terra battuta come Volandri sta all’erba. In dodici anni il francese aveva giocato la miseria di 26 match sul rosso con un desolante bilancio di 6-20 e un quarto di finale abbastanza casuale a Casablanca. Al Roland Garros era fermo a un disastroso 1-9 con l’unica vittoria contro uno Zverev in crisi nera. Mahut, insomma, va sul rosso solo quando non ci sono alternative e predilige i Challenger, dove ha qualche possibilità di fare punti. A Roma è stato avvistato solo nel 2008, quando patì le pene dell’inferno per passare un turno contro l’allora 19enne Fabbiano (Tommy, va detto, giocò una gran partita).

Ecco, Roddick ha perso contro di lui e per giunta in maniera netta.

Il giochetto di fare il funerale ad A-Rod è inflazionato: da anni lui si diverte a smentire le civette mettendo a segno straordinari exploit come la finale di Wimbledon del 2009. Personalmente ci sono sempre andato cauto, ma dopo le ultime prestazioni mi sento di dire che Roddick sembra avviato verso il declino. E’ vero,  appena due mesi fa ha fatto secco Federer, ma chi ha visto quella partita ricorderà come A-Rod sfiorò la perfezione: break-point annullati, l’unico break capitalizzato al meglio, tutti i punti decisivi vinti, una resistenza stoica. Insomma, una prestazione difficilmente ripetibile, tant’è che Roddick venne sbattuto fuori da Monaco nel turno successivo.

La partita con Mahut ha confermato certe sensazioni e mi ha messo più che altro tristezza. Sì, tristezza. Perché è triste vedere un servizio depotenziato perché la spalla non gira più al meglio dopo un decennio passato a roteare: i games alla battuta vinti sono crollati in due anni dal 91% al 79%. E’ triste anche vedere Roddick sparare tre diritti a campo aperto per chiudere un punto, perché quelle palle che prima l’avversario toccava solo con la punta della racchetta ora vengono spesso respinte in maniera decente. E’ triste, in generale, vedere un atleta del suo calibro caricarsi a mille per un set vinto contro un tennista erbivoro che fino a quel momento lo aveva dominato.

L’esultanza, se vogliamo, è anche un bel segnale: Roddick mentalmente c’è, ci crede, è vivo. E’ il fisico, però, che non sembra più rispondere come una volta, e quando le tue armi fondamentali sono servizio e diritto è difficile assorbire l’usura del tempo. Roddick non è poi tanto vecchio: ha quasi trent’anni, anche se i precoci trionfi di inizio millennio fanno pensare a lui come ad un Matusalemme della racchetta. Trent’anni, però, per uno che gioca come lui non sono neanche pochi.

Sarei lieto di sbagliarmi, per quanto abbia sempre ritenuto il gioco di Roddick diametralmente opposto a quello che intendo per “spettacolo”: ne sarei lieto perché all’americano va riconosciuta la voglia continua di migliorarsi, una grande correttezza dentro e fuori dal campo e la capacità di essere un personaggio che, con tutti i possibili limiti tecnici, fa bene allo show. In fondo, se ogni tanto il Chelsea non vincesse la Champions, le vittorie del Barcellona diventerebbero banali. Purtroppo, però, la mia idea è che i due Slam estivi possano riservare poche soddisfazioni all’americano, sia l’amata-odiata erba di Wimbledon sia il cemento americano dove nel 2011 A-Rod mise in scena la sua ennesima resurrezione raggiungendo i quarti di finale.

Per il resto, che dire, ognuno fa le sue scelte di vita: da appassionato, però, mi auguro che Roddick capisca se e quando è il momento di staccare la spina. Già guardarlo contro Mahut è stato triste, lo sarebbe ancora di più vederlo girovagare per i 250 perdendo dai carneadi, raccattando wild card e professando fiducia nel futuro per non pensare al presente. Sarebbe un finale immeritato per un pezzo di storia del tennis.

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