Wimbledon a Ferrer e Fuoco

Andrey Kuznetsov

di Luca Brancher

L’impresa del giorno è di Andrey Kuznetsov, che è riuscito a disarmare un giocatore noto per le sue doti da “fighters”. Partita casuale oppure nascita di una futura stella? Cerchiamo di capirlo, guardando il passato.

Ad un certo punto, dopo che nella prima frazione tre set-point erano stati, anche con un po’ di fortuna e con l’aiuto di un giudice di linea inconsapevolmente compiacente, abilmente annullati da David Ferrer, che nel successivo tie-break si era poi guadagnato il vantaggio di 1-0, il match sembrava completamente compromesso. Definitivamente. Battere lo spagnolo, in uno Slam, non è cosa per tutti. Sconfiggerlo dopo aver perso un set quasi vinto è paragonabile ad un’impresa. Nemmeno quando il tennis giocato è di altissimo livello. Il valenciano non perdeva con un giocatore non compreso tra i top-10 in uno Slam dallo U.S. Open del 2011, quando a batterlo fu comunque un ex-vincitore dello stesso torneo, Andy Roddick, ed erano quasi sei anni che non perdeva, nei major, contro tennisti non compresi tra i primi 50 del ranking mondiale: allora, a Flushing Meadows, nel 2008, toccò a Kei Nishikori, numero 126. Invece è successo, l’opera di cui vi parlo è stata scritta ed interpretata dal russo Andrey Kuznetsov, attuale 118esimo tennista al mondo. Sulla carta, perché sul campo sa valere molto di più.

C’è uno strano filo rosso che lega i tennisti russi alla musica. Evgeny Donskoy, per intenderci, non sarebbe mai diventato un professionista se, da giovane, non avesse frequentato una scuola di pianoforte, dove un maestro gli suggerì di alternare la passione per la musica con quella per lo sport “prova il tennis, hanno aperto una scuola qui vicino”, Dimitry Tursunov si diletta con le sperimentazioni elettroniche, mentre Andrey Kuznetsov è un appassionato di chitarra. Ne ha avute varie, elettriche e non, si diletta a suonarle, non gli dispiacerebbe costituire una band “Però non ho conosciuto tanti giocatori con questo hobby. E Tursunov…no, direi che i gusti non sono affini”. Ha una preferenza per gli Scorpions ed annota con dispiacere che questo continuo viaggiare e la sua professione non gli permettono di frequentare i concerti. “Avrò tempo poi, ora devo concentrarmi sul tennis.” Sì, perché la chitarra è un bello strumento, ma quello che Kuznetsov preferisce suonare è pur sempre la racchetta.

Non mi ispiro a nessuno, non ho idoli, inizialmente guardavo Agassi, ora riconosco in Federer un modello di stile, ma io gioco alla mia maniera e non voglio essere paragonato ad altri. Io sono l’originale Kuznetsov”. Ha un bel carattere, Andrey: nel 2009, dopo che al Roland Garros junior era stato eliminato al secondo turno da un tennista più giovane di lui di un anno, Federico Gaio, è venuto a Mestre e si è consolato col suo primo titolo da pro’, in un future. L’idea di abbandonare gli Junior era ormai matura, ma prima si è voluto togliere lo sfizio da fare una capatina sui campi in erba: non ci aveva mai giocato. Così facendo, si è aggiudicato il titolo di categoria ai Championships. Cinque anni dopo ha fatto capire che quell’incontro fortuito con la superficie verde è stato tanto casuale quanto figlio del destino. E forse ne ha enfatizzato l’alta opinione che già di base aveva di sè, dato che molti indizi inducono a pensare che soffra di quella sindrome che attanaglia i giocatori che faticano ad emergere e che ritengono che già il loro modo di giocare dovrebbe essere sufficiente ad essere migliori di altri. Un po’ di umiltà non guasterebbe.

Ha col tempo, però, instaurato un bel rapporto col Belpaese, dal momento che, anche il primo titolo challenger è stato vinto in Italia, per la precisione a Napoli, così come il secondo, a Todi, dopo il quale è entrato nella top-100 mondiale. Era il 24 settembre del 2012, e viveva il suo periodo d’oro, durante il quale ha vinto tre challenger consecutivamente, che gli garantivano una classifica di tutto rispetto (non lontano dal suo best ranking di qualche mese dopo, al numero 68), oltre che l’accesso al tanto vituperato master di categoria di fine anno, a Sao Paulo. Andrey, però, declinò l’invito, perché ormai si sentiva giocatore da grandi competizioni, come aveva dimostrato una domenica di fine maggio al Bois de Boulogne, dove era riuscito a spiazzare Tsonga nel set d’esordio del primo turno del suo Roland Garros. Un 6-1 senza tante recriminazioni per il transalpino, che poi avrebbe ristabilito le gerarchie, ma l’impressione fatta dal ragazzo russo era comunque valida. Troppo facile, verrebbe da dire, quando l’occasione conta, ma per costruirsi un ranking di tutto rispetto andrebbe giocato ogni match con lo stesso piglio. Nello stesso momento in cui, ad Andrey, sono infatti scalati i punti del trittico vincente di challenger, nel primo autunno del 2013, la top-100 è divenuta una chimera di difficile realizzazione. D’altronde, negli ATP i risultati conseguiti sono stati piuttosto poveri, e tutt’ora, a valutare i suoi record, non c’è da leccarsi i baffi, con soli tre quarti di finali in palmares (curiosamente due  a Casablanca, 2011 e 2014, oltre a Zagabria, nel febbraio scorso). Certo, poi quando vede l’erba, qualcosa cambia, sempre.

Nel 2010 Andrey, vincente come detto nel torneo junior la stagione precedente, aveva diritto ad un posto nel main draw e con Hanescu ha dato vita ad un incontro di buon livello, perso dal meno esperto dei due solo al quinto set per 7-5: il tutto era stato preceduto da un secondo turno, dopo qualificazione, colto ad Eastbourne, con bruciante sconfitta al tie break del terzo set al cospetto di Gilles Simon. Nel 2012 giungeva una qualificazione importante, ma una nuova lotta al quinto parziale vedeva il russo sconfitto, questa volta contro un altro classe 1981, Florent Serra, mentre l’anno successivo si arrendeva al secondo turno contro il  futuro vincitore, Nicolas Mahut, ad Hertogenbosch, e coglieva il secondo successo in un main draw Slam, a Wimbledon, contro il non irresistibile Albert Montanes, prima di capitolare di fronte a Viktor Troicki. Risultati positivi, visto il ruolino tutt’altro che indimenticabile ad alto livello di Kuznetsov, ma nulla di confrontabile con quanto fatto quest’anno, dopo Halle, dove a fermarlo era Dustin Brown, visto particolarmente a suo agio sui prati di casa, e la vittoria d’esordio su Daniel Evans sui campi di Church Road.

Andrey Kuznetsov non solo ha eliminato David Ferrer, che sui prati londinesi si è anche issato fino ai quarti di finale, ma l’ha surclassato sul piano del gioco, collezionando a fine partita un numero di vincenti impressionante, ben 77, dato avvalorato dallo scarso rendimento diretto del servizio (solo 7 aces). Ferrer, dopo aver vinto la prima frazione, che sembrava aver incanalato in suo favore la contesa, ha subito la rimonta del 23enne di Tula e si è formalmente arreso nel corso del quinto set, dopo aver subito il vincente che aveva regalato il primo break a Kuznetsov, salito sul 3-2. Prima di cambiare campo, David richiedeva l’aiuto di “Hawk Eye” in maniera quasi sorprendente, dato che era l’ultimo a disposizione e che non c’erano dubbi sul fatto che la palla avversaria fosse stata giustamente giudicata. Il motivo era semplice: Ferrer non reggeva i colpi del russo, non riusciva a tessere una tela per disarmarlo e la situazione lo aveva non poco innervosito: nei tre giochi successivi sarebbe stato definitivamente distrutto dalla brillante prestazione di Andrey, che si regalava un terzo turno abbastanza aperto contro l’argentino Leo Mayer. Ed è piuttosto curioso che potrebbe essere la prima volta che Kuznetsov si aggiudica tre partite consecutive in un main draw di un torneo dagli ATP 250 in sù. Proprio a Wimbledon, nel torneo più famoso.

All’interno di un pomeriggio non particolarmente frizzante, i cinque set giocati da Andrey – che spezzano l’incantesimo che lo aveva visto finora sempre sconfitto sulla lunga distanza – sono stati un fulmine a ciel sereno, la concretizzazione di un avvenimento di difficile previsione. Non è certo, anzi, che segni l’esplosione di un giovane campione, ma è innegabile che questa prestazione ci resterà davanti agli occhi per molto tempo, a meno che il russo non decida di migliorarsi ancora. Sarebbe una bella notizia, per il tennis ed i suoi spettatori, sarebbe un cambiamento a cui ci abitueremmo con molto piacere.

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