Il passaggio a vuoto di Angelique

Angelique Kerber
di Piero Emmolo

Nel tennis, come nello sport, la fiducia nei propri mezzi e la perseveranza a raggiungere le proprie ambizioni, è noto, sono attitudini fondamentali. Ma lo sono ancora di più se le armi peculiari nella faretra di una professionista sono i dardi della fisicità e della rapidità negli spostamenti. L’inizio del 2015 per Angelique Kerber sembrerebbe proprio essere il sequel agonistico della seconda metà del 2014. E, per una giocatrice che ha fatto della continuità e della regolarità, tanto nella gestione lineare dei match quanto nei risultati, la sua arma migliore, questa involuzione desta un più che lecito ed inevitabile campanello d’allarme. Angelique è tennista che, anche nei suoi momenti di forma, è sempre stata in bilico tra due poli di valutazione. In molti l’hanno appellata, o apostrofata, dipende dalla personale considerazione che si abbia del termine, ” pallettara ” . Epiteto da sempre dividente nel glossario gergale degli appassionati, perchè perennemente nel limbo tra ciò che può fregiarsi d’essere tennis e ciò che non può esserlo. Molti altri ancora, invece, l’hanno parecchio incensata per le sue ( indiscutibili ) indefesse doti atletiche e capacità straordinarie nei recuperi. Opinabilissimi giudizi a parte, è evidente che una giocatrice con un background tennistico così privo di colpi immediatamente risolutori, sui quali fare ostinato affidamento nei momenti di bagarre agonistica del match, debba entrare inevitabilmente in crisi quando fiducia e piazzamenti di prestigio inizino progressivamente a venir meno. Tante giocatrici tra le prime dieci, anche in un passato nemmeno troppo remoto, hanno avuto simili periodi opachi di rendimento.

Ma non erano atlete che dovevano fronteggiare un tennis così monolitico e dalle trame di gioco così routinarie ed estenuantemente finalizzate all’attesa del gratuito altrui. Ci vengono in mente la Radwanska che, in un periodo poco felice in termini di rendimento, ha saputo colmare le lacune di rendimento del suo tennis con la varietà di gioco che siamo soliti riconoscerle, andando a trionfare a Montreal su Venus Williams. O la Sharapova, che oltre al suo proverbiale killer insinct e alla sua capacità di tirar fuori il meglio di sè nei momenti topici del match, ha sì una gestione degli scambi perennemente votata all’attacco da fondo, ma è in grado di scardinare con pochi colpi immediatamente risolutivi la Maginot difensiva spesso eretta dall’avversaria. Angelique questo non può farlo. O meglio, può farlo, ma non è nelle sue corde. Muterebbe il suo game plan a tal punto da snaturarne la sua indole di base prettamente attendista. Sta vivendo quei momenti della carriera ( che tutti i professionisti hanno vissuto, chi più chi meno), nei quali è costretta a fronteggiare due nemici in campo: l’avversaria e sè stessa. Una lotta impari che in questi mesi l’ha vista spesso soccombere. Dopo tre anni di permanenza ininterrotta in quell’affascinante gotha mondiale chiamato ” top ten “, Angie n’è uscita fuori. E questo, a livello psicologico, è un ulteriore punto a sfavore. Persino la fine pacifica del connubio tecnico con Benjamin Ebrahimzadeh, al quale la teutonica era molto legata professionalmente ed umanamente, non sembra aver conferito linfa positiva alla giocatrice di Brema. Se all’emorragia di punti in uscita si aggiunge uno stallo emotivo in termini di reazione, pronosticare futuro più roseo per la nerboruta mancina è esercizio abbastanza arduo.

Nel match di Indian Wells contro Sloane Stephens sembrava corrucciata in viso e nello stesso tempo quasi incapace di dare un colpo di reni al match, avendo da recriminare contro un’avversaria che, sebbene in gran spolvero, non aveva di certo dalla sua la carta della maggiore esperienza. Ma la partita contro l’americana è stata una copia sbiadita di tante altre partite a cavallo con l’anno appena trascorso. Emblematica la due giorni di Fed Cup in Repubblica Ceca, nella quale, affetta da una cronica nikefobia, s’è sciolta come neve al sole durante le fasi nevralgiche dell’incontro. Polaroid della trasferta di Praga, l’esultanza a punto in corso nel match contro Safarova, che oltre a costarle il set, denotò un’inequivocabile debolezza di mordente caratteriale (figlia proprio della mancanza di risultati ). Sui social network non è mancato chi, con formidabile estro e in più assoluto disprezzo all’assunto del Rasoio di Occam, ha teorizzato una Angelique un pò distratta dalla neo-apertura di un’accademia di tennis in Polonia ( Paese al quale è molto legata per via delle origini del padre).

Ma trattasi di ricostruzioni fantasiose e che non trovano riscontro col dato, da tempo assodato, dell’assoluta serietà professionale della tedesca quanto ad impegno e dedizione. Del resto, telaio ed armeggio sono gli stessi già da svariati anni. Magari un piccolo cambiamento, in stile Errani, sarebbe auspicabile o quantomeno un viatico praticabile per sopperire alla crisi di risultati. Ma siamo solo nel campo delle ipotesi. É risaputo, tra l’altro, che più si sale nei piani alti del ranking e più il giocatore, o la giocatrice, tendono ad essere fidelizzati al materiale di gioco o alla customizzazzione del telaio curata dopo anni ed anni di cavillosi esperimenti e metodici test. La maneggevolezza ed il peso contenuto del modello usato dalla Kerber ( armi decisive nei colpi di recupero e nei colpi genuflessi tanto soventemente praticati ) saranno comunque deterrenti al cambiamento molto importanti in questa analisi ipotetica e senza pretese che abbiamo argomentato. Alcuni professionisti hanno avuto il coraggio di cambiare. Per altri, cambiamenti anche minimi dei ” ferri del mestiere “, sono vissuti come un trauma, e dunque da evitare il più possibile. I prossimi appuntamenti nel circus diranno comunque molto sulla consistenza e sui margini di crescita di Angie che, oltre ad avere delle importanti cambiali di punti in scadenza, ha nel frattempo deciso di tornare pro-tempre sotto la guida di Torben Beltz, che l’ha giá allenata prima dell’avvento a sorpresa dell’accomiatato coach iraniano.

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