Quelli che… una botta e via (2/2)

di Sergio Pastena

Seconda puntata dedicata agli “amanti infedeli” del circuito: dalla doppietta di Doumbia alla paura di volare di Haehnel.

5) La doppia apoteosi di Yahiya Doumbia

Statisticamente, coi suoi 58 match giocati, è quinto nella classifica dei vincitori con meno match, ma meriterebbe ampiamente il primo posto: Doumbia, infatti, è un ricettacolo di record. Nell’ordine: vincitore di due tornei con meno partite vinte (24), primo vincitore di un trofeo proveniente dall’Africa centrale, maggior “digiuno” tra un torneo e l’altro (7 anni) e, crediamo, unico a vincere due tornei da qualificato. Quando si presentò a Lione nel 1988 era il numero 453 del mondo: beccò subito Chesnokov, seconda testa di serie, e lo superò tra lo stupore generale. Poi Potier, Bates e Masso fino a superare Todd Nelson, “vendicando” la sconfitta in semifinale di Yannick Noah. Lo stesso anno Yahiya arrivò fino ai quarti ad Indianapolis e in semifinale a Livingston, poi silenzio: rientro nei ranghi, challenger oscuri, infortuni, fino al settembre del 1995. Era il numero 282 al mondo, ottenne una wild card per le qualificazioni. E via, ancora una volta: Gilbert, Prinosil, Raoux e Roux tra gli smadonnamenti dei francesi. In finale Hlasek: 29 games persi in cinque partite, neanche un long set, un dominio assoluto. Per poi scomparire ancora una volta, e questa volta senza ritorni clamorosi.

4) La primavera di Tulsa di Howard Schoenfield

Anche lui, pur essendo ai piedi del podio, meriterebbe di salire quei gradini: è il giocatore con la più bassa media di vittorie ad aver mai vinto un torneo dell’Atp. Per la precisione Schoenfield ha vinto 11 partite su 51, piazzandosi poco sopra il 20%: una miseria. Fino all’impresa di Tulsa, avvenuta nel 1980, Schoenfield era stato puntualmente “rimbalzato” ad ogni tentativo di entrare a far parte del carrozzone di quelli che contano. Ma la storia di Schoenfield è di quelle da raccontare e anche nel suo caso lo abbiamo fatto in un articolo a parte: prodigio tra i juniores, vinceva ogni torneo a mani basse. Nel 1976, quando aveva 19 anni, la madre si suicidò: Howard non si riprese, finì diritto in un reparto di psichiatria d’ospedale, ricevendo cure tutt’altro che leggere. Entrava e usciva dal reparto, giocava a tennis ma non otteneva più risultati. Poi, di colpo, nell’aprile del 1980 si ritrovò e mise in fila, tra gli altri, due signori tennisti come Gorman e Lutz. In finale perse il primo set con Waltke, poi lo fulminò 6-1 6-0. Sette giorni dopo, a Los Angeles, fece fuori Van Dillen e per poco non “scherzò” Stan Smith. Poi, come in “Risvegli”, tornò il buio e l’ospedale: Howard non vincerà più un partita e lascerà il tennis nel 1981, a soli 24 anni. Per molti era il nuovo McEnroe: non sapremo mai se era vero.

3) Massimiliano Narducci, propheta in patria

Nel 1988 l’allora “Grand Prix” contava ben sei tornei italiani: Roma, Milano, Firenze, Bologna, Saint Vincent e Bari. “Tiempe bell ‘e na vot”, direbbero a Napoli. Per i nostri giocatori c’erano maggiori possibilità di mettersi in vista e di cogliere vittorie inaspettate: c’era riuscito Simone Colombo nel 1986 a Saint Vincent, il bis fu concesso da Massimiliano Narducci nel 1988. L’ascolano era numero 134 al mondo e veniva da quattro sconfitte di fila: a Firenze fu un’altra storia. Prima Filippini, poi Baur, quindi due peruviani in sequenza: Yzaga e Arraya, gente che è stata numero 18 e 29 al mondo. In finale derby tutto italiano con Claudio Panatta. “Panattino” si aggiudicò il primo set, poi Narducci ebbe vita facile. L’anno dopo Massimiliano sarà eroico in Davis contro la Svezia, costringendo al quinto sia Svensson che Pernfors, ma non riuscirà a inserirsi in pianta stabile nel circuito maggiore: per lui un totale di 45 partite, di cui solo 18 vinte. Oggi Narducci insegna tennis al Tozzona Tennis Park ad Imola ed organizza annualmente il Challenger della città emiliana.

2) Il continente sbagliato di Danny Saltz

Diciassette vittorie totali in carriera, di cui dodici ottenute nell’emisfero australe. Se si può dire una cosa con certezza di Danny Saltz, è che ha sbagliato continuente: non doveva nascere a Chicago, ma a Melbourne. L’americano, appena 37 partite nel circuito maggiore (con una media “umana” del 46% di vittorie), ha vinto il torneo di Auckland del 1984 senza aver dato mai traccia di sè in precedenza. Nel 1981 aveva rimediato appena due games agli Us Open contro Bruce Manson, per poi sparire dal circuito. Vero, nel 1983 aveva battuto Nastase a Stowe, ma il rumeno aveva 37 anni e si ostinava a giocare per pura tigna. Poi l’arrivo ad Auckland, e Danny trovò la sua dimensione: due le vittime altolocate, Drewett in semifinale e Chip Hooper in finale. Mondo ingiusto: Saltz è stato numero 122 al mondo ma un trofeo in bacheca ce l’ha, Hooper è arrivato al numero 17 e vanta solo due finali perse. Saltz si rifarà vivo solo in Australia, dove vincerà la sua unica partita a livello di Slam, e in Nuova Zelanda, dove raggiungerà la semifinale ad Auckland nel 1985, piegato da Chris Lewis nella sua corsa verso la riconferma del titolo.

1)I viaggi in treno di Jerome Haehnel

Qual è la peggiore sciagura che può capitare ad un professionista? Gomito del tennista? Legamenti di vetro? Infortuni al polso? Niente di tutto questo, la peggiore sciagura si chiama “paura di volare”. Una paura, sia chiaro, diversa da quella di chi prende l’aereo sentendosi a disagio: Jerome Haehnel non riusciva proprio a salire su tutto ciò che avesse le ali e questo l’ha condannato ad una carriera limitata quasi esclusivamente al continente europeo. Questa cosa, però, non basta a spiegare il suo record: Haehnel, infatti, non era certo il nuovo Noah e la carriera l’ha passata quasi interamente nei Challenger. Solo 26 le partite giocate nel circuito maggiore, di cui appena 8 vinte: una nel 2005 contro Lisnard, il resto tutte nel 2004. Haehnel stupì il mondo tre volte: a maggio battendo Agassi al primo turno del Roland Garros, a ottobre facendo secco Fernando Gonzalez a Basilea e impegnando duramente Ljubicic. In mezzo, il delirio di Metz. Tabellone agevole, certo, se è vero che incontrò un solo Top 100: i nomi degli avversari, però, erano quelli di Acasuso, Gicquel, Clement, Mathieu e Gasquet. Insomma tutti tennisti più che rispettabili, quasi tutti suoi coetanei tranne l’enfant prodige Gasquet. Haehnel ha 31 anni e si è stancato presto di girare l’Europa in treno: magari non sarebbe diventato un numero uno, ma se non avesse avuto paura di volare avrebbe fatto meglio di un modesto numero 78 delle classifiche.

 A chiudere, per gli amanti delle statistiche, vi proponiamo la classifica dei “clienti occasionali” che han lasciato un segno nel circuito.

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