Simone Vagnozzi: “Sinner e le variazioni? Deve migliorarsi per non essere prevedibile, ma non significa diventare tennista da serve and volley”

Redazione
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Simone Vagnozzi e Jannik Sinner a Pechino - Photo Courtesy of China Open

“In campo, l’impegno e la serietà che metto con Jannik sono identici a quelli che ho riservato a ogni mio giocatore. Poi, certo, più sali di livello e più sono i dettagli a fare la differenza. La bravura sta nel capirli. Fuori sicuramente abbiamo gli occhi di più persone addosso e, al minimo errore, vieni giudicato. Ma per me, il fatto che qualcuno abbia da ridire quando perde in finale non fa che innalzare il valore dei suoi risultati straordinari”. Simone Vagnozzi si è raccontato in esclusiva al Corriere dello Sport dopo il successo nell’ATP 500 di Pechino, con uno sguardo al recente passato, al presente e ovviamente al futuro.

Il coach marchigiano, intervistato da Lorenzo Ercoli, è partito dalla finale persa agli US Open. “La sconfitta di New York a mio parere non è così sorprendente. In quel momento Carlos stava psicologicamente, fisicamente e tennisticamente meglio di Jannik. Però non dobbiamo dimenticarci che anche lui ha vissuto cinque mesi di difficoltà, e pensare che oggi si prova a far passare Jannik come un giocatore in crisi in un anno in cui ha vinto 2 Slam e fa finale tutte le settimane. Lui sta facendo cose straordinarie. Poi, come tutti, vogliamo sempre migliorarci”. Si è parlato molto degli accorgimenti tattici che Sinner sta cercando di inserire nel proprio tennis, così come le variazioni. Vagnozzi ha cercato di spiegare il lavoro del team. “A volte mi sorprendo di quanto si parli di determinate cose. In alcuni momenti delle cose funzionano, in altri meno, Negli Stati Uniti Jannik non ha servito benissimo e abbiamo preso degli accorgimenti: il movimento è cambiato un giorno prima di arrivare in Cina. I primi giorni a Pechino si è adattato e poi ha servito molto bene. Poi nel gioco è chiaro vada inserito sempre qualcosa di nuovo, se no diventiamo prevedibili. Questo non significa che Sinner debba diventare un tennista da serve and volley. Ci sono smorzate e slice, ma anche altre variazioni, che si tratti di prendere prima un lungolinea, rispondere più aggressivo, giocare un kick o andare al corpo. È semplicemente migliorarsi, non ci trovo nulla di sorprendente. Il nostro lavoro (tattico; ndr) si concentra più sul prima. Poi possono esserci momenti di difficoltà in cui diciamo qualcosa per permettere a Jan di vedere il match con un’altra prospettiva, ma di base lui conosce già le sue opzioni. Faccio un esempio: in finale con Tien, sul 2-2, gli ho chiesto se volesse arretrare in risposta. Mi ha detto ‘fammi provare ancora un gioco avanti’, e ha brekkato. È giusto che lui segua le sue sensazioni. Poi, a Cincinnati con Mannarino, gli abbiamo dato lo stesso consiglio: lo ha seguito e anche lì ha fatto break. Quindi non c’è una regola fissa”.

In Italia, e non solo, si parlo tanto di chi potrebbe diventare il famoso terzo incomodo tra Sinner e Alcaraz; ciò che, in passato, Djokovic ha rappresentato per Federer e Nadal. “Sono tanti ad avere il potenziale, anche Tien lo ha – ha spiegato ‘Vagno’ -. Ovviamente c’è Fonseca, anche se a me piace molto Mensik. Se non dovesse avere problemi fisici, è uno che può crescere tanto. Poi ci sono fattori intangibili. Pensiamo a Jannik: ora tutti fanno passare per normali le sue vittorie. Quando ho iniziato a lavorare con lui, tanta gente del mondo del tennis diceva che Rune era molto più avanti”. Su Musetti: “In campo sta facendo qualcosa di diverso e ha vissuto un’ottima stagione. Il talento c’è, e sulla terra credo siano già tre anni che è pronto per poter fare un grandissimo risultato. Sull’erba aveva già fatto bene, e ora è in crescita sul cemento. Il potenziale lo ha”.

Qual è il sogno di Vagnozzi da coach? “Quest’anno l’obiettivo era vincere Wimbledon e ci siamo riusciti. Spero di continuare il più possibile con Jannik, vediamo quanto andremo avanti. In un futuro lontano, uno stimolo potrei trovarlo nel rifare la stessa cosa con un altro giocatore. Poi magari faccio 15 anni con Sinner e sarà lui il mio ultimo tennista. Lo spero. Il Grande Slam? Non è un obiettivo che ci siamo posti. È talmente difficile vincere uno Slam che non si può pensare di vincerne 4 senza muoversi un passo alla volta”.

Chiosa sulla speranza che Darren Cahill possa rimanere nel team. “Io penso e spero che Darren possa continuare, quindi non abbiamo pensato a nessuno al di fuori di lui. Al momento però non ci sono ufficialità”.

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