Herbert e il piacere della scoperta

di Marco Mazzoni

Vuoi mettere una giornata d’autunno a Parigi… Camminare immersi in un’atmosfera quasi magica, con tanta vita che ti scorre intorno. Magari a Montmartre, su e giù per le pittoresche scalinate, con refoli di vento che fanno danzare le prime foglie ingiallite. Oppure sulle banchine della Senna nei pressi di Notre Dame, ammirando pittori naif e giovani coppie che assaporano la propria passione.

Vuoi mettere una serata al Palais Omnisport de Bercy, splendida arena dalla bizzarra forma a piramide, quando va in scena il Master 1000 di tennis, pronto a sorprenderti ogni anno.

Quello di Bercy è un torneo relativamente giovane, ma che ha sempre trovato il modo di far parlare di sé. Nel bene e nel male. Dai fischi del pubblico, stufo all’ennesimo Ace di Ivanisevic, a match clamorosamente belli, i migliori dell’anno, da quando è diventato uno dei pochissimi eventi “rapidi”, a distinguersi in un panorama pressoché monotematico, cementificato.

Eppure hanno provato in tutti i modi ad “affossare” la grandeur tennistica di Parigi, la città turisticamente più visitata (forse la più bella…) al mondo e l’unica che può vantare un torneo dello Slam ed un Master 1000. Con la data attuale che schiaccia il torneo a fine stagione, con la finale appena un giorno prima dell’inizio del Master ATP, difficile che i migliori arrivino cattivi e motivati a sputare sangue su ogni palla. E’ diventato semmai un torneo importante per quelli che sperano di entrare nei magici 8, francesi a parte.

Ma il fascino dell’evento deriva proprio dalla scelta di distinguersi, dal presentare ogni anno condizioni un po’ diverse, e quindi rimescolare le carte in tavola. Un dato è molto significativo: negli ultimi 10 anni, l’hanno vinto 10 tennisti diversi. Anzi, molto diversi tra di loro, ma quasi tutti accomunati dal vero X Factor del gioco: la voglia di fare il punto. Qua recentemente hanno vinto Soderling, Tsonga. Qua nel 2007 Nalbandian, da poco ahimé ritiratosi, ha prodotto un tennis di una qualità assoluta, superiore, battendo nello stesso torneo Federer (quello vero) e Nadal, roba che possono vantare in pochissimi. Andando un filo più indietro, a Bercy vinse tre volte Marat Safin, uno dei giocatori con più talento tecnico degli ultimi anni, un maledetto che nelle condizioni ideali e rapide del campo parigino riusciva ad esplodere ogni goccia della sua magia, diventando irresistibile.

Non solo vincitori. Ogni anno Bercy è un torneo da ricordare perché ci regala qualcosa, qualche sogno, qualche nome nuovo. Giocatori che magari passano solo un paio di turni, ma ti colpiscono per qualità di gioco, estro, distinguendosi dalla massa indistinta dei picchiatori dal fondo.

L’anno scorso, per non andare troppo indietro, l’esplosione di Janowicz. Potente, fragorosa, quasi uno choc per l’intero mondo del tennis. Un gigante aggressivo, potente, veloce, “cattivo” e molto molto intrigante, che ci ha fatto divertire non poco con il suo gioco quasi sfacciato e totalmente fuori dagli schemi.

Chissà che quest’edizione invece non passi alla storia per l’ingresso nel tennis che conta del francese Herbert. Non proprio un bambino, nonostante la babyface, ma ancora assai acerbo di tennis, relegato a giocar Challenger e “quali” con una classifica appena dentro ai top200. Se nella prima serata il 22enne di Strasburgo ha beneficiato di un Paire rotto e indisponente, ieri sera Pierre Hugues Herbert aveva di fronte il sig. Djokovic, uno che non perde molto volentieri, e che anzi se ha una speranza di chiudere l’anno da n.1 deve assolutamente vincerlo questo torneo.

Herbert si è presentato con un piglio da giocatore vero, sguardo fiero e la calma dei forti. Ha servito benissimo, entrando in campo a cercare il punto fin dalla prima palla, aggredendo appena possibile il serbo, senza mai tremare. Nole a volte sgranava gli occhi al subire un attacco spericolato o un ace a 220 km/h, un po’ per darsi una sveglia, un po’ per dire “ma questo qua da dove viene?”. Ha retto alla grandissima Herbert per tutto il primo set, arrivando anche a 2 setpoint sul 6-5, servizio Novak. Perso il tiebreak, Djokovic è scappato, ma con un ultimo impeto d’orgoglio il francese s’è tolto la soddisfazione di brekkare il n.2 del mondo e chiudere con un  dignitosissimo 6-7 3-6.

Una gustosa scoperta questo Herbert. Dotato di un buon fisico (da rinforzare), basa il suo tennis su un servizio stupendo. Notevole l’uso delle gambe e della schiena nel caricamento, spinge con eccellente coordinazione e fluidità, portando tutto il corpo verso la palla, e trovando con facilità tutti gli angoli e non solo velocità di punta ben oltre i 200 km/h. Braccio fluido e veloce, ha nel dritto il colpo migliore e più sicuro. Lo manovra forse con un uso eccessivo della spalla, una rotazione completa che a volte fa terminare la palla troppo lunga, soprattutto quando cerca la botta a chiudere da sinistra spostandosi a coprire il rovescio. Sul lato sinistro pare nettamente più debole, ha un colpo sensibile ma più lento, figlio di una meccanica esecutiva meno agile e sicura. Molto bene invece quando stacca la mano, producendo back lunghi e con tagli molto accentuati, che svariano nell’aria in traiettorie insidiose che prontamente segue a rete. Questa è la sua cosa fuori dal comune, nel tennis di oggi si intende, la sua notevole propensione a venire avanti, giocare una prima volee (sì, una PRIMA volee!!! roba che non si vedeva da anni!) per aggredire l’avversario e mandarlo in condizioni di svantaggio a tirare un passante. Sa coprirla anche bene la rete, con tocchi decisi e per nulla maldestri. Un tennista molto ’80s, attaccante, spericolato, che ci prova con coraggio cercando così di mascherare limiti tecnici, lontano anni luce dagli attuali produttori di scambi ancorati alla riga di fondo.

Insomma, una piacevolissima scoperta questo giovane. Va detto che quando hai talento, giochi in casa senza nulla da perdere nelle condizioni ideali per il tuo tennis, ed hai carattere, il match della vita lo puoi tirare fuori. Non penso ad Herbert come un vero “crack” per il futuro, anche se sarei lietissimo di sbagliarmi. Potrà certamente diventare un buon giocatore, da top 100, forse forse 70 del mondo, anche se è tutta da verificare la sua consistenza contro avversari che sporcano di più la palla e su superfici più lente, poiché in difesa sembra ancora limitato.

La cosa più interessante è stata la scoperta della novità in sé, sempre a Bercy, un torneo che non tradisce chi il tennis lo ama in tutte le sue forme. E’ stato piacevole l’aver ammirato l’ennesimo bel prodotto della scuola francese, tecnicamente la più valida e interessante al mondo per come sa portare avanti molti giocatori e tutti diversi tra di loro, senza la pretesa di uniformarli agli standard oggi percentualmente più vincenti, ma capace di supportarli ed aspettarli.

Vuoi mettere una serata a Parigi, a Bercy, ad emozionarsi di fronte ad un tennista nuovo, giovane ed interessante. Sono le serate che arricchiscono la vita di un malato di tennis.

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