Come Eravamo

Riccardo Piatti
di Roberto Commentucci
In 3 anni il nostro movimento maschile è passato da una quasi esplosione a una crisi profonda. Sentimenti e tormenti di un tifoso viscerale.
Stasera, in questa vigilia di Davis tormentata e malinconica, mi sento di condividere con voi un pò di pensieri e di stati d’animo che mi friggono dentro da un pò di tempo.
Ricordo spesso quando, quasi 3 anni fa, iniziai a scrivere di tennis, su questo sito, su tennisteen, sul blog di Ubaldo.
Sembrava – mi illudevo – che il tennis italiano, dopo tanti anni di disgrazie, fosse in procinto di vivere una nuova primavera.
Avevamo due tennisti monosuperficie (Volandri e Starace) all’apice della loro carriera, che nonostante i loro limiti erano arrivati nei primi 30.
Avevamo 3 veterani (Sanguinetti, Bracciali e Di Mauro) ancora competitivi e ben dentro i primi 100 del mondo.
Ma soprattutto, subito dietro avevamo 3 giovani (Seppi, Bolelli e Fognini) che sembravano in prospettiva più completi, più determinati, meglio programmati, e quindi destinati ad arrivare ancora più su. Seppino – ricordate ? –  che batteva Hewitt a casa sua, a Sydney; Fognini che, implume diciassettenne, grinta belluina, sconfiggeva Djokovic nella magnifica corrida del Foro; Bolelli che toglieva un set a Verdasco sul Pietrangeli e arrivava al terzo turno a Miami.
Ci facevano sognare, ‘sti ragazzi, e su tutte le superfici.
Avevamo poi, finalmente, 3 juniores promettenti a Tirrenia, dove sotto la guida di Furlan, maturava il Tro Primavera: Trevisan, Fabbiano e Lopez, prodotti del nuovo settore tecnico federale. Sembravano in grado di assicurare a breve un ricambio di buon livello, con i loro ottimi piazzamenti negli slam juniores.
Infine, si iniziava a parlare, nei ristretti ambiti dei tifosi più accesi, di due giovanissimi marchigiani dalle qualità enormi, allenati nientemeno che da Nick Bollettieri: Giacomo Miccini, allora 15enne, e Gianluigi Quinzi, un piccolo fenomeno di undici anni.
Su tutto, vigilava lo sguardo attento di Riccardo Piatti, a garantire la bontà delle scelte federali e a corroborare le speranze di rilancio.
A distanza di tre anni, tutto intorno a noi sembra essere crollato.
Dado Sanguinetti, vecchio leone, ha gettato la spugna, carico di gloria e di acciacchi. Bracciali e Di Mauro, tra infortuni e squalifiche per scommesse, galleggiano nei tornei minori.
Volandri e Starace sono logori e appassiti, stanchi di remare e impigriti dai soldi facili della serie A.
Ma soprattutto, si è capito che quel luccichìo che si intravedeva non era oro. Seppi ha forse già toccato il suo zenit; Bolelli, forse il più dotato di tutti, si è infilato in un tunnel tenebroso; e la maturazione di Fognini si è rivelata più lenta e difficile del previsto.
Più indietro, poi, è addirittura il dramma, il deserto.
Fabbiano volenteroso ma leggero, Trevisan ammalato e immaturo, Lopez muscolare e sopravvalutato. E ancora, i più giovani, i ’90 e i ’91, i Della Tommasina, i Giannessi, i Bortolotti, che proprio, poverini, non paiono in possesso delle armi adeguate per emergere. Il bilancio di Tirrenia si fa drammatico, e foriero di polemiche con i coach privati.
Più indietro, l’anca di Miccini fa crack, e i suoi coetanei, i Tomic, i Bhambri e gli Harrison, mettono la freccia,  imboccano l’autostrada che porta nel circuito maggiore. Loro arriveranno sicuramente, mentre il nostro è ancora un grosso punto interrogativo, appeso al … filo di Rianna. Nel frattempo, il migliore dei ’92 di Tirrenia, Federico Gaio, al Bonfiglio mostra accecanti lampi di talento, ma anche una discontinuità di rendimento disperante. E il valzer dei coach federali non lo aiuta.
A livello più alto, dopo il naufragio di Dubrovnik, che lascia nel gruppo scorie velenose, Barazzutti non riesce più a tenere insieme la squadra di Davis, e i nostri tennisti di punta iniziano a sbandare. Ciascuno pensa a se stesso, tra scelte sbagliate, rancori reciproci, delusioni, matrimoni e cambi di allenatore. E sconfitte, sconfitte, sconfitte e ancora sconfitte.
Piatti in FIT non c’è più, se ne è andato in punta di piedi, senza sbattere la porta, senza tagliare i ponti, ma lasciando comunque nel settore tecnico un vuoto grande come un buco nero, che pare stia aspirando tutto il movimento in una spirale di buio e distruzione.
Eppure io sono ancora qua, davanti ad un pc, ansioso e pieno di speranza.
Tra un’ora inizia il match di Sara Errani, in diretta streaming da Monterrey, Mexico. Secondo turno di un torneo Wta di fascia bassa, contro la piccola slovacca Dominika Cibulkova. Non un match memorabile. Ma io so già che non perderò una palla.
“…The Passion…”
Perché per quanto le cose possano andare male, bisogna sempre tenere a mente il caro Bob Dylan:
“Essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro.”
Forza, ragazzi. Nonostante tutto, sarò sempre con voi.

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