Sinner e Zverev, così vicini ma così lontani

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Alexander Zverev e Jannik Sinner - Foto FITP

da Torino, Alessandro Nizegorodcew. “Non è ingiocabile, ho avuto tante opportunità. Jannik le ha avute in un game del primo set e le ha sfruttate. Da fondo è stato un match di livello ed ero lì“. Musica e parole di Alexander Zverev, che racconta una verità a metà. Non è sbagliato sostenere che l’incontro delle Nitto ATP Finals, terminato 6-4 6-3, sia stato equilibrato, lo ha sottolineato anche Jannik Sinner (“è stato un match combattuto, Zverev ha avuto occasioni in entrambi i set“). Ma se all’apparenza la sfida è stata ‘vicina’, la verità è che i due sono, allo stesso tempo, lontani anni luce. Basti osservare il match dalle primissime file per carpire lo sguardo di Zverev e Sinner nei momenti importanti, il loro linguaggio del corpo, le modalità di dialogo con il proprio box, le scelte, l’attenzione. Sascha da fondo campo ha giocato un ottimo match, mettendo in difficoltà Sinner in più di una circostanza, ma al momento di affrontare le palle break, che fossero a favore o a sfavore, lo status di campione (Sinner) e di ottimo giocatore (Zverev) si sono palesati.

Lo sguardo di Zverev, prima di rispondere sulle palle break, era tutto un programma. Una sorta di ‘ok, già so come andrà‘. Dall’altro lato del campo Sinner andava a servire sotto 0-40 con l’attenzione di chi sa che può ribaltare la situazione grazie alle proprie qualità. Sette break points concessi, sette prime di servizio (di cui 3 ace, 3 servizi vincenti e uno schema servizio-diritto imperdibile). Vi è stato un altro momento in cui Sascha, nel secondo set, avanti 15-30 ha attaccato in maniera perfetta sul rovescio di Sinner che, in controbalzo e andando all’indietro, ha inventato un passante lungolinea di rovescio meraviglioso. Pubblico in visibilio, ‘hot shot’ da campione, ma anche un posizionamento a rete del tedesco da rivedere. Mancanza di attenzione, sfiducia in se stesso nei momenti importanti (oltre alla desuetudine a quelle zone del campo).

Sinner, sotto questo aspetto, è quanto di più vicino sia mai esistito a Novak Djokovic su un campo da tennis. ‘Nole’ nello scambio dava spesso l’idea di non essere ingiocabile, ma nei momenti importanti sapevi che ti avrebbe ‘mangiato vivo’. E che se anche tu fossi riuscito a realizzare un break, nel game successivo sarebbe stato quasi impossibile confermarlo. Cannibali, entrambi. Sinner alla fine vince, come sempre. Solo se ti chiami Carlos Alcaraz le cose, ovviamente, cambiano. Per gli altri la sensazione è che entrino in campo già battuti. Tutti, o quasi.

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